"IN MEMORIA DI VITTORIO GENTILE. Ripropongo quest’articolo che lo scultore ha pubblicato in occasione della sua Antologica a Palazzo dei Normanni" di Anna Maria Esposito

La scultura di Vittorio Gentile

 
È difficile parlare di Vittorio Gentile.
Per alcuni motivi: perché di Vittorio Gentile tanto si è iscritto e tanto si è detto, e  sempre con grande perizia di indagine critica. Ed anche perché Vittorio lo conosco da tanti anni, da quando, cioè, entrata nell’età della ragione e degli studi di media superiore, lo conobbi così come si usa negli Istituti d’arte, dove i ragazzi entrano ben presto in uno stimolante per rapporto di confidenza e poi anche di amicizia con i docenti. Così accade anche a me, bizzarra (ma non tanto) studentessa dall'aria freak, spesso i capelli riuniti in fitte treccine, e l'estroso artista che, come un turbine,  percorreva i corridoi dell'Istituto d’arte. Fu grazie all'allegro eterno bambino giocoso artista che cominciai a conoscere l’Arte, ora mia compagna di ogni giorno, amica tiranna che talvolta mi pone in questi imbarazzi: come, infatti, parlare di Vittorio? Parlare dell'artista e della sua posizione nella vita, parlare dello scultore creatore, o parlare dell’amico estroso artista gioioso che attraversa indenni decenni, accumulandone non il peso, ma soltanto esperienze e perizie tecniche e ancora voglia inesausta di confrontarsi con la forma, accarezzarla, amarla ancora come qualcosa che  sempre insegui e mai raggiungi? Mai raggiungibile, ho detto, e ho sbagliato: perché Vittorio è felice, e, se lo è, vuol dire che il suo amore è corrisposto, e quella forma che lo cerca da lui si lascia accarezzare come da un’amante. Ecco che, allora, ho trovato la chiave del discorso: parlare di lui e della sua arte insieme, così come si conviene per due amanti, da decenni indissolubilmente vicini, da decenni invariabilmente inseguentesi. Amore sottilmente scandaloso, incestuoso, come un Edipo irrisolto; del resto, chi non conosce i rapporti controversi, di amore-odio, che uniscono l’artista alla sua opera, la quale pure è violenta, lo deruba della sua vita, per vivere essa stessa nutrendosi del suo sangue per trarne la propria forza vitale? Così, all’atto della nascita stessa l’artista, forse inconsciamente (ma inevitabilmente) la odia, sapendo che essa gli toglierà ogni afflato di vita, mai sazia finché non lo vedrà agonizzare. 
 
Entrare in una sala nella quale sono esposte le sue sculture equivale ad entrare in un luogo ove sembra sia in corso un congresso di alieni, lì convenuti da numerosi mondi: ognuno, dal suo stallo, proclama orgoglioso la propria individualità, la propria diversa organicità, essi parlando linguaggi tanto radicalmente diversi eppure tra loro misteriosamente intendentesi; e ciò in nome di una fratellanza che li accomuna in quanto appartenenti allo stesso cosmo, figli di un unico creatore. Anche questo unisce Vittorio e le sue opere, anche questo lo rende orgoglioso dell'amore paterno del demiurgo. Egli si aggira tra la selva delle sue creature da esseri vinto e affascinato; lo spazio solcato dai richiami che esse si lanciano, ognuna denso grumo di vita, animata da un suo particolare sentire. L’entusiasmo si dipinge sul suo volto, come è sua caratteristica; gli anni di lavoro continuato sulla pietra hanno determinato il rapporto di intimo dialogo e di confidenza con la massa greve, pesante. Ha indagato ogni tipo di marmo e pietra del mondo, da ognuno estraendone ogni possibilità espressiva. Da alcuni tipi è rimasto particolarmente affascinato, ed essi gli hanno ceduto il loro calore, servendosi di lui per ricavarne la vita di cui vivere nel mondo; in cambio, gli donano un dialogo ininterrotto, ricco di stimoli creativi. Carezza i  blocchi pietrosi delicatamente, ricercando in ognuno il fuoco primigenio che ha plasmato l’energia potente che lo ha generato: il suo sguardo è di amore infinito. L'ardua fatica dello scolpire, vincendo la massa resistente, donandole l’anima e poi rivestendola di una pelle levigata come quella di una donna, viene del tutto dimenticata. Rimane soltanto un’idea di forma: egli la guarda ammirato, come se per qualche mistero essa fosse venuta da dentro la pietra, essa autonoma, produzione di cui osservo il gioco di simmetria dinamico. E conosce la più sottile venatura,  come scalfittura, della materia invincibile, che pure gli ha ceduto  come ammaliata. Da qui, nasce l'incanto…
 le forme di Vittorio gentile hanno una genesi organica; quasi come uno scultore  rinascimentale pone le forme antropiche al centro dell'universo naturale e da esse parte per espandersi nel Cosmo. Così si rincorrono tensioni e morbidezze di corpi, orgogliose forme femminili e robuste superficie di spalle, glutei, torsi. E la forma poi cresce e si concatena, come un meccanismo organico, e dalla genesi antropomorfa cresce, riverberandosi in un amplificazione che si espande nello spazio: concrezione, ingranaggio vitale, nuova misteriosa specie sconosciuta, pure colma di una irresistibile vita autonoma.
 In occasione della bellissima personale al Museo di arte contemporanea di Gibellina, Vittorio, fedele ai marmi puri e assoluti, ha iniziato, per gioco, curiosità e ironia un nuovo discorso sul colore. E gioca, così, con impasti di sabbia che stende, densi e materici, sulle tele colorate di campiture di colore saturo. Quasi bassorilievi, quindi. Pure, in questo nuovo versante della sua produzione, è affascinante. Stende l’impasto secondo un motivo ritmico, coinvolgente, che ci invita a osservare la materia e la straordinaria bellezza della texture usata per la sua creazione di getto, senza addolcimenti, secondo il gesto energetico dello scultore, ma colma del suo agire sentito. I grandi legni, alberi fittamente lavorati, e poi colorati con colori sontuosi primari ci mostrano la loro anima antropomorfa; le sculture di marmo con cenni di colore guardano al contemporaneo, con uno sguardo più vivace di quello di un giovane studente di accademia: leggere, compiute, dinamiche, eleganti, dotata di quella geniale e intellettualmente sapida semplicità frutto di una perizia tecnica che pure non ha in alcun modo spento l'uomo nuovo, l'artista che continuamente rinasce ogni volta che ha generato alla vita una sua opera, nuova tessera del mosaico di infinito dialogo tra le miriade di anime nel Mondo.
 
 Forte è il dolore di avere perso un altro grande uomo. Ci lasciano, e ci diminuiscono. Una grande epoca per Palermo si conclude, e anche una fase storica. Eppure dobbiamo andare avanti. La fede nell’Uomo quale creatura immortale ci lascia avanzare.

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