Tommaso Romano, "Alchimia della polvere. Aforismi inattuali con Autoritratto feroce" (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo) - di Marcella Laudicina

Ho ritenuto opportuno fissare in un paio di pagine impressioni e riflessioni “a caldo”, ispiratemi dal “prezioso” libretto del professore Tommaso Romano. Anch’io, come il professore, non seguirò schemi preconfezionati, ma esprimerò il mio pensiero in tutta schiettezza e libertà.

Il professore ha dato valore alla “polvere”, ritenuta da Hegel inutile, senza alcuna importanza, perché non inquadrabile in uno schema razionale. È giusto dare valore alla “polvere”.

Il contenuto del libretto sfugge a qualsiasi catalogazione. Il professore ha voluto chiarire soprattutto a sé stesso il senso della sua produzione letteraria e della sua vita. Ha voluto fare il punto del suo esistere nel mondo, fino ad ora. L’ Autore non ama che gli si “appiccichino” etichette di nessun genere. Avido di cultura, lo esalta tutto ciò che lo arricchisce interiormente. Interessato alle varie correnti di pensiero, anche ritenute tra loro inconciliabili, riesce a farne una “polifonica” e armoniosa sintesi.

Il professore è un cultore della libertà di pensiero. Ha bisogno della libertà, come l’aria che respira. Libertà è per lui, essere autentici, non ipocriti, senza infingimenti e conformismi. Aborrisce l’intolleranza e la boria di chi si ritiene portatore di verità assolute. Sebbene il professore affermi ripetutamente nel suo libretto, di non volere essere considerato un saggio, un esempio da imitare, suo malgrado, pur non pretendendo di esserlo, lo è. Come infatti non si può considerare un saggio chi esalta la libertà, la tolleranza, la Bellezza, l’Arte, la Poesia, l’Amicizia, l’Amore? E non è forse un saggio chi si sente attratto dal Mistero e dall’Assoluto?

Il professore Romano aspira “con flebile fede alle affinità elettive” di goethiana memoria e affida il suo messaggio, a suo avviso, incomprensibile ai più, “ai più sensibili e scelti, quelle rare e sopravvissute élites intelligenti e colte.” Gli ideali e le aspirazioni che l’Autore ha non devono essere però, a mio avviso, confinati in paludate stanze, ma diffusi il più possibile, in un linguaggio piano e fluente e non certamente aulico e con un periodare di stampo quasi ciceroniano.

Ben venga, quindi, in questo libretto, l’uso più ampio di un linguaggio più semplice, senza essere semplicistico e banale, più leggero, a volte quasi colloquiale, senza scadere nella superficialità, a danno della profondità.

Ognuno usa il suo stile. Personalmente lo stile del professore Romano a me risulta piacevole, ma esso dovrebbe essere finalizzato, secondo me, alla comunicazione del proprio pensiero a un numero sempre più vasto di persone, di media cultura e intelligenza.

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