“Quando Mussolini voleva governare con la CGL e i socialisti” di Ferdinando Bergamaschi

L’occupazione delle fabbriche del settembre 1920

 

Il primo incontro di una certa rilevanza che Benito Mussolini ebbe con Bruno Buozzi nelle rispettive vesti di capo del movimento fascista e di segretario generale della FIOM (e quindi al netto di quelli che potevano eventualmente essere stati i loro incontri quando Mussolini era stato un leader socialista), è datato 10 settembre 1920. In quei giorni gli operai metallurgici, di fronte alla decisione degli industriali di proclamare la serrata, si mobilitarono per occupare gli stabilimenti di Milano e di tutta Italia. In questo contesto Mussolini incontrava Buozzi, vero organizzatore di quella grande mobilitazione. Nell’occasione il capo fascista assicurava al segretario generale della FIOM che se la lotta metallurgica fosse rimasta sul terreno sindacale i fascisti non l’avrebbero in nessun modo avversata “perché a noi poco importa che gli industriali siano sostituiti dagli operai” (cfr. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Einaudi, Torino, 1965).

Quello stesso giorno Mussolini pubblicava un articolo su Il popolo d’Italia nel quale scriveva: “non si può pretendere oggi, dopo tutto quello che è avvenuto, che gli operai abbandonino le fabbriche senza garanzie. Non può bastare una promessa di trattare; bisogna anche promettere di concedere e fissare un minimum delle concessioni. Se gli operai avranno queste garanzie, usciranno dalle fabbriche nell’attesa – che deve essere possibilmente breve – di riprendere regolarmente il lavoro”.

L’occupazione delle fabbriche non ebbe nessuno sbocco rivoluzionario soprattutto per l’incapacità del Partito Socialista di prendere qualsiasi iniziativa e delegando ogni decisione al sindacato che a sua volta aveva da tempo perso proprio l’ala rivoluzionario-soreliana. Quest’ultima, che eventualmente poteva guidare sorelianamente le masse dei lavoratori ad una rivoluzione, aveva in gran parte scelto il fascismo poiché aveva aderito all’ideale patriottico. Le fabbriche furono sgomberate e riconsegnate al controllo degli industriali.

 

I patti di pacificazione

 

I rapporti del capo fascista con la CGL proseguirono, benchè nei mesi successivi il peso dell’intransigentismo fascista aumentava all’interno del movimento di Mussolini. Gli intransigenti non vedevano di buon occhio l’accordo con la CGL e con i socialisti che il capo fascista voleva perseguire. Ma Mussolini era deciso a proseguire sulla strada di un ricongiungimento con i suoi ex compagni di partito partendo proprio da un accordo, oltre che con i sindacalisti della CGL, con quei socialisti che erano disposti a seguire Mussolini su questa strada. Il 3 agosto 1921 di fronte al Presidente della Camera De Nicola veniva firmato il patto di pacificazione fra fascisti da una parte e CGL e socialisti dall’altra. Questo patto si proponeva anzitutto di mettere pace tra le due fazioni impegnate in una tremenda guerra civile che ogni giorno mieteva vittime di una parte e dell’altra. Inoltre questo accordo aveva, da parte mussoliniana, un importante valore strategico: esso infatti era una chiara indicazione di come Mussolini voleva indirizzare la sua politica: cioè verso sinistra (cosa che poi egli comunque fece “da solo” e in modo autoritario tramite un riformismo però molto gradualista, date le condizioni di compromesso in cui operava,  fino all’ “accelerazione” della Repubblica Sociale). Infine vi erano ovviamente delle importanti ragioni tattiche: Mussolini in un colpo solo avrebbe dato scacco al trasformismo giolittiano e avrebbe messo all’angolo i fascisti intransigenti.

 

Il progetto di Mussolini: un partito laburista nazionale

 

L’obbiettivo politico di Mussolini era quello di creare un partito laburista nazionale e per questo egli aveva lavorato appena si insediò al governo nell’ottobre del 1922. Da subito infatti il duce si mostrò desideroso di collaborare con la CGL e con quei socialisti che avessero capito e condiviso questa strategia. Mussolini aveva proposto a uno dei capi della CGL, Gino Baldesi, il ministero del Lavoro e voleva far entrare nella compagine governativa anche Buozzi e un esponente del Partito Socialista. Ma, tra il 29 e il 30 ottobre 1922, appena era trapelata questa notizia, i fascisti intransigenti e i nazionalisti avevano alzato gli scudi. Il capo fascista non poteva indebolirsi ulteriormente e quindi aveva dovuto desistere.

 

Mussolini ci riprova dopo le elezioni del 1924

 

Renzo De Felice ci spiegherà come questa strategia mussoliniana, vera antesignana del compromesso storico, il duce la perseguirà fino al delitto Matteotti, avvenimento che fu la pietra tombale di questa operazione.

Mussolini aveva già dato vita a un governo di larghe intese che andava dalla destra al centro-sinistra. In questo governo, oltre a ministri e sottosegretari fascisti vi erano ministri e sottosegretari popolari, democratici, democratico-sociali, liberali, nazionalisti.

Ma Mussolini voleva portare al governo anche la sinistra socialista e i sindacalisti della CGL. Se i fascisti intransigenti e i nazionalisti non avessero voluto, egli avrebbe fatto a meno di loro ed ora egli era nelle condizioni di poterlo fare. Infatti nel maggio del 1924 Mussolini vinse largamente le elezioni. La lista dei ministri che il duce aveva pronta comprendeva importanti personalità del socialismo italiano e della CGL. Vediamo allora questa lista: D’Aragona o Colombino (socialisti del P.S.U.) al Lavoro; Buozzi o Baldesi (entrambi della C.G.L.) ad un ministero tecnico-economico; Giulio Casalini (socialista del P.S.I.) alla Sanità pubblica; Bonomi (Partito Socialista Riformista Italiano) alle Finanze-Tesoro in caso di unificazione dei due ministeri altrimenti Caldara (P.S.U.) alle Finanze; Rigola (C.G.L.) con un ministero senza portafoglio; tra i sottosegretari erano annoverati: Argentina Altobelli (sindacalista della C.G.L. e socialista del P.S.U.) all’Agricoltura; Ettore Reina (C.G.L.) all’Istruzione; Felice Quaglino (C.G.L.) al Lavoro italiano all’estero e le migrazioni interne; Ludovico Calda (sindacalista della C.G.L. e socialista del P.S.U.) all’Assistenza sociale; inoltre nella lista era presente un liberale di sinistra del calibro di Giovanni Amendola all’Educazione Nazionale. (cfr. Carlo Silvestri, Matteotti, Mussolini e il dramma italiano. Il delitto che ha mutato il corso della nostra storia, Ruffino Editore, Roma, 1947)

Ma la storia, a causa del delitto Matteotti, prese un altro corso. Negli ultimi giorni della R.S.I. il duce confiderà al giornalista socialista Carlo Silvestri: “Il più grande dramma della mia vita si produsse quando non ebbi più la forza di fare appello alla collaborazione dei socialisti e di respingere l’assalto dei falsi corporativi. I quali agivano in verità come procuratori del capitalismo. Tutto quello che accadde poi fu la conseguenza del cadavere di Matteotti che il 10 giugno 1924 fu gettato fra me e i socialisti per impedire che avvenisse quell’incontro che avrebbe dato tutt’altro indirizzo alla politica nazionale”.  (cfr. Carlo Silvestri, op.cit.).

Qualche decennio dopo, nel novembre del 1985, il figlio di Matteotti, Matteo Matteotti, rilascerà un’intervista a Storia illustrata nella quale dirà: “L’assassinio di Giacomo Matteotti non fu un delitto politico ma affaristico. Mussolini non aveva alcun interesse a farlo uccidere. Sotto c’era uno scandalo di petrolio e la longa manus della corona.” E aggiunge: “Mussolini voleva – fin dal 1922, subito dopo la Marcia su Roma – riavvicinarsi ai socialisti. Per questo l’attacco fattogli da mio padre pochi giorni prima fece infuriare il Duce: è un fatto innegabile. Ma è altrettanto vero che quel 7 giugno Mussolini pensava – nonostante mio padre – di poter avere i socialriformisti, D’Aragona e forse Turati, al governo”.

 

 

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