XX Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Statua di Cavour a piazza san Marco a Firenze.

Anche se avevo viaggiato l'intera notte, senza dormire, animatissimo e stranito, occhi al finestrino, luci e oscurità, passaggi continui di stazioni, l'alba, e Firenze; anche se avevo gironzolato,  sospeso nelle mirabilie della città, stanco non ero. Torno nella piazzetta monumentata al Conte di Cavour, lordatissimo dai colombi, ed ignoro dove accasarmi, mi fermo, la piazzetta non grande, garbata, come tutto in quella città, proprio a misura del buon vivere cittadino, e sia, ma una stanza, un luogo devo trovarlo! Quand'ecco. Incredibilissimamente, è trascorso più di mezzo secolo, ed ancora sbalordisco. Il Fato dovuto a qualcuno che lo pone non è da considerare, ma circostanze che decidono l'esistenza, certo, accadono, e diciamo sono fatali. Incredilissimamente, non è possibile, ed invece, no, davvero, una vertigine della stanchezza, ed, invece, realtà, strabiliante, persone che conoscevo, di Messina, in quel momento, in quella piazza, mentre sto io, teso come una freccia scagliata, ma senza bersaglio. Il saluto è più cordiale che ci fossimo incontrati nella città dove abitavamo. Qualche parola, e dico del mio bisogno accasativo. Scorressero millenni quel che mi dissero è l'asse decisivo della mia sorte. Possono aiutarmi, anzi risolvere. Allora accadde e sempre mi è accaduto, angosciatissimo eppure certo che qualcosa mi trarrà . Sempre così, ed in talune circostanze da soccombere. Pare soltanto alla morte non si[Giorgio C1]  dà scampo. Vedremo. Erano credenti Valdesi, ed a Firenze esisteva una consistente affiliazione, e mantenevano sedi, e svolgimenti, e me ne fornirono luoghi e nomi, recarmi e dirmi loro conoscente, e la mia necessità, e che intendevo sostare e studiare in quella città.. Non ricordo se il bagaglio lo trassi o fu dopo, quel che ricordo:  breve percorso, un palazzone in collinetta intestata al benefattore, Comandi, dico i nomi, conosciuti, sì, bene, mi ospiteranno, e fui ospitato, quanto tempo? Uno, due anni, scrissi a mia madre, che tenne la mia lettera sul tavolo della nuova abitazione a Messina, sempre, chi sa, forse mi vedeva..Incredibilmente e per due ,credo due anni, dai Valdesi e conobbi la loro attività. Uno dei sogni, incubi, ossessioni della mia giovinezza: lasciare casa famiglia meridione me stesso: rinascere. Istituto Giuseppe Comandi, grande palazzo, per ospitare bambini senza genitori, o poveri, o pazzi, o in galera. Gli esseri indifesi, coloro che sopravvivono soltanto se qualcuno se ne dà cura. Subito, alla mia vista, nello spiazzo avanti  la costruzione, bambini, bambini, uccelletti tra il fogliame, come a Piazza Cairoli a Messina, o cuccioli, gattini, cagnolini,  vedo quel germe vivente, quel rigoglio infantile, e poiché bisognavano d'amore mi circondano, subito, e poiché questo bisogno è impellente mi assaltano, mi stringono, mi si addossano, e poiché io sento questo loro bisogno li guardo amorevolmente, e chi sa, forse ho per loro lo sguardo che io non ebbi, quando mio padre fu ucciso, mia madre per qualche tempo svanì di mente ed io fui consegnato alla madre di mia madre, forse non  ricevendo lo sguardo che io immediatamente suscitai per quei bambini. E durò finché rimasi all'Istituto Comandi. Ero stato nella loro condizione, né padre, né madre, un periodo quanto basta a segnare l'angoscia desertica, l'annientamento, l'annaspare stringendo il nulla. Di qualche bambino fui quasi paterno, due fratellini, il loro genitore dissennato, uno specialmente, proprio mi considerò suo padre o fratello maggiore o persona da amare e farsi amare, biondino, delicatissimo, vocina, non sopportava di essere trascurato, e mi stava accanto, e preferiva il rimprovero all'indifferenza, e se talvolta mi spazientivo e accrescevo l'impazienza, il bambino era felice di essere maltrattatu pur di non essere, dicevo, trascurato, e causava appositamente l'occasione di fastidio per essere maltrattato, dunque considerato. Allora capivo e non capivo, ora che capisco mi rattristo come se rivivessi quel che ho vissuto: appagando con il rimprovere il suo desiderio di attenzione suscitavo in quel bambino ragioni di rimprovero. Con i mesi mi avvidi che una parte della mente di questo bambino aveva complicazioni insane. Chiesi che lo visitassere, ritennero inutile, stava bene, insisto, no, non stava bene, vi era qualche difetto, non so che, Quale sorte avrà avuto, lui e i tanti bambini che mi assaltavano? Dalla condizione di abbandono avranno, hanno raggiunto una rassicurata esistenza, e lui, quel piccoletto, vive, lavora, si  ben posto, dove, in quale città? La società perde la ragione di esistere non risolvendo le condizioni dolorose  degli associeti. Che vale una società se non anima sostegno vicendevole? Fu una considerazione immediata, con quei bambini che sarebbero stati infossati privi di aiuto. L'avevo vissuto ma ora ripiombavo in quella situazione come un marinaio che vede una zattera di naufraghi, io, che in qualche modo ero marinaio e naufrago.

 Dirigeva l'Istituto Comandi un omone, faccione, corpone, vocione, Artini, Nunzio Artini, dopo qualche mese dalla mia presenza venne uno straniero, americano, con una bella consorte e un foglioletto Vi erano molti collaboratori, uomini e donne, stanze con letti a castello, talvolta narravo e si addormentavano nel regno delle fiabe.Tuttavia la mia casa divenne la Biblioteca Marucelliana, via Cavour, scalini e si entrava in un meraviglioso salone dal soffitto a cupola come le chiese, mobili antichi, concentrati, spessi, ci si fermava, uno schedario, autore e titolo, per chiedere, veniva dato il libro, pochi minuti,, un sa1iscendi, tavoli vasti, poderosi, marroni, assorto silenzio, davvero come nelle chiese, rinnovavo quel che era accaduto nel Gabinetto di Lettura a Messina, credo che pochissimi hanno letto alla Marucelliana al mio grado, uno, due libri al giorno, per mesi, incurante dell'Università, romanzi, vicende, personaggi, vita immaginaria che mi risarciva del mio non vivere facendomi vivere. Romanzi italiani, continuai a leggere Moravia che mi interessava sopra tutti, Pasolini, Pratolini, i suoi testi iniziali li stimai, Piovene, interessante, scrutatore, Cassola, Calvino, Vittorini, Elsa Morante, Verga, Pirandello, Svevo li avevo letti, lessi Pavese, anche Pavese apprezzai, ma noto appena, lessi quanto mi fu possibile e se c'era l'impossibile l'avrei letto. Una rosticceria, accantò alla Biblioteca, scalini, saletta, studenti, si mangiava benissimo, cucina toscana, a neanche cento metri il bar, Santa Maria del Fiore, il Battistero, il Campanile di Giotto, i marmi nelle facciate, le colorazioni, quello era l'appropriato spettacolo per amare la vita, guardavo, sostavo, dopo qualche giorno le cassiere notarono che mi facevo abitudinario, salutavano, sorridevano, persino qualche parola, una donna che parla ad un uomo! Ero di una solitudine spiantata, il prossimo umano in presenza corporea mi appariva inesistente, avevo esistente l'altra realtà, dei romanzi. Parlavo con il reggente dell'Istituto, poco, i bambini erano più sentiti come realtà, scambi fuggitivi con qualche addetto ai lavori di sorveglianza, erano molto credenti i Valdesi, si affidavano totalmente alla lettera e lettura ritenendo divino quel che veniva dichiarato e non sempre la cosa  mi andava a sopportazione, in una occasione mi volevano convincere che quanto scritto da San Paolo era da accogliere come detto da Dio, io dissi che San Paolo era del tutto un uomo e soltanto un uomo. Non mi ritennero nel giusto, e uno mi scagliò la Bibbia in testa, chi sa, forse intendeva farla entrare in me. Niente di grave. Furono ospitali, ma di religione non parlammo. Solo in una occasione,  con il Reggitore io dissi che una certa musica conteneva la divinità, e lui mi replicò: la contiene perché ispirata dalla divinità. Per qualche settimana abitai nella grande Villa, poi in uno stanzone rustico a  decina di metri, una specie di casa di contadini. In effetti abitavo in un altro mondo.

 
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