Tommaso Romano, "Alchimia della polvere. Aforismi inattuali con Autoritratto feroce (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

di Dorothea Matranga

Come sempre, la nostra indagine critica al testo, in questo caso il libro dal titolo “Alchimia della polvere” di cui Tommaso Romano è l’autore, parte dall’anticamera del libro stesso, la copertina, che è a nostro parere, una vera e propria carta d’identità dell’opera stessa. E come anticamera di un luogo letterario, la home dell’autore, è anche un luogo di accoglienza, e non solo di primo approccio, costituendo una specie di biglietto da visita, dove sono concentrati, già a priori, tutti gli elementi, che a seguire, piano piano, nello svelamento della stele letteraria, saranno tutti presenti, nel prosieguo dell’opera. Una specie di concentrato scelto con cura dall’autore, e accuratamente adagiato in copertina, dove il titolo svetta quasi come un Aforisma. Quasi un primo assaggio, e relativo primo assaporamento che invoglia alla lettura del libro, conferendone, già all’esordio, un alone di mistero, un barlume di ciò che prenderà, in seguito corpo e sostanza letteraria. “Il librino”, così come lo definisce lo stesso autore, Tommaso Romano, ha solo a prima vista l’aspetto di un piccolo volume, rivelandosi dopo attenta analisi, un succoso e illuminante libro, che di piccolo, minimo, esiguo, ha per così dire ben poco, almeno per chi lo prende in considerazione col dovuto, riguardoso rispetto. L’opera di Tommaso Romano, preferiamo definirla in tal modo, dal titolo “Alchimia della polvere” con sottotitolo “Aforismi inattuali con Autoritratto feroce” ed. All’insegna dell’Ippogrifo è stato stampato il 22 aprile 2019 in numero di 499 copie. L’autore stesso, nel libro, conduce brevi considerazioni sulle motivazioni del titolo scelto. Sul concetto di polvere, argomento che sembra a prima vista banale, ma non lo è affatto, come ci illustra lo stesso autore, portando le giuste argomentazioni, con le quali concordiamo in pieno, ci si potrebbe scrivere forse un bel Tomo. Naturalmente non per chi non si sofferma a riflettere su cosa sia quella che, quotidianamente, chiamiamo, comunemente, polvere. Polvere è un nome generico, attribuito alla materia, suddivisa in particelle di diametro compreso indicativamente tra 1 e 100 micron. La polvere, possiamo certamente affermare, è intorno a noi, ci circonda, è dentro di noi, nell’accezione secondo cui l’autore ci porta a considerare. Naturalmente, da uomo di cultura, intellettuale e grande filosofo, come del resto tanti altri grandi filosofi dell’antichità, conduce tra sé e sé, all’interno dell’io pensante, speculazioni filosofiche naturalmente spontanee, su argomenti a prima vista semplici, ma che, come tutte le cose semplici del creato contengono il segreto della vita. E proseguendo in tale speculazione, come in tutte le altre, svariatissime, da lui condotte nel tempo, ci porta ad esaminare, scandagliare, minuziosamente riflettere e considerare ogni aspetto del suo profondo ragionare, anche su questioni di grande e lineare semplicità, come la polvere. Tale speculazione che inizia con un granello di polvere, o un mucchietto o quanto ne vogliate considerare, questo piccolo Don Chisciotte, come noi vogliamo chiamarlo ci porterà lontano. Non vogliamo dare anticipazioni a questo ragionamento, riservandoci pertanto di procedere lentamente e rigorosamente su piani spaziali di pensiero, non solo all’interno della riflessione filosofica, ma anche procedendo intorno, in tutte le direzioni. Un modo di procedere dell’autore dentro, fuori, intorno nello spazio, servendosi della parola, che è il mezzo per dare sostanza e concretezza al mondo delle idee, anche se queste hanno nella loro empirica conformazione, molto della luce divina. L’autore, Tommaso Romano afferma che la polvere è dentro le case, negli ambienti, anche in quelli naturali. “Detestiamo e tentiamo di debellare la polvere quotidianamente, per evitare allergie e per circondarci di ambienti che chiamiamo salubri”, scintillanti ambienti dove cerchiamo di eliminare la più piccola ombra della polvere.

Tommaso Romano chiarisce che non è possibile eliminare la polvere. La troviamo nell’atmosfera, nel pulviscolo atmosferico, esiste la polvere interstellare nella realtà cosmica, che causa la luce zodiacale. Le nubi di gas e polvere sono considerate i precursori dei sistemi planetari. Il suolo che calpestiamo è polvere. Quindi sotto, sopra, intorno a noi, dentro di noi, c’è la cosiddetta polvere. “Polvere sei, e polvere ritornerai” questa la frase che citiamo spesso, come lo stesso autore ci ricorda nel libro, come versetto biblico della Genesi 3,19, riferendosi al deterioramento del corpo che diventerà polvere nel corso del tempo, ritornando così all’elemento terra. Uno dei quattro elementi primari, comuni a tutte le cosmogonie, le filosofie antiche in cui tanto l’Oriente quanto l’Occidente credevano, ritenendoli basilari per la stretta connessione tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale. Da tale equilibrio degli elementi dipendeva la vita della specie umana e la sopravvivenza del cosmo. Seguendo questo ragionamento, pur spolverando la polvere, la polvere rimane intatta nella quantità, spostandosi solo spazialmente, e non diventando mai evanescente. Non potrà mai scomparire la polvere, essendo tutto quello che ci circonda, polvere essa stessa, facendo parte del complesso sistema del cosmo. Il termine che Romano associa già nel titolo di copertina alla polvere è Alchimia, “Alchimia della polvere”, quasi un ossimoro nell’accostamento di due termini che a prima vista indicherebbero due entità contrarie, facendo pensare all’alchimia come a qualcosa di magico. Il termine Alchimia è riferito a un antico sistema filosofico-esoterico, che riteneva possibile la trasformazione, la trasmutabilità dei metalli vili in oro. “Ecco l’alchimia, la pietra filosofale “spiega Tommaso Romano. Mettere in polvere significa dissolvere l’oro dei filosofi in polvere minuta. Nel testo viene citato il Dizionario di Alchimia e di Chimica Antiquaria che indica ben 35 denominazioni di polvere, da quella angelica a quella dei certosini. Esiste la polvere di simpatia, di Samo, di vita (cloruro di Antimonio), polvere ipnotica ecc. Secondo Pernety, afferma Romano, l’alchimia è una scienza, è l’arte di fare una polvere fermentativa, che trasmuta in oro i metalli imperfetti, e serve come rimedio universale per tutte le malattie dell’uomo.

La falsa Alchimia è l’arte di far divenire miserabili sia negli averi che nella salute. I veri alchimisti conoscono la natura e le sue leggi, e come dice San Paolo, utilizzano tali conoscenze per arrivare alla conoscenza del Creatore. Chiarisce, ancora Tommaso Romano, che l’arte e l’arte della Parola possono essere paragonate ai processi naturali, perché liberano le virtù native dei corpi, dalle prigioni dove sono rinchiuse. Al concetto di alchimia e a quello della polvere Romano lega anche il concetto di fuoco, un fuoco alchemico che non è quello della cucina, è il fuoco celeste che serve nelle operazioni alchemiche. Ecco quindi limpido e chiaro lo svelamento dell’arcano, della stele letteraria dove è inciso il bel titolo dell’opera “Alchimia della polvere”. Grazie alla capacità di riflessione filosofica, dei filosofi, delle loro speculazioni, dalla polvere della pietra, dal volgare corpo corruttibile, dalla polvere intorno a noi, è possibile con l’arte alchemica e l’utilizzo del fuoco di passione, anche dell’arte della parola, eccitare il fuoco celeste per collegare il cosmo al macrocosmo, al creato, al Creatore, a Dio. Naturalmente, seguendo tale pensiero è evidente il bivio a cui l’uomo è ricondotto durante la sua vita terrena. Far parte della polvere fermentativa, di quella che ci consentirà, grazie anche al ragionamento ponderato, di elevarci al fuoco della passione, dell’aderenza e adesione alle virtù, liberate dalla prigione del corpo, per unirci al fuoco celeste? Oppure far parte di quella falsa classe alchemica di meschinità, della controversia, dove le virtù vengono soffocate e costrette nella prigione dei corpi per dare supremazia e vigore alle meschine contese, offesa del genere umano? Il libero arbitrio ci consente di scegliere quale strada intraprendere, augurandoci che se la massa prenderà la strada della meschinità, il mondo e la natura non vengano travolte dalla rovinosa fiumana dei senza-cervello. Speriamo, fino in fondo, a un dietro front da questa fine del mondo già conclamata. Secondo noi il concetto di alchimia è strettamente legato alla bellezza. Il vero alchimista è quella persona che ha scelto di vivere secondo bellezza, si circonda di bellezza, di arte. Chi riesce a uscire dalla visione egoistica della realtà, per muoversi in senso verticale, dove l’amore e Dio sono la sua unica direzione ascendente. Ragionando secondo questa bipartizione tra vera e falsa alchimia, in cui l’uomo è sottoposto alla scelta, non riscontrandosi la possibilità di un’altra via di fuga intermedia, diciamo che è naturale, forse, il dissidio interiore che l’uomo deve combattere, essendo la vera alchimia più simile alla condizione dell’anima, e la falsa alchimia più simile al corpo che può, nelle continue sollecitazioni del mondo, e delle tentazioni del peccato lasciarsi facilmente travolgere, avendo a sua discolpa una natura fragile, facilmente corruttibile, e facilmente potrebbe cedere agli input delle aggressioni della carne. Una via più facilmente percorribile ma meschina, che lo porta alla perdita dei valori, a inquinare l’anima. Più difficile resistere alle tentazioni, più ardua la scelta di una via della virtù alchemica, di aderenza a una condotta irreprensibile e moralmente corretta. Da questa riflessione, è secondo noi appropriato l’accostamento a un grande della letteratura, Francesco Petrarca, al suo dissidio interiore durato un’intera esistenza. Un travaglio interiore, la lotta tra anima e corpo. Il suo orizzonte sempre la vera alchimia, e intraprendere, pur nelle cadute e ricadute dell’essere, la via della vera vita. Proseguendo ancora in tal senso, riscontriamo in questo piccolo volume una grande somiglianza di intenti, da parte dell’autore, Tommaso Romano, con l’altra sua opera, “Elogio della distinzione” dove con grande padronanza di linguaggio letterario, come gli si addice da eccelso letterato, incita l’uomo universale, il vero uomo, colui che concentra in sé tutti gli ideali cavallereschi della società cortese e dei suoi valori sempre attuali e attuabili come la prodezza, l’onore, la fedeltà ai principi, la lealtà, il principio della vera nobiltà di cuore, che trascende al ceto sociale, cioè la nobiltà d’animo, che prescinde da baroccheggianti orpelli di aride architetture e incrostazioni dovute a una umanità mondana, che costruisce più sulla sabbia che sui veri fondamenti, come le vecchie istituzioni, la tradizione e la famiglia. Un castello di sabbia destinato a crollare portandosi dietro nella rovina tutto il mondo conosciuto.

Ecco che Tommaso Romano inneggia al risveglio dal torpore, dall’assopimento a uno stato di apatia, e di ricerca di finte emozioni, e sprona al coraggio, alla prodezza di saper, quei pochi che ne hanno facoltà e voglia, per il sangue prezioso che si abbevera alla fonte della semplicità e della fede cristiana, rompere la catena che incatena le virtù dentro le prigioni del corpo. Ecco che “alchimia della polvere” secondo noi, si innesta su questo pensiero profondo, costituendo l’alchimia, la voglia dell’anima di innalzare il corpo al fuoco celeste. Oppure al contrario, il corpo nella sua natura di atomi, che sono la polvere dell’universo, e contengono il segreto dell’unione tra cosmo e macrocosmo, e hanno quindi in sé anche la scintilla di Dio, di potere concorrere con l’anima all’elevazione dello spirito verso la celestiale meta. Entrando nel merito dell’opera, come già avvenuto precedentemente per la silloge dello stesso autore Tommaso Romano, “L’airone celeste” diciamo che siamo di fronte a un libro dal sorprendente, meraviglioso contenuto, di vastissimo valore, almeno per quelli che ne comprendono fino in fondo il messaggio nella trama filosofico-letteraria del testo. La preziosa prefazione al libro è di Roberto Pazzi, originale narratore, poeta e giornalista di fama internazionale. Nella prefazione lui cita il pensiero di Leopardi: “un libro cattura quando senti un accrescimento della vitalità”, e fa sentire insufficienti le parole di gratitudine per averlo letto. Roberto Pazzi elogia nell’autore il concetto che: “più alta è la fede nella Parola, più certa è la coscienza dell’effimero di ogni cosa. Elogia la sua voglia di solitudine. Definisce la sua scrittura “sospesa tra filosofia e poesia” e aggiungiamo noi, così deve essere per chi ama a dismisura l’una e l’altra. Una parola, che affonda per Pazzi, nella tradizione della sua terra. Egli riporta la citazione di Romano stesso sul definire cosa è per lui la poesia: “la Poesia è illuminazione sacrale”. Tommaso Romano non rinuncia a nessuna forma della scrittura. Con queste parole attinenti al prosieguo della nostra analisi, passiamo ad esaminare il sottotitolo dell’opera stessa “aforismi inattuali con autoritratto feroce”. Nella nota introduttiva, lo stesso autore spiega: “questo piccolo libro non è una raccolta di aforismi, né di sentenze, neppure di massime, o di pensieri, sfugge alla catalogazione. Lo chiama più specificatamente “Le mie considerazioni inattuali” riconoscendo egli stesso, che qualche opinione espressa, può non allinearsi ai testi del passato, forse, spiega questo è dovuto a una naturale e ulteriore esperienza, a un disincanto maggiore, rispetto alla radicale intransigenza passata, dovuta a una presa di distanza, per l’adesione a un’accurata distinzione rispetto al processo di massificazione. Non vuole benevolenza alla lettura del testo. La parte del testo dedicata agli aforismi ha delle pagine introduttive che incorniciano alcuni aforismi come su stele marmoree. L’autore chiarisce che l’aforisma è una delle forme essenziali della sintesi. Bello l’aforisma sulla vita, intesa come teatro, di cui possiamo scegliere anche i margini. “In tale teatro ci illudiamo di recitare, a volte, una parte da protagonisti, ma siamo sempre semplici comparse a tempo determinato”. E qui aggiungiamo che in questo contratto, a tempo determinato, la nostra polvere atomica, nella connotazione di riferimento al testo, non lo è, costituendo invece la parte essenziale di un tutto a tempo indeterminato, senza scadenza, senza tempo, per un tempo immortale. E concludendo questa sezione, ci piace citare l’aforisma dell’autore sul Satiro Danzante. “Taluni per astio congenito, vendetta o invidia, insiti nella loro natura, tentano di annientarci. Occorre renderli inoffensivi, ridicolizzarli, emarginarli. Pensiamo, a tal riferimento, che al lungo andare di certo, sarà un processo spontaneo a cui andranno incontro, perché non splendendo di luce propria, rimarranno al buio della non considerazione intelligente da parte degli altri. Tutti gli aforismi, scelti con cura dall’autore, seguono la linea del consiglio al non imbarbarimento dei costumi e dei valori, volti anche a custodire la preziosa tradizione del passato. Colpiscono per la loro essenzialità di messaggio, come quello sulla bellezza “La bellezza è una cosmo-visione, spiace a chi non sa coglierla interamente”. E concludiamo con la sezione dedicata all’Autoritratto feroce, che l’autore stesso vuole offrire di sé.

Un Autoritratto definito da Tommaso Romano “impietoso, veritativo, forse feroce, certamente indigesto a qualcuno, volutamente ironico, e per deliberata scelta autarchico e autodifensivo, volto alla non rassegnata voglia di sopravvivenza nel segno dell’autenticità di ritorno alle Origini. Costituisce una sorta di avviso, rivolto ai falsi amici, che certamente sanno di esserlo, riconoscendosi come tali, e anche rivolto agli amici, pochissimi, affinché non abbiano pretesa di cambiare il suo modo di essere. In questo quadro di Autoritratto, quello che più sorprende è l’essere impietoso verso sé stessi. Ecco perché è definito feroce. L’accanimento verso sé stesso, forse, quasi certamente è un modo per essere vero. Chi meglio di sé stesso può conoscere da dentro il proprio essere profondo? E chi può affermare di essere perfetto? Sarebbe solo un’affermazione ipocrita e non veritiera.

E Tommaso Romano tutto vuole essere, tranne che ipocrita soprattutto con sé stesso, conoscendosi fin nelle viscere dell’io, come uomo e come filosofo, capace di penetrare nelle trame profonde del suo essere pensante e sapersi analizzare. Esprimendo il suo pensiero con le parole di Dante, afferma “sentendo ciò che ditta dentro vo significando”. Certo non è facile fare un’accurata analisi interiore. Non è facile interrogarsi sui propri pregi e difetti, e riconoscere con coscienza i secondi. Uno scandaglio dell’io, senza false approvazioni o assoluzioni. E in questo, il nostro autore, è certo di poter affermare di non essere perfetto, mostrando in questa specie di aforisma una sincerità disarmante. Facile sarebbe per tutti, e per lui affermare il contrario. Ma sarebbe soltanto ipocrisia, sapendo che nessuno lo è tra gli uomini, dotati per natura di natura imperfetta, e sensorialmente attratti da input esterni e carnali. E come non ha parole di perfezione per lui, lo stesso avviene nei riguardi dei non amici e degli amici. Un autoritratto molto dettagliato di sé stesso, articolato e descritto con dovizia di particolari, senza angoli lasciati inesplorati e in penombra. Particolari, che lasciamo ai lettori del libro, certamente numerosi. Sui motivi che hanno spinto Tommaso Romano a dipingere il suo Autoritratto feroce, abbiamo una nostra idea, che palesiamo pur nella considerevole incertezza che questa sia il vero intento dell’autore. Secondo la nostra interpretazione, questo modo di svelare sé stesso, il suo carattere, le sue simpatie, il suo modo di vedere la vita, e anche il suo impietoso modo di presentarsi imperfetto è sempre da ricondurre al titolo dell’opera “alchimia della polvere” e al contenuto del testo. L’uomo, nella sua atomica conformazione, di aggregazione di polveri, non è altro che espressione di un contratto a tempo determinato, e in quanto essere corruttibile, non è eterno, almeno nella sagoma corporale che costringe l’anima in confini ben determinati, quindi non può definirsi perfetto. Mostrandosi nella sua vera veste di uomo umano, con pregi e difetti, che ciascuno di noi ha, non fa altro che dimostrare la tesi, che non si può essere ipocriti a sé stessi, e all’intelligibile umano ragionare in modo razionale. E chi al contrario si ritiene al di sopra di tutti, onnisciente e un essere superiore, non fa altro che dimostrare di non avere capito nulla della vita e dell’uomo, e di essere poco intelligente. Come diceva Socrate “io so di non sapere” riconoscendo a sé stesso la veritiera e non ipocrita considerazione di essere solo un piccolo granello di polvere, che pur nella minimale, minuscola dimensione, fa sempre parte dell’Uno, microcosmo e macrocosmo nell’interezza del Tutto, in Comunione con la grandezza di Dio, somma Bellezza e sommo Bene. La polvere, come creato e atto della creazione, è parte di Dio, polvere alchemica, è anche bellezza nella Bellezza Suprema.

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