Damiano Mandalà al Margareth cafè di Terrasini - di Anna Maria Esposito

 

 

Damiano Mandalà è un uomo gentile.

Lo rivela la sua pittura, una fresca sorpresa all'interno delle due sale di questo caffè letterario. All'interno la proprietaria, Margareth Catarinicchia, ha scelto di dipingere di nero la metà superiore dei muri al fine di agevolare le esposizioni. In questo caso mai accostamento fu più ospitale: le opere di Damiano sono eleganti e raffinatissime isole di colore a cui il nero dà prezioso valore. Lo sguardo si perde nell' indagare le singole opere, ognuna un delicato e singolare racconto. Gli accostamenti del colore sono nitidi e accolgono immediatamente lo sguardo all'interno del suo mondo subacqueo. Gli accostamenti, preziosi, sono irresistibili. Damiano ama i contrasti: pure superfici campite di bianco sfidano, vittoriose, le aree rosse e blu. È difficile definire i suoi colori: ciò che sembra bianco è in realtà un meccanismo complesso che lascia intravedere la ricerca precedente di velature, scrostature, graffiature: ogni opera è un discorso aperto e mai concluso.

La sua tecnica sapiente usa ogni artificio.

La capacità dell’acrilico di asciugare rapidamente viene utilizzata per creare impasti preziosi e sorprendenti, che vibrano nel confronto con i colori primari d'attorno. Ma anche questi cedono alla complessità del colore. Compie la ricerca sulle possibilità del colore arancio; il blu vira verso il nero, come una discesa verso un mondo interiore non indagato, e, al confine, onde pennellate sono il racconto del vento sulla superficie dell'acqua e contemporaneamente ideogrammi di pensiero. Nel suo lavoro minuto e sontuoso nulla è lasciato indietro: descrive, senza parole, i milioni di attimi di una vita che danzano nella mente dell'autore mentre, nella quiete dello studio, si abbandona al vento emotivo della creatività. Ogni tela è profondamente diversa dall'altra, anche se il comune denominatore è la cesura delle superfici in due o tre fasce; in alcune tele compaiono figure che sono presentate come attori nel loro palcoscenico. Sono personaggi colti nell'attimo della loro apparizione, probabilmente il momento topico che corrisponde alla loro attività principale. Figure senza equilibrio, dinamiche, fuggenti, mai in posa ma colte in un movimento inarrestabile. Così, dicevo, ogni tela è un mondo a sé. Alcune a raccontare di mondi paludosi, fanghi e palafitte, ma tutto sublimato con un colore vitale e trascorrente, un mondo che continuamente tende all'attimo successivo: un mondo schiumoso, luminoso, pieno di speranza. Un mondo raccontato, un universo che aspetta il domani, un mondo che respira se stesso. E dolci sono le superfici, morbide e cangianti. Palpiti come battiti del cuore che trascorrono l'uno dell'altro.

Gli influsso degli anni della formazione sono evidenti: autori ben conosciuti nella scena artistica degli anni '80 e ‘90 a Palermo: Canzoneri, Martorelli, Pedone, Signorini.

E poi il richiamo sommesso e rispettoso ad Osvaldo Licini e Ignazio Schifano, di cui ha colto la lezione e di cui dimostra l'attualità intramontata.

Ironico, sublimemente elegante, con finta ingenuità mi dice: “il quadro è in chi lo osserva”.

Omette di dire che il suo condurci nella trama delle sue opere ed è determinato e intransigente. Vediamo ciò che vogliamo o vediamo ciò che l’artista ha deciso? Nell'infinita tavolozza delle sue vibrazioni getta così tanta carne al fuoco che infine vediamo esattamente ciò che lui vuole mostrarti. Tele come palcoscenici che si aprono su diverse scene: epifanie da un mondo onirico.

Damiano Mandalà, architetto, ha ripreso la pittura da 20 anni. Dipinge per necessità personale e perché ha un profondo amore per la pittura. Dall’olio però è passato all' acrilico che gli permette colori più vivaci. La rapidità nell’esecuzione gli fa accostare rapidamente i colori per puro e subitaneo istinto non mediato da alcuna riflessione. Inoltre l'acrilico gli permette amati e sorprendenti effetti di acquarellato e trasparenze.

Da poco tempo ha scelto di usare tonalità come un rosa carneo e un celeste (che definisce “celestiale”), il blu ceruleo. Li chiama “contrasti strani”. Di alcuni confessa la ricerca onirica. Mi dice che si sta liberando di cose complesse, andando verso la semplicità, inseguendo l'istinto nella semplificazione. Nella scene non un unico soggetto scomposto, ma molte scene accostate: non un racconto ma un panorama. Anche il supporto è molto importante, con la tela elastica che restituisce effetti di morbidezza. E mi rivela, infine, alcuni significati, come ne “L’ultima speranza” , ferita, lacerata, graffiata, o “Elementary”, la casetta dell’infanzia, con sotto un felice pantano.

Una magnifica scoperta.

Anna Maria Esposito

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.