Francesca Simonetti, "Un aspro canto" (ed. Aletti)

di Maria Elena Mignosi Picone
 
 
 
Sotto il titolo “Un aspro canto”, dato alla sua silloge di poesie,  Francesca Simonetti  esprime molto efficacemente il proprio dolore per il fatto che il suo canto, che, in quanto canto,  di per sé dovrebbe essere dolce, invece non può essere se non aspro. Perché? Perché la vita che ella osserva svolgersi attorno a sé, la società in cui si trova immersa, e non solo con riferimento personale ma generale, insomma tutto quello che la esistenza oggi ci presenta, è molto triste, deludente, sconcertante, inaudito. Così infatti si esprime al riguardo: “secolo immerso nella melma”, “terra intrisa di male”,” mondo immerso nella notte del pensiero”.
Certo, si sa, il male c’è sempre stato. Però qui, al momento attuale, si va verso il precipizio. E’ un “mondo alla deriva” afferma la poetessa e  parla di un “esistere senza ragione né discernimento”.
Ecco sembra che proprio si sia perso il lume della ragione. La mente non riflette più. Quelle che guidano le azioni degli uomini sono le forze cieche dell’interesse, della avidità, della brama di potere, che si traducono in violenza, prepotenza, tirannia, guerra.
Già -osserva Francesca Simonetti – noi siamo reduci da un passato di tirannia; il secolo scorso, il Novecento, è stato il secolo delle dittature. Così si esprime al proposito: “… follia più folle delle dittature che / distrussero il cuore dell’Europa.” Ma ancora oggi  “la ragione -ella afferma- vive sempre insonne / come preda della tirannia in agguato.”
E allora quel che minaccia la quiete dell’animo della poetessa, quel che la turba e incombe in lei quasi a dominarla è il sentimento della paura. “…nell’irrazionale moto di andare / contro il senso solenne della vita / allora si respira il maleficio delle nuove ore” perché “…la vita si ferma indugiando sul male” /…/ cede infine alle lusinghe…del potere, spia contesa, malata, / viscido occhio che sinistro vede / scrutando la mente limitata / demente il cuore”, “spettro di mondi futuri, / embrione delle paure nuove”, “temo  le stagioni future / per gli oltraggi dell’uomo all’altro uomo: / non solo la morte l’estremo del dolore / ma l’odio profuso oltre ogni ragione.”
E’ la paura del futuro che non si prevede certo roseo, o semplicemente normale, ma disastroso. Non si intravede spiraglio di luce, però l’autrice sente che “la speranza non è finita”. Certo la speranza è affidata ai giusti, i pochi giusti rimasti. Emblematica la poesia Roseto, dove è racchiuso tutto  il significato del libro: “Scarno il roseto quest’anno lo ritrovo / ha l’aria triste per una sola rosa / insinuatasi coraggiosa / tra le erbacce di altre infiorescenze.” Nella rosa c’è simboleggiata la bellezza, in cui rifulge la bontà. La rosa è rimasta sola,  una presenza solitaria. E’ un residuo di fulgore perché  invece assistiamo a quel che in maniera molto incisiva ella  definisce “lo sterminio della bellezza.”
Allora prende il sopravvento il dolore, soprattutto per gli innocenti, vittime della malvagità umana;  “per il degrado –scrive- richiamo per le follie del potere, / l’occulta cupidigia, / le scaltre dissertazioni / dell’avventura che si fa storia, scudo / con gli innocenti sempre alle porte / a chiedere non ottenendo che un lembo / di tenda da stendere sul capo.”
Così il mondo appare più che mai diviso: da un lato i malvagi che con la loro perfidia e tracotanza opprimono i giusti, e dall’altro appunto gli innocenti, i puri, che faticano a barcamenarsi in questo mondo perverso che minaccia la loro esistenza, tendendo a sfruttarli e a ingannarli  per i loro loschi fini.
Ancora nella poesia “Roseto” Francesca Simonetti scrive riferendosi alla rosa: “Resta ancora nella sua tenue dolcezza / di bocciolo per richiamare / sguardi desiosi della sua innocenza.”
Ecco quell’unica rosa rimasta quasi simbolo di bellezza e bontà, / è un richiamo per coloro che hanno nostalgia e rimpiangono l’innocenza, ormai quasi scomparsa.
C’è ancora dunque, e la poetessa ci vuole credere, anche se molto scettica, c’è ancora l’onestà. In un verso così definisce questo nostro mondo “mondo / sconvolto e pur sempre bello.”
Allora le balena nella mente il ricordo di Parigi, e invoca: “Parlami di Parigi, musa antica, / della sua bellezza…/ la Parigi dei sogni e dell’amore.”
La bellezza, la bontà, dunque, resistono fortemente nell’animo di Francesca Simonetti che, nonostante la cocente amarezza, la delusione per il mondo che va alla deriva, costituiscono gli appigli cui ella si aggrappa in vista della rinascita e della salvezza. 
E mentre, come “pellegrini ignari del futuro…/ vaghiamo inerti alla ricerca disperata / delle nostre salde radici / fattesi fragili”  e tutto concorre ad alimentare la paura, però ad un certo punto la poetessa ha come un fremito di speranza, e così scrive: “…spero soltanto di non diventare / schiava della paura / che la morte impone ma invano” e afferma: “se ogni giorno mi alleno / per incontrare il sole.”
Si manifesta, abbastanza vigorosa in lei, la forza di volontà per vincere la paura che prova per il futuro del mondo, avendo fiducia nelle forze del bene. Nella bellezza, nella bontà, nell’amore.
E non poteva mancare allora il riferimento alla poesia che questi elementi li contiene tuttI.  La  poesia è bellezza ed è messaggera di bontà. Ha potere edificante e promuovendo il bene, contribuisce a sconfiggere il  male. Tant’è vero che pensa che della poesia se ne possa avere paura. Ma chi sono coloro che possono avere paura della poesia? Evidentemente i malvagi. La poesia  li percuote con parole loro avverse e toglie loro seguaci. E così scrive: “…chi ha paura della poesia? Soltanto la folla impazzita / ha paura del verso. / Chi ha paura della parola? / Forse la morte ed il male / o i demoni del vuoto.”  Certo solo le forze demoniache possono essere ostili alla poesia: “I poeti annoiano le menti / consunte dal gelo dell’inverno.. quando pure il cuore è nel freddo.”
Mentre noi invece rimaniamo “…con radici secolari e forti / come i nostri pensieri / ostinati a coltivare amore.”
Profondo  poi l’accostamento tra poesia, mare ed eternità. Afferma: “Nel mare il segreto dell’eternità”, “Non desisto dall’amare il mare”,” I poeti abitano il mare / lo respirano o ne fanno versi / i poeti parlano con le onde / nel ricordo di Cristo.”
La poesia è bellezza e bellezza come specchio di bontà, di amore puro e incondizionato e perciò essa  inevitabilmente non può prescindere da Gesù. E come la poesia fa paura ai malvagi così anche Gesù: “Eppure le tue leggi, Cristo, / fanno paura perché / ricche d’amore senza condizione.”
Aspro dunque è il canto della nostra poetessa perché dilagante è il male che constata tutt’intorno nella società odierna; qualcosa di stonato avverte nella umanità, e molto significativa è la poesia  “Specchio”: “L’incrinatura nello specchio, / …nel profondo, …dilania frantumando / quanto prima era luccicante /…linea che spacca l’armonia.” 
Più di una poesia insiste sul fatto che non le può sgorgare per questo un bel canto, soave e armonioso, e lo esprime con amarezza, come possiamo osservare dai titoli: “Poema smarrito” (“subdolo susseguirsi / di atrocità perverse); “Sonetto imperfetto”; “Armonia artificiale; e proprio all’inizio “Un aspro canto”.
Ma nel profondo dell’animo, come abbiamo visto, non si spegne la speranza. Questa trae linfa dal senso dell’eterno che le dà il mare. Mare, eternità, poesia sono il miraggio verso la rinascita del mondo,verso  il recupero dei valori.
E possiamo concludere con questi bei versi, nella ferma speranza che avvenga  presto quel che Francesca Simonetti auspica nel suo intimo, e le rivolgiamo l’augurio  di scrivere un prossimo libro non più  dal titolo “Un aspro canto”, amaro ma purtroppo realistico e veritiero ma un canto diverso, “Un dolce canto.”
 “…il mare mi abita gli occhi / …sperando di ritrovare una voce di poesia che mi incanti.”
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