Il  KΌΣΜΟΣ nella poesia  di Clara Janés e nelle immagini grafiche di Eduardo Chillida

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                  Clara Janés

 

Clara Janés, poetessa, scrittrice e traduttrice (Barcellona 1940), considera la parola poetica come qualcosa di sacro, fuori dal tempo, e nella sua quête ripercorre itinerari mistici che si intrecciano con quelli creati dalla realtà oggettiva. La sua maniera di creare le poesie è paragonabile al lavoro dell’alchimista, che cerca l’eterno attraverso le trasformazioni della materia. Così per Janés non c’è l’ “essere” assolutamente fisso e statico, c’è piuttosto un “esistere”, da intendere nel suo senso etimologico di “ec-sistere”, emergere, sforzarsi di uscire dal nulla e insieme tendere sempre a ritornarvi. Il cosmo è quasi pervaso da un vitalismo che impedisce una quiétud assoluta e mantiene sempre tutto in divenire. La poesia si eleva a cantare questa specie di dramma cosmico, in cui si proietta anche quello umano. Il poeta o l’artista è capace di cogliere intuitivamente questa animazione profonda dell’universo, questa forza che determina tanto i moti del suo animo quanto quelli della materia, questo legame profondo del tutto.

Durante il Seminario “L’estetica nella poesia del Mediterraneo” (Mazara del Vallo 1999),  Janés ha sostenuto che

«il ruolo della cultura e della poesia è quello di conservare e di curare la bellezza e le cose possibili, quello di far continuare le cose, di riprodurle e di rigenerarle; una sorta di speranza, di consolazione e di possibilità di conservare un’identità e di lottare per essa».

La costruzione dell’immaginario janesiano si sviluppa attraverso alcune dicotomie: “essere/esistere” la cui differenza è segnata dal passaggio del tempo, dalla caducità della materia, “eros/agape”, “luce/tenebre”, “leggerezza/gravità” opposti in continua tensione che sono rappresentati con linguaggi diversi nella loro attività poetica, ove riesce a rappresentare in modo proteiforme il concetto di “corporeità” legato, fin dalla cultura classica, al tema del “tempus fugit”.  Janés scrisse le prime poesie negli anni sessanta in un periodo di inquietudine esistenziale, come emerge dalla raccolta Las estrellas vencidas (1964) e Limite humano (1973) ove enuclea un tema che l’accompagnerà in tutta la sua opera: il desiderio di oltrepassare la materialità e raggiungere spazi di assoluto.

Clara Janés appartiene alla generazione di poeti che Carlos Bousoῆo definì “emarginata”. La sua poesia è stata tradotta in francese, italiano, inglese, ceco, tedesco, olandese, greco, turco, portoghese, serbo-croato, islandese, ungherese, urdu, persiano e arabo. Dal1983 ha partecipato ad incontri letterari nazionali ed internazionali. Ha studiato Lettere e Filosofia all’Università di Barcellona. Ha conseguito il titolo di Maître en lettres all’Università di Parigi IV Sorbona, ha tradotto in spagnolo Marguerite Duras, Nathalie Sarraute, Katherine Mansfield, William Golding. Si è distinta soprattutto per le sue versioni dal ceco e per la traduzione dell’opera poetica di Vladimír Holan e Jaroslav Seifert. Nel 1997 ha ricevuto il Premio Nacional de Traducción.

Fin dalla sua raccolta d’esordio Las estrellas vencidas si evince l’indagine sulla femminilità e sull’intimità. Un momento importante della formazione poetica di Clara è stato il suo incontro con il poeta Vladimir Holan, vissuto a Praga, sull’isola di Kampa, sviluppando in lei un nuovo genere poetico, quello visionario e notturno, riscontrabile in Libro de alienaciones (1980).

Al  poeta cecoslovacco dedicherà Kampa (1986);  silloge  che è considerata una dei nodi cruciali della letteratura erotica femminile. L’indagine sulla donna e l’erotico sono ulteriormente sviluppati in Eros (1981) e Vivir (1983), in un modo talmente esplicito da indurre Rosa Chacel a definire Janés una delle più grandi poetesse d’amore della letteratura spagnola contemporanea.

 Il sentimento amoroso si trasforma in ricerca di una comunione quasi mistica con il cosmo, attraverso la contemplazione delle strutture insite nella materia, in Fósiles (1987) e  Lapidario (1988)In altre sue opere  Janés esamina nuove varianti della relazione tra il femminile, il corpo, la sensualità e l’erotismo, ad esempio, attraverso la connessione tra Eros e morte in Arcángel de sombra (1998), in cui l’umana sembianza si trasfigura nella corporeità sottile dell’angelo, potente immagine della mistica islamica che prefigura l’ascesa al paradiso. [1]

Il linguaggio janesiano si presenta molto ampio grazie all’abilità della poetessa di rinnovarlo ed elaborarlo attraverso l’incorporazione di lessemi, metafore tratte da diversi campi del sapere, da quello mitologico a quello delle scienze moderne, soprattutto nelle opereLa indetenible quiétud, Paralajes Los secretos del bosque.

L’ampio orizzonte culturale a cui fa riferimento il lirismo janesiano è ben presente nel saggio La palabra y el secreto; un fitto colloquio con intellettuali da lei studiati, che travalica il mondo poetico per sconfinare in una prospettiva scientifico-filosofica.

Così, per Janés, la poesia nasce, da una parte, dal ritmo stesso dei fenomeni vitali, dal respiro, dal camminare, e dall’altra conduce a una visione della realtà che supera le usuali concezioni dello spazio, del tempo, della materia, degli elementi naturali, dell’universo.

Giunta alla sua diciottesima raccolta di poesie, con La indetenible quiétud   Janés ha riconfermato ciò che per lei ha sempre rappresentato l’esercizio poetico, non un puro lirismo, bensì una forma profonda di conoscenza. In questo percorso lei ha trovato delle convergenze con altri artisti contemporanei, seppure di campi artistici diversi, come i grandi scultori Brancusi e, soprattutto, Eduardo Chillida (San Sebastián, 10 gennaio 1924 – 19 agosto 2002).

Il basco Chillida, presente con sei stampe accanto ai versi della raccolta La indetenible quiétud, si pone, come la Janés, in uno stato di meraviglia e di interrogazione di fronte al mistero dell’essere, della realtà e delle sue dimensioni fondamentali (spazio, tempo, forze naturali).
Per Eduardo Chillida il carattere dinamico che pervade tutto l’universo sta in una tensione di forze: gravità, che porta alla “caduta” della materia verso il basso, e d’altra parte forza ascensionale verso l’alto; e analogamente: «forza centrifuga che si oppone a quella centripeta» (Preguntas, 1998). Questo è uno dei concetti ricorrenti che si trova alla base di alcune sue opere gigantesche, come quelle costituite da pesantissime masse di cemento tenute sospese in aria, ma anche di opere di piccole dimensioni, come quelle che ha chiamato gravitaciones, cioè, pacchetti di pochi fogli di carta, diversi per forma e dimensione, sospesi alla parete mediante cordicelle, leggermente sovrapposti in modo che tra di essi rimanga un po’ d’aria e che «el espacio entre en el papel»; tutto ciò da la sensazione della gravita e insieme della leggerezza.

Janés e Chillida sono approdati naturalmente a questo lavoro in comune: La indetenible quiétud, libro realizzato su carta a mano e presentato il 21 ottobre del 1998 al Museo Centro de Arte Reina Sofía di Madrid.

Era stata dapprima Janés a interessarsi all’opera dell’artista basco, nella quale trovava una profonda consonanza, impressione presto ricambiata da Chillida, sicché ne nacque l’idea (poi variamente rimaneggiata) di fare appunto un libro in comune, basato su due diversi linguaggi artistici.

Janés, precedentemente, aveva cercato di rendere attraverso la parola contenuti espressi da altri artisti, particolarmente visivi o musicali, pubblicando nel 1991 Emblemas, in cui le sue poesie si collegavano a disegni fatti da Menchu Gutiérrez.

Eduardo Chillida ha espresso nelle sue opere, in maniera non razionale, la «grande lotta che si svolge sulla verticale tra le forze che salgono e quelle che scendono, la stessa lotta che ha luogo nelle linee curve tra centripeto e centrifugo, tra convesso e concavo».

 

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                         Forme di Eduardo Chillida

 

Janés ha cercato di interpretare con cosmologie poetiche alcune sculture di Chillida e, rispetto ai precedenti tentativi, in La indetenible quiétud  ha spiegato: «quello che ho fatto ora è molto differente, è un andare più a fondo, fino ad un punto di vera comunione tra l’opera di Chillida e la mia». Si deve tener presente che ha scritto le poesie della raccolta senza aver prima visto le stampe, che da parte sua Chillida aveva preparate ispirandosi solo a concetti già espressi in precedenza dalla co-autrice, quindi senza aver letto le poesie di La indetenible quiétud. Si tratta insomma di una convergenza di fondo dei loro due percorsi in una ricerca che tenta quasi di penetrare la realtà profonda e misteriosa della materia, del cosmo, le cui strutture e dinamiche sono avvertite come un gioco di forze e di tensioni, come qualcosa di mai fisso e statico, come un insieme di contrasti dialettici. Da queste tensioni nasce infatti l’equilibrio stesso, la stasi, la quiétud, e da qui deriva il titolo della raccolta ad indicare una quiete che non può togliere l’inarrestabile flusso del divenire. L’equilibrio in sé non esiste, mentre esiste la forza di essere mobili, l’inequilibrio, ossia, come ha espresso poeticamente Janés, esiste il «desasosiego del signo».  L’incontro artistico Janés-Chillida si manifesta essenzialmente sul piano di «temi cosmici, come il vuoto o la luce » nelle poesie: “Mesa de silencio”, “Columna del infinito”, “Reflexión”, “Segunda Reflexión”, “Tercera Reflexión”.

 

El alba sopla pétalos de luz.

Vibra el vacío

en invisible movimiento

e invita a orientación.

El secreto del silencio

revela su ser secreto:

la quietud sin fondo

del amor.                                              (La indetenible quiétud – Siruela 2008) 

                                                         

***

La paloma invisible de la conciencia

establece los planos del silencio

donde un ave insinúa

a las azules,

canto infinito,

hilo de agua

entre la boca sumergida

y el alto manantial inalcanzable.        La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

Scorrendo le sei stampe, che Chillida ha inserito in mezzo alle trentadue poesie della Janés, troviamo che sono tutte giocate su una medesima struttura: un fondo che presenta come un ammasso di punti, forse stelle, pulviscolo cosmico;  punti più o meno grandi e variamente distribuiti, tagliati talora come da solchi sottili, mentre in primo piano spiccano invece alcuni grossi segni lineari molto essenziali, che richiamano anche le forme di certe sculture di ferro di Chillida e che, pur nella loro varietà, contengono tutti un’idea di delimitazione, o di concavo e convesso, di dentro e fuori. È un’immagine confortata da quella che dell’universo dà oggi la scienza: un universo che, secondo la teoria del big bang, si espande dispiegandosi in una fantasmagoria di corpi celesti destinati infine a “collassare” nei cosiddetti buchi neri, vortici in cui la materia viene come risucchiata. È un continuo processo di creazione e insieme di distruzione, come nell’antica danza di Shiva, che simboleggia la ruota del “nascere/morire”. Attraverso l’opera di Chillida, sempre secondo Janés, si coglie una specie di messaggio segreto, una conoscenza misteriosa come quella dei mandala indiani; si attua una specie di epifania, in cui le distinzioni solite dello spazio e del tempo sembrano scomparire dando nell’insieme l’idea di «un ser que escapa porque se expande como el universo».

 

Médanos de la mente,

formaciones fugaces de la memoria,

ahogo y mansedumbre…

El látigo del sol fustiga las horas.

El tiempo alimenta la eternidad

y no desmaya en su avance,

pero el olvido es el río oculto

donde se lavan los días

para llegar purificados a la muerte.

Nada dicen los astros.

El augur agoniza de deseo.                   (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

***

 Mientras los durmientes,

suspensos en su nebulosa,

ignoran la dirección del tiempo,

la blanca caracola

que recorre sus sueños

en la amplitud nocturna.

Mas un ovillo de luz inicia su rotación

y a sí mismo, con tal fuerza

que al fin sólo un punto negro

y luego nada.

La materia oscura

se pone a calcular

con números imaginarios.                   (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

                            

 Questa cosmologia poetica janesiana ha le sue radici sia nella tradizione mistico-filosofica legata al neoplatonismo  che nel sufismo. Con questa sua impostazione Janés sembra accostarsi alla dimensione della cosiddetta “terza cultura”, che intende superare lo iato tra cultura umanistico-letteraria e scientifica. Partendo magari da elementi minimi, come una foglia, un albero agitato dal vento, un’alba o un crepuscolo, la caduta di una pietra nell’acqua, Janés arriva a evocare la misteriosa struttura fondamentale dell’universo, che è anzitutto un vuoto ineliminabile in quanto altrettanto essenziale del pieno, un vuoto percorso però da vibrazioni.

 

Exfoliaciones, maclas, drusas,

facetas, estratos, sinclinales,

fractales, nervaduras, umbelas,

esporas, anteras, dehiscencia,

lluvia, irisación, irradiación,

succión, ligereza, gravedad,

invertebrada opacidad de la muerte,

frecuencia del fuego en el pulso ansioso,

espiral abierta del espacio insomne,

remolinos del tiempo

en pos del anillo invisible de la noche.

(La indetenible quiétud – Siruela 2008)

***

Las nubes ceden a estrellas,
las estrellas forman fuegos,

los fuegos incendian nubes
y por los espacios giran
discos y planos y esferas

en espirales ascensos,
desapariciones súbitas,
caídas y retrocesos,
sonámbulas simetrías,
urentes círculos tensos
por un radio indetenible.
Los fuegos incendian nubes,
las nubes ceden a estrellas,
las estrellas forman fuegos.                        (La indetenible quiétud –Siruela 2008 )

 

 Da questo vuoto e da queste vibrazioni, che in certo senso sono anche un’armonia musicale, emerge lo spazio, il tempo, la luce e ogni altra cosa, salvo poi a ripiombare di nuovo nell’oscura quiete dei “buchi neri”, agujeros negros, in cui la materia stessa diventa invisibile: materia obscura. Tutto insomma evoca forze e tensioni, vi è una specie di animazione universale ancorché in gran parte inconscia. Troviamo questa rappresentazione cosmologica nel componimento n. 6 di La indetenible quiétud:

 

No quiere ser poblado el vacío

pues dejaría de ser,

y así teme la montaña

la concavidad forzada

que devora su impenetrabilidad,

mas la piedra abre sus venas

y engendra un claustro de sombra,

negro agujero quedo

que todo lo apacigua .

 

II contrasto del vuoto e del pieno, del dentro e del fuori, che è così presente nelle litografíe dell’opera di Chillida si ritrova nei versi della Janés.

 

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      Incisione di Eduardo Chillida

 

Un simbolo della materia originaria, dell’essere primordiale nel suo farsi o esistere, è il mare, che non è mai un passaggio determinato da un punto ad un altro, non raggiunge mai una meta definita ma è piuttosto un labirinto e un divenire caotico.

La vita e la struttura delle cose sorgono dal vuoto tenebroso, identificato talora anche con la negrura prenatal. Così l’oscurità della notte o del fondo del mare si presenta anche come fonte della vita e d’altra parte come punto d’arrivo della materia cosmica, degli astri in attesa del cataclismo de la luz.

Ed ecco, infine, come la semplice osservazione dei movimenti spiraliformi che le folate di vento imprimono a foglie secche sparse sul terreno evoca i “campi di forza” che permeano lo spazio e impediscono all’essere di raggiungere uno stato di quiete assoluta:

 

 Corre la luz

y por ello fugaces son

la imagen y el momento

y hasta el árbol

que su destello bebe,

él se entrega a la danza

entre el ser y el no ser

y en su candor

al incendio se abandona.

Sólo la helada apacigua

el torbellino de las hojas.                  (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

***

 Desasosiego del signo.

El viento obliga a la danza,

las hojas secas

dibujan campos cambiantes,

traslaciones y trascabos, dudas.

El aire dilacerado

incita hasta al tímido latido,

y el Ser, que no puede dar el salto…

Fluctúan los cielos,

la sombra de una nube

se desliza por el corazón.                (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

 La raccolta La indetenible quiétud è, dunque, il racconto di questa profonda tensione creatrice attraverso la ripresa di ritmi, suoni, parole, immagini, formanti come dei ricercari che vengono a comporre una polifonia cosmica. Queste immagini cosmiche producono nuove geometrie verbali nel linguaggio poetico janesiano, lo arricchiscono di nuove associazioni semantiche.

Si potrebbero moltiplicare ancora gli esempi di questa visione cosmologica che trova nella stessa contemplazione dell’universo una sorgente di meditazioni e intuizioni poetiche. Aleggia quasi un misticismo naturalistico e panteístico, in quanto la poesia sembra sorgere dalle radici stesse de Kόσμος , come se tutto fosse animato e in certo senso divino, come se il soggetto poetante si ricongiungesse con «el alma che sostiene el universo». È interessante notare come nel linguaggio janesiano questi trayectos, percorsi in libertà, si oppongono al trayecto obbligato della forza centripeta della gravità come si legge nei versi: «Desmiente el agua lisa/la caída del cuerpo / que fue trayecto…».

 

 Aligera el horizonte

la luz oscura

hasta el punto

en que, privada de tiempo,

se desvanece la música.                         (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

***

 No hay hilo que descifre

el laberinto del mar,

que no es trayecto del mar;

que esbozo es de lo invisible el mar,

condensaciones, tendencias;

que siempre es pasado el mar,

origen, materia madre,

sin forma, sin sombra, el mar;

que es deseo puro el mar,

pura posibilidad.                                     (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

Clara Janés ci mostra che l’espressione lirica può nutrire non solo la sensibilità ma anche la riflessione; viaggiare nella poesia, in un’erranza sempre “contro”, ma sempre a favore di una sola cosa: la vita.

 

  El viento obliga a la danza,

las hojas secas

dibujan campos cambiantes,

traslaciones y trascabos, dudas.

El aire dilacerado

incita hasta al tímido latido,

y el Ser, que no puede dar el salto…

Fluctúan los cielos,

la sombra de una nube

se desliza por el corazón                      (La indetenible quiétud – Siruela 2008)

 

 Per quel che riguarda il viaggio o erranza Janés  ricorda le parole che il poeta turco

Dağlarca ha detto in un simposio di poesia di Istanbul:

« Penso che la vita stessa sia erranza, perché è in movimento. Se osserviamo la più piccola forma di vita, anche solo una cellula, notiamo che è sempre in movimento; è una relazione interno-esterno, è anch’essa una forma di comunicazione. Possiamo dire che quest’erranza faccia parte della nostra costituzione. Essa adotta diverse forme, ma in fondo, come potrà la poesia non essere erranza quando lo sono la nostra stessa vita, i nostri stessi corpi? La poesia è ciò che resta quando le parole scompaiono. Non dobbiamo essere così attaccati alle parole … la poesia esiste anche al di là delle parole».

Riprendendo il concetto dell’essere primordiale che è il mare, Janés così si esprime:

«C’è silenzio nel mare come un canto “rodato” nell’ondeggiare degli alabastri di Chillida … Tutto può stare in tutto e il Mediterraneo, che come la luce si manifesta di per se stesso, è presente perfino nell’invisibilità dell’aria».

«Che il mare si addormenti» (Odisseo)scrive Simonide di Ceo.

Ma il mare in sé è insonne e costantemente oscilla e batte con le sue onde la riva ed emette un suono roco, pieno di echi cavernosi che ci parlano del mondo degli abissi.

La realtà poetica del mare è aurorale, ma le sue ondate superano i secoli.

Eschilo fa parlare l’Oceano con Prometeo, Dante paragona la volontà di Dio a «quel mar a qual tutto si muove ciò ch’ella crïa o che natura face» (Paradiso Canto III – La Divina Commedia)Ungaretti lo converte in una bara: «col mare/ mi sono fatto/una bara/di freschezza» (Universo).

Così, Clara Janés, benché non risieda più nella sua città natale, Barcellona, continua ad ispirarsi al mare, e, solcando l’azzurro del cielo, un cielo a volte disseminato di astri che la portano con la loro luce a luoghi lontani come Istanbul, continua a rivolgersi alle acque:

«No hay hilo que descifre el laberinto del mar, que no es trayecto el mar; que esbozo es de lo invisible el mar, condensaciones, tendencias; que siempre es pasado el mar origen, materia madre, sin forma, sin sombra, el mar».

Questo Mare Nostrum che, a ondate, deposita brandelli di tutte le civiltà che sono nate sulle sue rive e le mescola tra loro, dà loro unità nella diversità e riunisce tappe distinte della storia, generando, per usare le parole del poeta greco Sarandis Antiocos, una «confusione di aromi».

 

[1] Si ricordano altre sue opere:  En busca de Cordelia y Poemas rumanos (1975), Antología personal (1979), Creciente fertíl (1989), Ver el fuego (1993), Rosa rubea, Poemas de Clara Janés (1995), Rosas de fuego (1996), Diván del ópalo de fuego (1996) (o la legenda de Layla y Machnún), La indetenible quietud (1998), Cajón de sastre (1999), El libro de los pájaros (1999).

In prosa ha scritto i saggi: Cirlot, el no mundo y la poesía imaginal(1996); trovando alimento nell’orfismo, nel platonismo, nello gnosticismo, nella mistica di tutti i tempi e le culture fino nel surrealismo di Cirlot;

La palabra y el secreto (1999); i romanzi: Los caballos del sueño (1989) e El hombre de Adén (1991); la biografia: La vida callada de Federico Mompou (Premio Ciudad de Barcelona 1975); il libro di viaggi: Sendas de Rumanía (1981); uno di memorie d’infanzia e di adolescenze: Jardín y laberinto (1990), e Espejos de agua (1997). Negli ultimi anni ha pubblicato: In un punto di quiete (Milano, 2000), La linea discontinua (traduzione italiana di Emilio Coco, 2002), Paralajes(2002), Los secretos del bosque (2002), Huellas sobre una corteza(2004), La voz de Ofelia, Siruela (2005), Variables ocultas (2010), De la realidad y la poesia tres conversaciones y un poema (2010), Movimentos insomnes (2011), La vida collada de Federico Mompou (2012), Orbes del sueῆo (2013).

Giovanni Teresi

 

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