La “Scuola di Bagheria”: «Lettere siciliane» di Lucio Zinna - di Antonella Barina

Chi l’avrebbe detto che il Gruppo 63 – Umberto Eco & C – è nato a Palermo e che la contestazione del pensiero antropocentrico fioriva già negli anni 60 (con il Gruppo Beta) al limitare della Conca d’Oro? Esistono luoghi di concrezione del pensiero. A volte questi luoghi sorgono come bolle ai margini di città troppo indaffarate, cioè troppo prese dagli affari a discapito della riflessione, e ispirano poeti e testimoni della poesia. Reggono, a volte, sulla fede di una o poche persone che rinnovano fedeltà al pensiero originario. Per Venezia, questo luogo è Spinea dove la comunicazione tra uomini e donne promossa con pratiche più che trentennali dall’associazione Identità e Differenza, è nutrita dalla filosofa Adriana Sbrogiò, amoroso faro per tanti gruppi a livello nazionale. Bologna ha Sasso Marconi, eccentrico centro del pensiero sul divino femminile, dove ad aver in carico memoria poetica dei fili che collegano i percorsi di ricerca che continuano a intersecarsi, una per tutte, è Vittoria Ravagli, divenuta a mio avviso, dopo averne viste tante, poeta della serenità. Più specificamente per la poesia, per i suoi contenuti formali ed umanistici, luogo eccentrico, centro fuori dal “centro”,  è Bagheria che, da Buttitta e prima di Buttitta, ma soprattutto con e dopo Buttitta, ha preso a dialogare con il continente sordo, continuando con coerenza a farne tesoro, pietra su pietra come il contadino netta la terra dai sassi e alla fine della sua vita rimira il tumulo che diventerà una nuova casa, un recinto o solo, semplicemente, uno di quei muri a secco che trattengono la terra e consentono alla strada di restare strada. Non chiedetemi come lo so, ho memorie di Sicania che spesso la stessa Sicilia rimuove. Questo pensavo leggendo Lettere siciliane di Lucio Zinna, scritto a Bagheria e pubblicato da Mimesis nella collana Sisifo, collana di testi controcorrente. Nel contempo mi dicevo: pazienza se Milano ha trainato un’editoria che oggi suda le proprie prospettive di sussistenza, perché qui, intanto, si pensava.

È un’indicazione autostradale, Bagheria, prima di Palermo e verso le Egadi. Da qualche anno a me invece appare luogo di pensiero lucido, come il vocabolario di siciliano-italiano che mi dà certezza delle voci arcaiche che sento dentro. Per questo mi tuffo come merlo spaesato in un cespuglio nella copertina verde, con cinque pale di fico d’India disegnate, di Lettere Siciliane. Cerco ricomposizione del precario equilibrio tra un Nord e un Sud che si mangiano l’un l’altro, se non in certe piccole isole dove l’amore è – forse – ancora un bene naturale al quale chiunque può attingere. La densità che avverto pulsare all’altezza del cartello autostradale di Bagheria, in parallelo alla logica costiera dove Bagheria, che è anche la “Baarìa” di Giuseppe Tornatore, “discende verso il mare”, secondo il suo etimo punico, o, in arabo, è “porta del mare”. Quella densità mi avverte che questo è uno di quei luoghi di concrezione poetica dove non valgono i do ut des e dove la parola viene vagliata come si spàrti ‘u semi ri la pagghia. Non ho bisogno di spiegare quanto luoghi come questo siano rari e, peraltro, a rischio di soppressione, eppure imperterriti continuano a seminare pensiero.

Le lettere. Le “Lettere” - la letteratura, ma anche missive nelle quali Zinna esemplifica le tappe del cammino letterario novecentesco (sottotitolo: Autori del Novecento dentro e fuori circuito) - sono otto saggi critici di cultura letteraria, inclusa in primis la poesia, redatti con scrittura piena e scioltezza narrativa. Vi si dà conto dell’insularità del continente Italia rispetto alla gnosi umanistica siciliana. Il libro di Zinna focalizza protagonisti e movimenti che dall’isola degli oleandri e delle zagare hanno influenzato la cultura internazionale, pur se diversi tra questi autori sono rimasti – felicemente – all’ombra degli ulivi. Merito del lavoro storico di Zinna è aver indicato soggetti pensanti ed accadimenti che contribuiscono a far comprendere l’evoluzione del pensiero attorno alla letteratura nell’arco del Novecento, con radici nel secolo precedente e possibile rigoglio nell’oggi. Una lettura avvincente e inedita che è anche un autoritratto epistemologico dell’autore, il quale di molti di questi passaggi è stato studioso, spettatore e poeta protagonista. Già direttore tra l’altro dell’'Istituto Siciliano di Letteratura Contemporanea e Scienze Umane, Zinna dirige oggi da Bagheria Quaderni di Arenaria, numeri monografici e collettivi di letteratura moderna e contemporanea.

Prima lettera: la corrispondenza tra Pizzuto e Spinelli. È un’avventura borghesiana, quella elaborata da Zinna che si addentra nel non detto delle lettere che si sono scambiati Antonio Pizzuto (Palermo, 1893 – Roma, 1976, scrittore, pensatore e poliziotto) e Salvatore Spinelli (Palermo, 1892 - Arenzano, 1969, scrittore, avvocato, dirigente). Nei meandri di un inesausto confronto letterario, non privo di qualche colpo di sciabola, individuiamo la costanza di due autori che hanno impegno esistenziale nella scrittura. Mi spiego: borghesiana è la capacità di Zinna di creare, attenendosi al materiale documentale, una suspense cui raramente la saggistica ricorre, inabissando il lettore appassionato nel confronto/scontro tra i due amici in nome del comune amore per le lettere. Per quanto riguarda Zinna, questo procedere narrativo e riflessivo è possibile soltanto a chi ha percorso gli stessi bivi stilistici, si è confrontato sugli stessi temi e, prima di prendere in mano la bilancia critica, vi ha posto la propria anima.

Seconda lettera: Buttitta. D’altra parte, chi se non un’anima da tempo cittadina di Bagheria avrebbe potuto al meglio indicare il percorso non solo umano e sociale, ma anche le scelte stilistiche di Ignazio Buttitta (Bagheria, 1899 – Palermo 1997, poeta e drammaturgo)? Talora il riconoscimento del valore sociale delle opere di un autore ottunde la lettura critica, quasi che, come in Buttitta, la verità che emerge dalla poesia aspra e dall’amore diretto non abbiano dietro lo stesso, se non maggiore, impegno sperimentale. Ce ne vuole, fa capire Zinna, per far agire senza stridori la chiave tradizionale nel lontano presente. Ce ne vuole, per sfuggire l’ovvietà del sociale il quale a volte si infiacchisce nell’omologazione. E ce ne vuole, anche, per rinunciare all’aura poetica del manierismo che, apparentemente e nel breve termine, potrebbe impreziosire. In Lettere Siciliane l’identità di Buttitta emerge nell’unica misura possibile per un poeta: l’interiorità (universale) che prevale su ogni altro filtro.

Terza lettera: Quasimodo. Come ha rilevato Sergio Spadaro (PaeseItalia, 2020), Zinna lavora poi sulla “dimensione etico-religiosa nella poesia di Salvatore Quasimodo. Dimensione che, rispetto ad altri tòpoi tematici, ha avuto un’attenzione meno insistita da parte della critica e che nella sua opera appare a volte manifesta e tal altro sommersa. Essa è peraltro collegata all’immagine che in vita il poeta diede di sé, nel senso di un “coerente laicismo e di una collocazione politica correlabile a un socialismo protonovecentesco, ma corroborato da un più attuale engagement sartriano”. Come spezzando il pane, se è pane, ne esce il profumo, Zinna segue il filo invisibile della trascendenza individuando in Quasimodo le persistenti molecole della solitudine che ripone la propria speranza nel dubbio e che quindi non può che continuare a tentare – a volte sottovoce, schermendosi – un dialogo con il divino.

Orazio Napoli. La ricerca dei livelli “alti” non trascura l’importanza delle biografie. In Lettere Siciliane l’esser defilati e schivi come Orazio Napoli (Mazara del Vallo, 1901 – Milano, 1970, poeta, romanziere) non pregiudica l’apprezzamento critico, che in alcuni casi va pertanto riformulato. La vita dei correttori di bozze nella Milano del poeta di Mazara (poi divenuto lettore della Mondadori e autore de “Lo specchio”) è tracciata con pochi efficacissimi tratti. Ne esulta chi cerca il nesso tra emigrazione e approdo, perché vi è uno spaventoso vuoto narrativo sull’esodo meridionale, ancor più su quello femminile che sembra indicibile, inudibile. Al di là del biografico, Zinna rivede come un unicum l’opera di Napoli, percorsa dall’irrequietezza del viaggiatore cui restano frammenti di viaggio – ermetizzanti, non ermetici, spiega Zinna – e l’odore del mare che ha dentro di sé, il primo mare: la rotta interiore del viaggio. 

Virgilio Titone. Di Virgilio Titone (Castelvetrano, 15 marzo 1905 – Palermo 1989, storico, scrittore, critico letterario) Zinna sottolinea lo spirito libero e controcorrente e l’anticipo con cui affrontò la “questione settentrionale” (in “La Sicilia e la questione settentrionale”, saggio del 1981), nonché i diversi punti in cui l’autore cerca di ripulire in funzione antiretorica il linguaggio da luoghi comuni come l’abusata parola “intellettuale”. Circa i generosi affreschi della “vecchia” e della “nuova” Sicilia apprendiamo che Titone offrì abbondante e policentrica conoscenza che sarebbe stata utile a comprendere ed amministrare l’artificiosa spaccatura tra Nord e Sud, partendo là dove lo stesso Pirandello de “La chiave d'oro” parrebbe essersi fermato. Stupisce che questi aspetti non trovino comprensione in un Nord che tanto spesso assolve se stesso e in un Sud che a quel Nord tenderebbe ad omologarsi?

Santino Caramella. Attraverso la figura di Santino Caramella (Genova, 1902 – Palermo, 1972, filosofo, storico e docente di filosofia teoretica) Zinna fa rivivere le querelles della neoavanguardia di metà anni Sessanta che vide a Palermo gli incontri di Musica Nova e Gruppo 63 (che ha a Palermo, quest’ultimo, il suo formale atto di nascita) con presenze quali Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Umberto Eco, Gillo Dorfles, Massimo Mila, Luigi Nono, Karleinz Stockausen. Rispetto all’inglobamento del neorealismo nel mercato culturale, forse in primo luogo cinematografico, che causò  posizioni opposte nella successiva neoavanguardia (una posizione di disimpegno della letteratura, l’altra ruotante su se stessa in un linguaggio anticonvenzionale e anticontenutistico, oggi manieristico), Zinna evidenzia la terza via “silente ed eloquente” scelta da Caramella che, oltre Croce, percorre “tutt’altra strada, concentrando l’attenzione sulla teoresi dell’atto creativo, dell’atto di poesia, muovendo da concetti estensivi di ‘intuizione’ ed ‘espressione’ e dilatandone le significazioni in ambito estetico”. Ne conseguono i concetti caramelliani di “coscienza profonda” e “certezza della poesia”, rimandando a quella viva e nutriente interiorità che per Zinna spiega, tra l’altro, il fenomeno Buttitta.

Castrense Civello. Coerentemente, l’autore di Lettere Siciliane presenta il poeta Castrense Civello (Bagheria 1909 – 1982, poeta), che, già futurista a fianco di Marinetti, costituì a Bagheria il gruppo futurista della Conca d'Oro (ne fecero parte in un primo momento anche Renato Guttuso e Ignazio Buttitta) e negli anni ’60 volle aderire al Gruppo Beta di cui erano promotori Zinna stesso assieme ai colleghi poeti Giovanni Cappuzzo, Angelo Fazzino e la poeta Miki Scudieri. “La sua presenza – commenta Zinna – stabiliva inoltre un ponte ideale tra avanguardia storica e neoavanguardia”. Attraverso esempi e ragionamenti propedeutici Zinna annota che era “interesse primario del Gruppo Beta la ricerca di un uomo nuovo, dalle ceneri della concezione antropocentrica, scientifica (da Giordano Bruno a Ugo Spirito, dal ‘mito alla scienza’ etc.) e nel contempo prendendo le distanze da una falsa concezione del pensiero scientifico”. Stupisce che questa avventura poetica sia al momento ancora oscurata, posto che “Il Gruppo Beta fu, tra i gruppi d’avanguardia allora operanti in campo nazionale, il primo a porre l’accento sulla robotizzazione dell’uomo”? Nella ricerca di un nuovo umanesimo, scrive Zinna, la “crescente meccanizzazione e automazione” avrebbero dovuto e potuto portare “ad un effettivo potenziamento delle possibilità dell’essere umano, in senso integrale e in maniera autentica” anziché “isolarlo, dominarlo, alienarlo e forse anche distruggerlo’”. “Apparivano dunque sempre più evidenti sia le differenze con il Gruppo 63 che le affinità con la Linea Zero e con i beatnicks”. E io (ndr) che a dodici anni, da Venezia, approdavo in agosto a Milano alla redazione deserta di Onda Verde, mentre era nella terra dei nonni che batteva il cuore beat!.

Bagheria. L’ottava lettera tratta delle neoavanguardie palermitane tra passione e ideologia. Ne emerge quel luogo specifico, Bagheria, dove la relazione di vicinato ha implementato dibattiti in coerenza e coscienza. Zinna resta testimone memore e appassionato di quei fermenti, distante da ogni feudalesimo editoriale. La Bagheria di Buttitta e Guttuso è il punto di osservazione da dove Zinna narra, fermo come nell’occhio del ciclone, i trascorsi accesi confronti e rianima i documenti grigi che solo oggi sono ben comprensibili. Mi viene da pensare ad Itaca, quando penso a Bagheria. Visitando Itaca, mi stupì la sua piccolezza a confronto con la perdurante grandezza e risonanza del narrato omerico. Così è pure di Bagheria, dove un poeta, generoso di attenzione alle poetiche altrui, porta sulle spalle un secolo di memorie, lasciando un’eredità distillata ad uso di studi futuri orientati a riscoprire tracce di vita, percorsi paralleli, bivi e incontri che nutrono di pensiero il pensiero. Nel mentre, Zinna continua a cercare come possa esservi sovversione del pensiero senza spargimenti di sangue, metaforico o reale. Senza astio, con sguardo limpido e smaliziato. Questa storiografia letteraria pure fa parte di quella che io dentro di me chiamo, ma penso possa ben essere chiamata, la “Scuola di Bagheria”.

 

Lucio Zinna, Lettere siciliane. Autori del Novecento dentro e fuori circuito, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2019.

 

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