“Il jazz e la pittura di un poliedrico artista” di Giuseppe Sole

Un singolare processo osmotico si è da tempo instaurato fra l’arte pittorica e la musica jazz. Un felice interplay accreditato dal fertile estro intuitivo di alcuni uomini del jazz il cui valore creativo si è parimenti distinto, con medesimo afflato, in ambedue i campi.
 Nell’ambito di questa cromatica sonorità, o viceversa, i nomi di Pee Wee Russell (clarinettista), George Wettling (batterista), Ornette Coleman (sassofonista, trombettista e compositore), Roscoe Mitchell (sassofonista, flautista e compositore), Daniel Humair (batterista e compositore), Meredith D’Ambrosio (cantante italoamericana), per indicare i più rappresentativi, si stagliano nel panorama della musica afro americana per avere frequentato, allo stesso tempo, altri universi artistici nel segno di quella consonanza espressiva che non è estranea all’Arte contemporanea. Russell e Wettling, ad esempio, che da jazzmen della tradizione abbracciarono invece uno stile pittorico avanzato, ricevettero lusinghieri giudizi critici nell’arco della loro fattiva esperienza coloristica. I loro quadri, improntati a un originale astrattismo, si possono ammirare anche nei più importanti musei americani.
A questo sincretico pianeta appartiene Renzo Nissim, un uomo dal multiforme ingegno scomparso novantenne nel 1997 che attraversò, non solo da spettatore ma per certi versi anche da attore (lo vedremo in seguito), l’intero arco della storia del jazz: la musica di cui rimase intrisa la sua poliedrica personalità artistica.
Ai più giovani il nome di Nissim suonerà strano anche se fino a qualche anno prima della scomparsa egli conduceva ancora su RAI Uno sia il programma musicale Canzoni nel tempo (giornalmente) che la rubrica bisettimanale Omnibus, in condominio, quest’ultima, con i giornalisti Giovanni Gigliozzi e Ruggero Orlando. Un incontro al vertice di tre forbiti e raffinati interlocutori la cui sottile vena ironica costituiva l’ordito dei loro conversari. La sigla di chiusura, Amico Blues, era una composizione dello stesso Nissim che la eseguiva al piano.
E proprio il pianoforte, che in quegli anni ’20 del secolo scorso si proponeva espressione solistica di una musica innovativa che giungeva dal Nuovo Mondo, fu  lo strumento che sollecitò il talento naturale del giovanissimo studente liceale che gli consentirà le prime performances musicali a Radio Firenze : la città dove Nissim nasce da una antica famiglia ebraica. Qualche anno dopo una incisione discografica per la etichetta Columbia, pur accreditandone la spontanea musicalità per un eventuale prosieguo professionale, non sarà così seducente da fargli abbandonare l’attività forense esercitata tradizionalmente in famiglia.
Il suo stride, lo stile pianistico cui sarà sempre legato, si aprirà ai nuovi accenti musicali di cui era ricco il pianismo di Teddy Wilson, jazzman preferito da Nissim, ed esponente di quella musica rivoluzionaria nella quale i giovani italiani di allora identificavano il sogno americano. Un sogno che per Nissim si avverò in un momento di costrizione imposto dalle leggi razziali alle quali poté sfuggire emigrando proprio i negli Stati Uniti.
Di quella sua avventurosa vicenda americana ci ha lasciato testimonianza nell’autobiografia “In cerca del domani” (ed. Belforte, Livorno) : uno spaccato di vita, vissuta all’insegna dell’incertezza e segnata da avvenimenti e situazioni imprevedibili che il protagonista riesce a gestire con intelligenza, ironia e con una certa dose di fortuna. La sopravvivenza, ad esempio, viene affrontata con l’esercizio dei più disparati mestieri (operaio, rappresentante di commercio, fotografo, autore di drammoni strappalacrime, giornalista) che lo prepareranno al salto finale sulla ribalta del successo, ottenuto nelle vesti di commentatore e presentatore della Voce dell’America: una emittente radiofonica statunitense che si rivolgeva ai paesi oltremare, particolarmente quelli belligeranti.
Nissim con lo pseudonimo di Renzo Renzi fece conoscere agli italiani in patria le stelle vocali di allora (cantanti come Frank Sinatra, Bing Crosby, Billy Eckstine, Frankie Laine, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, nonché le grandi orchestre della swing era) unitamente ai più grandi jazzisti dell’epoca (Louis Armstrong, Jack Teagarden, Teddy Wilson, Coleman Hawkins, Benny Goodman, Lester Young ecc…) che ospitava nelle sue trasmissioni radiofoniche. Per lui quegli anni furono di intenso fervore musicale, di totale coinvolgimento jazzistico : una interminabile jam session. La sua casa di Central Park South fu per anni meta di jazzofoli e jazzisti. Billie Holiday, Joe Venuti, Teddy Wilson, Benny Goodman e tanti altri ne erano gli abituali frequentatori. E proprio con quest’ultimo, chiamato il “Re” dello swing, durante una trasmissione della Voce dell’America, Nissim ebbe un inaspettato momento di celebrità. In quella occasione Goodman, clarinettista e band leader, spazientito per il mancato arrivo del suo pianista Dick Hyman, non volendo più attendere per iniziare le prove, invitava Nissim, che frattanto si era messo da solo a strimpellare il piano, a prenderne il posto. In un paio di brani, Sweet Georgia Brown e Memories Of You, Goodman lo incitò a entrare in assolo.
Una poliedricità, quella del Nostro, che ne illuminerà la carriera artistica e professionale. Così l’acuto e versatile giornalista (corrispondente da New York de Il Tempo e di altri rotocalchi quali Il Tempo Illustrato, Settimo Giorno, L’Illustrazione Italiana) che ha l’opportunità di intervistare personaggi della scena politica, letteraria e scientifica internazionale (John Foster Dulles, Fulgencio Batista, Giuseppe Prezzolini, Loomis Ezra Pound, John Steinbeck, Ernest Hemingway, Albert Einstein ecc…) si traforma nel vivace e fantasioso raconteur, il cui stile asciutto e dall’avvincente tono affabulatorio raggiunge vette di sapida narrazione nell’ultima fatica letteraria “Amore del gioco e gioco dell’Amore” (ed.Belforte, Livorno), un continuo e divertente interplay fra due esaltanti passioni dell’uomo : l’eros e il giuoco d’azzardo, in una serie  di racconti autobiografici.
Non meno sorprendente l’ulteriore risvolto di un fertile eclettismo che ci rivela anche il Nissim brillante commediografo : “La moglie americana”, “La casalinga”, “Genitori e figli”, sono state opere  che hanno conseguito applaudite rappresentazioni teatrali.
L’approccio alla pittura in età matura (cinquanta anni) sarà da lui motivato con una tipica battuta da copione… «per superare le mie depressioni».
E l’incontro con le arti figurative (dopo una brevissima esperienza astratta rimarrà sempre fedele al post-impressionismo) gli aprirà le porte di un successo niente affatto ambíto che egli mai cercò di alimentare; anzi il sottrarvisi è stata la sua primaria aspirazione cui non volle mai rinunciare e che era solito giustificare «…la preparazione di una mostra esigeva di riunire e organizzare una mole di articoli, di recensioni critiche, di monografie…era un lavoro improbo che mi avrebbe impegnato per settimane, ostacolando la mia attività giornalistica, le mie collaborazioni con la RAI e gli incontri con gli amici jazzisti…». Sí, perché il pittore delle cupole (cosí soprannominato per il ricorrente suo tema pittorico raffigurante le cupole dei più noti monumenti italiani) era sempre rimasto un jazzman verace : la presenza del pianoforte accanto a tele e pennelli lo confermava ampiamente.
L’immutata sua verve musicale, sostenuta ancora da una buona pratica strumentale, mi è rimasta impressa a proposito di uno swingante On The Sunny Side Of The Street che egli eseguì in mia presenza nel corso di un afoso pomeriggio romano. Di quel “giovane” ottantaquatrenne mi colpì subito l’esuberante spirito giovanile che si riverberava in una voce squillante e sicura.
Ho conosciuto Renzo Nissim alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. Avevo iniziato a collaborare con la sede regionale siciliana della RAI per una serie di trasmissioni radiofoniche di jazz che curavo e mandavo in onda da Palermo; pensai subito di invitarlo come ospite telefonico a una di quelle puntate. Benchè si fosse schermito dall’invito, dichiarando di essere ormai fuori dal jazz, accettò poi di buon grado rivelando una competenza da addetto ai lavori. Da quel momento iniziò una cordialissima amicizia.
Qualche mese prima di lasciarci, Renzo rifiutò di vedere o sentire gli amici. Capii che stava per compiersi quella sua premonizione manifestatami nell’ultima lettera. Di lui, oltre il ricordo di uno spirito “eletto”, conservo una preziosa corrispondenza epistolare e un piccolo dipinto nel quale è raffigurata la Cupola per antonomasia : quella della sua città natale.
 
 

 
 
 
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