XXXV Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà
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- Category: Scritture
- Creato: 27 Maggio 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Da quell’incontro non ci separammo. Stefania giungeva con un macchinone, io abitavo in maniera improvvisata, staccato da Norma, due stanze ed il letto era accanto al rubinetto, per significare l’accampamento, credo che sia così. Fu così. Stefania non diede segni di sbalordimento. Vivevo in tutt’altra mente dal considerare l’abitazione. Avevamo rapporti, però Stefania precisava: a quali condizione i rapporti? Il piacere? L’amore? Un vincolo? Non intendeva suscitare rapporti momentanei. Smemorati il giorno dopo. Bisogno di fare l’amore, ma come si determina la faccenda? Veniva, angosciatissima se non mi trovava, capitava che io andassi da lei che tardava mentre lei viaggiava da me(non avevo telefono). Ne derivò il mutamento, mi spostai nel suo appartamentone, il che ebbe effetti, fummo in scena per il genitore, la zia, e non era esposizione immune da giudizi. Stefania doveva rendere accettabile la mia esistenza, non era famiglia che ammetteva la convivenza. Alla sostanza , dichiarai la mia volontà di sposare Stefania Ferrero.
Qualche ora prima della partenza per la Sicilia dove avremmo concluso il nostro rapporto con il matrimonio non eravamo certi di partire e di sposarci.. Stefania consultò un suo amico , Di Bartolo,un astrologo ,gli descrisse data e quant’altro e Di Bartolo, successivamente lo incontrai, uno studioso, se l’Astrologia vale, le dichiarò che poteva coniugarsi con me e aggiunse del buono perchè Stefania se ne rallegrò,felice di sposarmi. Che io mesi e mesi convivessi, spariva, l’astrologia fu decisiva. Ma c’era altro per la diffidenza, qualche giorno avanti io avevo chiesto deciso di recarmi da Norma inventando che era malata e ne avevo il dovere. Mi recai nel suo negozietto, seduta, assorta, mesta, un empito di pena , a immaginarla sola, con quel localuccio, mentre io attingevo la grande vita, e lei qualcosa avrebbe saputo, forse, svilendosi maggiormente. Piansi.Le promisi quel che non mantenni. Anzi, la dimenticai e volli dimenticarla. E se la memorizzo con qualche malinconia per la sua vita deludente non diede alcunchè alla mia vita.
Ero andato al secondo piano dal padre di Stefania e discutemmo di…politica! Stefania mi fece un gesto nervoso di non continuare a sparlare di politica ma di chiederla in matrimonio,il che avvenne. L’ingegner Giulio Ferrero si sconfortava per questa unica figlia molto irrequieta, molto non borghese di famiglia borghese, borghesia che considera il mondo dell’arte stravagante se non corrotto e talvolta considera la cultura vana, antieconomica. D'altro canto Stefania aveva avuto rapporti pessimi che vennero a mia a conoscenza, un matrimonio giovanile per fuggire di casa, ne manteneva ricordo pessimo ,investigazione sacerdotale per la non consumazione, ne aveva tratto anche l'idea che era colpa sua, ebbe poi un artista, pittore, Paolo Ganna, ed anche stavolta qualche difficoltà intima. Esperienze, altre, ma non ammetteva rapporti senza impegno. Ne trasse sfiducia quale donna. Invece una donna appropriatamente , corpo consistente, formoso, si stringeva un corpo sentendolo con pienezza, sia del corpo nel corpo sia nelle manifestazioni della femminilità che si abbandonava. e le sue mani dalle lunghe dita avvolgitive, gli occhi perdevano l’aridità torbida di una qualche non rassicurante fermezza mentale..Essere ricca la induceva a sospettare attenzione nei suoi confronti per vantaggio non per amore. Un padre che a suo giudizio la impoveriva si diffuse ad ogni prossimità, nessuno la amava, il suo denaro la faceva valere. Almeno questo di me non lo sospettò.
La notte stava per giungere .Dovevamo partire, e finalmente l'astrologo Di Bartolo concede l’affermazione. Appresi che il padre di Stefania si era impegnato a conoscere la situazione della mia famiglia, a Messina,da un ingegnere della Città, amico dei miei! Immaginabili le cognizioni. Potevamo ampiamente sposarci.
Ho dato cenno che Stefania, il padre, la zia, quest’ultima senza stima che Stefania riuscisse ad alcunchè, neanche una gravidanza, era un signora alta, somigliantissima al volto rincagnesco dell’attrice Rosina Anselmi, donna all’antica, sorvegliava Stefania dal terzo piano, se mai recasse uomini nell’abitazione, ed avvertiva il fratello , padre di Stefania, dell’attentato, il padre scendeva per cogliere quale cercatore di miniere cercava di predare Stefania, accadde pure con me, Stefania gli impedì la vista, dico prima dell’unione. Insieme al tremore per l’eventuale manigoldo, l’ulteriore preoccupazione era opposta: l’erede, un erede legittimato dal matrimonio. Me ne addosso la responsabilità e forse la colpa. Non volevo un figlio. Non compivo astinenze o protezioni ma non volevo un figlio. Una entità amata esterna suscitava, avrebbe suscitato ansietà , perpetua attesa di pericoli, un esserino che necessitava protezione mi staccava da me, il mio pensiero sarebbe uscito verso quel cosino, un raffreddore rischio di morte, l’esagerazione emotiva che mi dominava avrebbe trasfigurato un rigurgitino in soffocamento, nel periodo che mia madre ebbe malesseri, sostavo dietro la sua porte per udirne il fiato e la persistenza della vita. Mi accadeva per tutti, per tutto. Anche per Stefania, i suoi continui riposi, le sue svolte di umore, gli occhi scuri, aridi, nemici, sull’orlo dell’aggressione e del sospetto. Io non volevo un figlio, averlo da Stefania oltretutto non era rasserenante. Talvolta sembrò che qualcosa germinasse, e lei felice rendeva felice il padre, la zia sempre diffidente. Niente. Tentammo, si, con mia svogliata volontà, l’adozione, secondo legge, oltrelegge, incontrammo avventuriere, ladre fantasiose, una aveva nello stanzone fetente, gatti a misura di cane, spanciati sulle sedie, più di dieci, occhi larghi annoiati, promise figli che non vedemmo, persino un magistrato amico, niente. In casa avemmo per qualche tempo una domestica con bambino, non mi piaceva, un testone fuor di misura, ma sarà di rilievo.
Con altro viaggio partirono il padre e la zia di Stefania. Testimone di nozze fu, a mio carico, Giuseppe Russotti, il ricchissimo imprenditore, sicchè l’ingegnere Giulio Ferrero e la zia di Stefania ammutolirono, del resto, sia pure a grado scematissimo, la casa dei miei aveva dignitosa figurazione, e mia madre con il volto fermo e gli occhi di leonessa la si stimava a vederla.
Albergammo di fronte al porto. Quando io alla domanda se volevo prendere come legittima sposa Stefania Ferrero accettai, il padre sbandò, amava il denaro, però amava anche la figlia, e ritenne che io l’avrei salvaguardata. La notte del matrimonio vi era un incontro di pugilato all’estremo livello , ne ero avvintissimo, e lasciai Stefania in camera. Ma non c’era da compiere alcun atto nonj compiuto.
Il Centro Culturale Arte-Spazio suscitato da Stefania in casa, Largo Fregoli, 8, accanto a Piazzale delle Muse, a Roma, punto perfetto dei Parioli, i Parioli Parioli, agiva, nel salone, accostato al giardino. Alle pareti spenzolavano quadri con pendagli di catenelle, ed anche un antichissimo piattone cinese, a quanto mi disse uno studioso, di elevatissimo pregio, era messo a casaccio e credo si lesionò. Festeggiammo le nozze in quel salone, vennero gli Alberti, dello Strega, zii e cugini di Stefania, un altro cugino ricchissimo, Analdo, il Principe Moncada,i miei amici docenti, scrittori Le serate associative avevano pubblico, alta borghesia, intellettuali, pittori, cartomanti, chiromanti, psicologi, qualche morto di fame, al termine cenetta preparata dai domestici o ci recavamo, pochi, al ristorante. La mia presenza accrebbe le presenze, vennero ma davvero è una nominazione ridottissima, gli scrittori Alberto Bevilacqua, Massimo Grillandi, Antonio Altomonte, Fausto Gianfranceschi, venne Domenico Fisichella, l’architetto Paolo Portoghesi, la danzatrice Cosi, il Preside di Statistica Rizzi, lo storico Lucio Villari,ripeto, qualche nome. Io tenni dei corsi di Sociologia.
Per un certo periodo ci serviva un domestico che mi permane nella memoria a dimostrazione che la qualità come l’abiezione esistono dappertutto, era un africano, di avvedutezza, disposizione a ben fare, correttezza spontanea ferme nel ricordo. Sventuratamente una consorte divinamente bella, uscita senza intromissione, l’avevano concepita Dio o Allah, a guardarne l’immagine l’occhio restava sulla visione. E la bellezza le assegnava un portamento principesco, naturalmente. Ne provenne che o per innamoramento, o per agguantarla ,o per sfruttarla o con promessa di non restare con un domestico la donna abbandonò il coniuge, del che il nostro domestico non sortì, almeno fin quando resto con noi, direi con me, perché mi soccorreva in tutto, a scorno di Stefania che mi accusava di impiegare il cameriere pagato da lei! Ah, ecco, l’avarizia. Esige attenzione centellinata.L’avarizia dei ricchi. L’avarizia di Stefania.Intanto pubblicavo libri e scrivevo almeno un articolo al giorno. E viaggiavo nella sfera del mondo. E tuttavia...