“Sindacalismo rivoluzionario, nazionalismo, fascismo” di Ferdinando Bergamaschi
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- Category: Scritture
- Creato: 06 Marzo 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Se Renzo De Felice è stato lo storico del fascismo che si è avvalso per i suoi studi di un approccio prettamente storicistico (e da questo punto di vista rimane insuperato), l’israeliano di estrema sinistra Zeev Sternhell è colui che ha affrontato la storicizzazione del fascismo con un approccio da filosofo della politica. Egli in particolare affronta il tema del fascismo e delle sue origini nei suoi tre capolavori: La Destra rivoluzionaria, Né destra né sinistra e infine Nascita dell’ideologia fascista. In quest’ultimo volume in particolare Sternhell non si limita ad analizzare quale sia stato il terreno d’incubazione del fascismo (che per lo storico israeliano è, culturalmente e geograficamente, da collocare nella Francia di metà e fine Ottocento) ma passa al livello successivo che è quello di considerarne le caratteristiche proprio mentre la creatura di Mussolini inizia a prendere forma. Tema centrale di questa analisi è quindi il rapporto tra sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo. Lo storico israeliano coglie perfettamente e meglio di tutti che è da questo rapporto che è stato partorito il fascismo di Mussolini. Da un punto di vista filosofico, ci spiega Sternhell, è Sorel che indica la via che poi politicamente imboccherà Mussolini.
Un intero capitolo del libro di Sternhell, peraltro, è dedicato alla revisione antimaterialista del marxismo da parte di Sorel: pur essendo stato un ardente marxista Sorel, ai primi del secolo, teorizza una sorta di mitizzazione ascetica della lotta di classe e dello sciopero generale ed elabora “un’idea sicuramente geniale: la teoria del mito eroico e della violenza creatrice di morale e di virtù.” (Zeev Sternhell, Nascita dell’ideologia fascista, p.55, Baldini Catoldi Dalai editore, Milano, 2008). Per questa via “da macchina intellettuale pesante, sclerotizzata e impotente, il marxismo ridiventa, corretto, completato e perfezionato da Sorel, una temibile forza di mobilitazione” (Zeev Sternhell, op. cit., p.92). Per Sorel “l’individuo formato nei sindacati è il produttore e il guerriero, nutrito di valori eroici, come lo erano i primi cristiani, i legionari romani, i soldati delle guerre rivoluzionarie o i discepoli di Mazzini.” (Zeev Sternhell, op. cit., p.88). In quanto “figli” di Sorel e delle connesse pulsioni nazionalistiche, i fascisti italiani, qualche anno dopo, creeranno “un tipo di rivoluzione completamente nuovo: una rivoluzione antiliberale e antimarxista, una rivoluzione che recluta le sue truppe non in una soltanto ma in tutte le classi sociali, una rivoluzione morale, intellettuale e politica, una rivoluzione nazionale. Nella Francia del 1914-18, la convergenza dei ribelli del sindacalismo rivoluzionario e del nazionalismo non va oltre lo stadio intellettuale. In Italia, invece, nell’atmosfera di smarrimento che prevale all’indomani dell’armistizio, la nuova sintesi finisce per dar vita a quella che sarà la più grande forza rivoluzionaria del momento”. (Zeev Sternhell, op.cit, pp. 179-180).
Dunque, così come in ambito filosofico Georges Sorel incontra, in virtù di una sorta di illuminazione intuitiva, il nazionalismo francese di Maurras e con esso si compenetra, allo stesso modo e per mezzo della stessa illuminazione intuitiva quasi tutti i sindacalisti rivoluzionari italiani, in ambito politico, incontrano e abbracciano, se non il nazionalismo in senso stretto, il mito patriottico. Come per Sorel è il mito che fa la storia e che dà un senso all’ideale socialista, così per i sindacalisti rivoluzionari italiani (che, a differenza della maggioranza dei socialisti ufficiali, saranno volontari della Grande Guerra) è il mito patriottico che renderà giustizia dell’ideale socialista. Nascono così i fascisti.
Naturalmente su questa strada il sindacalismo rivoluzionario si trasformerà in sindacalismo nazionale e abbandonerà i miti soreliani della lotta di classe e dello sciopero generale per abbracciare il corporativismo fascista e lo Stato sociale mussoliniano. Ma di Sorel nel fascismo di Mussolini rimarrà molto forte non solo la mitizzazione del lavoratore e del lavoro, oltrechè della storia, ma anche il potente e violento attacco ideologico a quel capitalismo che i fascisti chiamavano plutocrazia (cioè quel processo che fa sì che il denaro produca altro denaro – cioè l’usura - da parte di pochissimi uomini rappresentanti della speculazione finanziaria e delle grandi banche d’affari che mirano al monopolio e all’oligopolio e a sradicare le coscienze nazionali). Questo attacco a questo capitalismo però fu mosso dal fascismo appoggiandosi, come si diceva prima, su elementi non marxisti ma nemmeno soreliani: si appoggiò sul corporativismo fascista e sullo Stato sociale mussoliniano i quali, a ben vedere, hanno molta più affinità con una socialdemocrazia che non con un socialismo di stampo non solo marxista ma anche soreliano. Una socialdemocrazia diretta e autoritaria, naturalmente. Inoltre in questa “socialdemocrazia fascista” erano affermati: 1) l’intangibilità della proprietà privata (che in realtà sosteneva anche Sorel); 2) l’incentivazione dell’onesto profitto individuale; 3) la collaborazione tra le classi; 4) il libero mercato, benchè bilanciato dall’intervento dello Stato quando Mussolini lo riteneva necessario. E’ curioso notare che questi punti erano inconciliabili con il socialismo ufficiale e con il comunismo ufficiale dell’epoca, ma, con molti decenni di ritardo sul fascismo, il socialismo ufficiale e il comunismo ufficiale arriveranno sulle stesse posizioni “socialdemocratiche” del fascismo. E’ questo un simpatico epilogo.