Pubblichiamo la prefazione di Tommaso Romano alla silloge "L'invisibile nutrimento" di Myriam De Luca (Ed. Thule)

Come in ogni aspra traversata esistenziale che ha perno nella scrittura insostituibile, la vocazione di Myriam De Luca, a partire dalla narrazione di Via Paganini 7 (2016, Premio Letterario Maria Cristina 2018) e dalle liriche della raccolta Esortazioni solitarie (2018), trova la sua “prova d’autore” nella presente opera in versi, L’invisibile nutrimento.
Eccellente e maiuscola architettura che trova la sua ragione proprio nella parola che si fa verso e che si misura con uno stile sempre più inconfondibile verso l’approdo consapevole di un mistero che, appunto perché “invisibile”, diventa metamorfosi di conoscenza, nutrimento, il salto metafisico che ha nome, Amore. E, sottolineiamo con Nietzsche, che “nel vero amore è l’anima che abbraccia il corpo”, come la poesia di Myriam sa evocare.
Non siamo in presenza di sentimentalismo e di sterili balbettii tardo-romantici.
La poesia della De Luca è carne e spirito, non cede alla facile ricerca della benevolenza del consenso, cerca gnosticamente la luce, percorrendo la via solitaria del cambiamento / balsamo per le mie speranze / medicina per le mie incertezze. E la De Luca, nella lirica Fluttua l’anima, sente che la propria coscienza convalescente (espressione di pregnante incisività), possa finalmente godere del suo vascello sicuro e prudente / la leggerezza di un mare interiore / ormai prossimo alla guarigione.
La metànoia della De Luca è come uno spartito celeste che ha i colori della certezza, fra memoria di sé e del mondo (anche del mondo piccolo, per usare una felice immagine di Guareschi) nella poesia “La casa dell’anima”) insieme al futuro ingiusto del mutamento, del divenire, delle ipotesi, fra speranze e incertezze.
Ecco, la simbolizzazione della propria città a partire dal Sacro Eremo del Monte Pellegrino di Rosalia, dove il sole filosofeggia con il mare (altro verso di scultorea bellezza) e, aprendosi alla vigorosa natura, alle zolle (che ci ricordano un loro cantore, il sommo Arturo Onofri), che si sublima, fra il vento e l’assedio di fiori, mentre gli occhi bevono rugiada e la natura diviene archetipo oltre i dubbi e le notti insonni.
In Notte di foschia Myriam De Luca giunge alla completezza della visionarietà attraverso un’autentica elegia che, in un grappolo di versi essenziali, è capace di evocare l’arcata immortale del cielo fra sferzate di mare.
L’essere, che ha attraversato emozioni, rischi, vuoti, si libera e vibra, fino alla palingenesi: Sono più forte, più felice / perché più essere. Una dichiarazione filosofica certo radicalmente impegnativa, che esprime appieno il cammino, la capacità tutta interiore di trovare un passaggio / per terre asciugate dal sole. È la rinascita, il ricominciamento con il cuore acceso di vita e, scrive, saziata di vento / con lo sguardo alto / ho forato nuvole nere. È, ancora, il superamento dello smarrimento, del dolore, dei dubbi: Poi la memoria dimenticò tutto / cominciò a leggere sul palmo / delle foglie di alberi nuovi.
La renovatio non è una metafora stanca, uno scontato espediente letterario, è piuttosto l’immersione nel bosco con i propri segreti indicibili. La Poesia di un attimo può farsi così eterna meraviglia, stupore ancestrale, ritorno ciclico alle origini: Baci di fiori da fissare / con le parole / dentro questi versi / così che la poesia di un attimo / brilli per sempre.
È il nuovo fiume di una felicità che si è svelata come possibile, qui e ora, oltre le attese spesso incapacitanti, cedendo ad occhi aperti alle profondità del cielo / che sprigiona echi / sterminati di libertà.
Questa raggiunta consapevolezza interiore, non esime Myriam De Luca dall’osservazione, dal guardare e osservare il mondo, l’imbroglio che spesso lo caratterizza praticando il contrario dell’armonia, scadendo - ella dice - nel disamore. La danza alle stelle, come sosteneva Nietzsche, si può ritenere in solitudine, mentre gli altri rimangono fermi, incapaci cioè di uscire dal torpore, dall’ignavia, dalle altrui miserie, malignità e avanzi di umanità.
Se il dubbio uccide l’amore, la pace oltre le tempeste non è solo un dono è una difficile conquista che nell’umano, troppo umano, non può sicuramente sbianchettare l’infelicità e a volte il nichilismo (in Come un burattino). Su alture irrorate di cielo / trovo nuovi fermenti / vestendo necessariamente, briciole di gaiezza / lungo il battito di ciglia bagnate / e le innumerevoli stanze / dell’immensità. Essendo ciò che si è, senza smarrire la stravaganza di un sogno, e l’armonia non sembra così distante / tra i voli accesi di cormorani.
Se l’approdo ultimo resta la bellezza nella poesia di Myriam De Luca, come si accennava, non manca la constatazione amara della fragilità, delle debolezze e delle illusioni che trovano espressione emblematica nei versi di Ciò che nutre distrugge.
Ricapitolando questa densa e ammaliante raccolta, la poesia è libertà, è diversità che suggella la conclusione (ma, in verità, mai un poeta può dire conclusa la sua visione), con una laica dichiarazione verso il proprio esserci: a passi leggeri cammino / sulla diversità complessa / dei suoi azzurri / sulla diversità difforme / delle forme / sulla diversità mutevole / delle ombre.
Il mare della vita vissuta senza negare gli abissi, è alfine la cifra della profondità complessa della poesia di Myriam De Luca, che non gioca né con le parole né con il destino e che compie la sua traversata con la forza che deriva da moti ondosi e calme trasparenze che si alternano e si manifestano nell’anima e che senza infingimenti o stucchevoli buonismi, esprimono l’intima veritativa parola, la propria weltanschauung, che trascende, con rara efficacia, l’equazione dell’ovvio. Ci troviamo, così, immersi in un humus che fa i conti con il vissuto, l’esperienza e che traccia come un sismografo la propria umanità, sapendo con l’assoluta tensione del pensiero e del cuore, che l’invisibile nutrimento è e resta la Poesia che, se declinata in miracolo di parola-verità, come avviene con le liriche, colme di grazia, di Myriam che assumono la valenza più compiuta di una universalità lucente.
 
 
 
 
 
 
 
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