Serena Lao, "L'abominevole diadema" (Ed. Thule) - di Vito Mauro

“Del doman non v’è certezza” scriveva Lorenzo dei Medici, era un invito a godersi il presente, perché la vita non risparmia dolorose sorprese e ci mette difronte ai nostri limiti, ma in un periodo di tempo sospeso quando circola un male che ci fa prigionieri è da lodare la scelta dell’epigrafe “La speranza non è mai così persa da non poter essere trovata” di Ernest Hemingway, che apre la nuova pubblicazione di Serena Lao, L’abominevole diadema, edizioni Thule, perché speranza è la parola di cui abbiamo più bisogno.

Tommaso Romano nella sua profonda e marcata Nota introduttiva definisce il volume “Un diario intimo e drammatico”, il testo, infatti, è una narrazione reale dell’isolamento, cadenzato ad intervalli di tempo in cui l’Autrice registra circostanze, emozioni, turbamenti ed episodi significativi per rintracciare il piacere dello scritto che lascia un’orma su cui misurarsi per convenire la serie degli avvenimenti, anche se non si riuscirà a capire il perché di ciò che avviene.

La Lao, dietro suggerimento e insistenza dell’editore, si è impegnata nella stesura di questo testo, un modo per non lasciarsi prendere dall’apatia, trovando in esso un riparo che l’ha aiutata a superare quei momenti di ansia dovuta all’incertezza quotidiana, riuscendo ad allentare la tensione, a rendere i momenti di solitudine produttivi e tonificanti, lasciando un messaggio privato e pubblico, personale e sociale, “a chi vorrà leggere.”.

Conosciamo la scrittura ineccepibile dell’Artista, in questo caso a tratti pacata ed emozionante nel raccontare il dolore con dignità a tratti disinibita e ardita nell’evidenziare fermamente i dubbi e le incongruenze pandemiche, che rende la lettura estremamente peculiare. Una scrittura che tesse una trama periodica e resiste alla sofferenza che diventa empatica e coinvolgente.

L’abominevole diadema è suddiviso in capitoli che iniziano con una data che non è il semplice susseguirsi del tempo, ma sono fissati giorni che diventano storia che insieme alle foto riportate raccontano la prima ondata del Coronavirus - Covid19 un periodo memorabile, già divenuto ricordo ma ancora paurosamente presente.

Serena Lao ci ricorda come nella fase iniziale dell’epidemia, malgrado arrivasse qualche notizia dalla Cina, si era spensierati a seguire l’istituzione canora italiana per eccellenza e sue derivazioni “con non troppe esigenze culturali”, mentre il virus avanzava sorprendendoci in negativo. Certo chi di dovere avrebbe dovuto prudenzialmente sorvegliare l’andamento epidemiologico, cautelandoci, invece la pandemia dilagava sempre più, e sconvolgeva la nostra normalità.

L’Autrice sin dal primo capitolo scrive con silenziosa e garbata tenacia, - sappiamo che corregge per giorni e giorni, per ore e ore - mentre con precisione e accortezza descrive il rallentamento dei ritmi quotidiani, la rinuncia ai momenti di aggregazione, ai contatti familiari, alle umane apprensioni ed ai naturali turbamenti: “siamo tutti impotenti davanti a questo nemico invisibile che ci ha tolto il bene più prezioso: la libertà!”, provando a sostituirla con la speranza di vivere.

Nell’elaborare il timore e l’angoscia scaturiti nel periodo della quarantena, simbolo della solitudine, nel testo si colgono le riflessioni sullo stato d’animo, sui dati riportati giornalmente dalla Protezione Civile. Rilevanti sono le domande su come si esprima il dolore, tristi meditazioni sulle debolezze umane o cosa significhi lasciare questa terra: “Settantuno bare con dentro altrettanti corpi si allontanano… Chissà se hanno capito… Se ne sono andati così, da soli…”, fra medici e infermieri senza viso, immagini che hanno lasciato ferite profonde non solo ai familiari ma a tutta la nazione.

Nel periodo del confinamento sono aumentati, inevitabilmente, i contatti digitali, che ci hanno tenuto “vicini” ai nostri cari con messaggi, videochiamate e con foto fatte alla ricerca di tracce di vita, fra queste l’Autrice ha ricevuto, da Magia, mirabili immagini di una Palermo desolata dove “tutto è mummificato”, ed ha ben pensato di inserirle nel testo ed in copertina. Le foto ritraggono possenti e compatti palazzi solitari, che “senza alito di vita” sembrano di cartapesta, ricoperti di polvere mistica. Tristi scenari che la Lao osserva dal suo balcone, punto di osservazione giornaliero, che le permettono di analizzare attentamente il fenomeno, e meditarne l’andamento traendone le sue valutazioni.

Una scrittura densa a tratti furente, già dal titolo, nata per condividere l’inquietudine provata durante le serate passate davanti al televisore, con i virologi in prima linea, che spesso mandava in onda notizie in contrasto tra loro, immagini di infermieri prostrati dalla stanchezza, il Papa da solo in Piazza san Pietro, scene di assalto ai supermercati, tentate truffe sui camici e sulle mascherine fasulle.

Leggere le pagine del testo è come confrontarsi con la propria preoccupazione giornaliera, come rinabissarsi in una realtà che ogni giorno diventava più irreale: “Com’è cambiato il senso della vita! Oggi si apprezzano azioni che prima si davano per scontate.”, e per distogliersi ci si concentra sui propri ricordi o a sognare “spazi verdi e distese di acque azzurre.”.

Durante la quarantena la solitudine preoccupa più del dolore, si ha la paura di gestire la quotidianità dei bisogni più semplici che diventano complessi, come fare la spesa, ma ecco venir fuori l’amore per il prossimo, il volontariato, la solidarietà dei vicini di “conoscenza superficiale” che offrono aiuti e speranza e ci fa pensare che anche il bene è contagioso.

Il virus ci impone a non avere relazioni sociali, ha accresciuto i timori, ha modificato i comportamenti, con l’uso delle mascherine non vediamo più sorrisi, ci manca la stretta di mano, l’abbraccio, gli affettuosi baci sulla guancia. Vengono negati gli eventi religiosi, le manifestazioni popolari, le ricorrenze private, “Questa non è vita!”, esclama l’autrice con deciso disappunto, i numeri dei defunti per causa del Covid-19 ci fanno riflettere su quanto sia preziosa l’esistenza e “ci insegna che di scontato nella vita non vi è nulla!”, sulla fragilità di “quegli esseri piccoli e insignificanti che hanno creduto, … di potere essere padroni dell’Universo.”, anche se spesso affiora la speranza nell’aiuto che non ti aspetti e che arriverà da qualche parte.

Infatti, il senso di solitudine non risparmia nessuno, la pandemia, una tragedia che spaventa e flagella, ha indebolito le nostre certezze, ma ci ha rivelato come la nostra esistenza sia intersecata con quella degli altri. Nella forzata distanza con i propri familiari e amici Serena ritrova la vicinanza di un’ammiratrice che ben presto si trasforma in amicizia. Nei momenti di solitudine, che non sono graziati a nessuno, gli amici sono nutrimento e l’Angela custode, fa apprezzare “le prelibatezze” e affranca l’Autrice dalle incombenze quotidiane e rassicura la stessa scrivendole un lodevole e confortante messaggio: “Fin quando ci saremo noi, non sentirti sola!”.

I governatori delle nazioni che, improvvisamente e traumaticamente,  sono state per prima colpite dal Coronavirus, nel buttare la debita “acqua sul fuoco”, si sono trovati impreparati e spesso non hanno brillato per trasparenza, - non si può negare la verità per fini politici - spesso dicono “tutto e niente” - per difese ideologiche - tante belle parole, pochi aiuti “medaglie e nomine di cavalieri”, afferma la scrittrice in maniera tagliente, probabilmente lo fanno per opportunismo, mentre le contraddizioni degli esperti e la presenza di qualcuno che lucra nei momenti di bisogno, di certo non tranquillizza nessuno. Certo è che nessuno può prevedere il futuro, solo attenti studi possono immaginare l’andamento dei contagi, quindi le decisioni da prendere in periodi così estenuanti, non sono facili per nessuno, tranne per quelli che a fatti avvenuti affermano la facile risoluzione, e allora per “paura di contagiare e di essere contagiati” ci si affida al comune buon senso, alla saggezza, al necessario istinto di sopravvivenza.

Appare curioso leggere già un libro su esperienze che tutti abbiamo vissuto, solo pochi mesi fa, con immagini rimaste indelebili, in esso la Lao riflette sui fatti successi durante le prime tre Fasi della pandemia, sulle situazioni che sono venuti a crearsi, sulla natura che si riprende la propria libertà, sui disagi economici degli operatori commerciali, su chi ignora le precauzioni negando la realtà, ma anche sui casi di immedesimazione da parte di operatori sanitari verso i malati, comportamenti che tengono vivo l’amore per il prossimo.

Nessuno poteva pensare di dover vivere l’esperienza di una pandemia e di doversi spaventare anche di un ritorno alla normalità, con L’abominevole diadema, Serena Lao conferma che spesso la paura impedisce di operare, ma può anche stimolare a fare: “Non esco e non lo farò a breve… La strada mi fa paura, la gente mi fa paura!... ma… Devo farcela!”, e come scrive Tommaso Romano il libro è “un documento di un’anima in tormento, che trovava nella scrittura un antidoto potente al tedio e alla sua volontaria “reclusione” …”, che sicuramente non è rassegnazione, ma speranza che diventi un lontano ricordo.

Una testimonianza sagace e dura di un tempo breve e insolito, carica di sensibilità che si dispiega pagina dopo pagina e fa apprezzare il valore del tempo, dei legami con i propri cari attraverso pensieri, confidenze, lettere, come quella che l’Autrice scrive al figlio in occasione del suo compleanno: “Nessuno mai, però, potrà far cessare l’immenso bene che io sento per te figlio mio! Neppure questo scellerato virus che – seppur ci fa stare lontani fisicamente – ci tiene uniti in un legame molto speciale che non potrà mai spezzarsi.”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.