“La riconciliazione di Guglielmo Peralta fra filosofia e poesia” di Antonino Cangemi

Fin dall’antichità, tra filosofi e poeti non é corso buon sangue. La filosofia  obbedisce alle regole della ragione, é un interrogarsi razionalmente sulle origini della nostra esistenza, sul perché e sul come di tutte le cose. La poesia scava dentro l’anima, l’esplora tramite intuizioni che superano le logiche della ragione. La condanna di Eraclito dei poeti é senza appello: “Omero é degno di essere schiacciato dagli agoni e di essere frustato”, né é più tenero Platone: per lui i poeti generano falsificazioni e allontano dalla ricerca della verità. Con i secoli il dissidio non é stato sanato per quanto alcuni pensatori abbiano negato il conflitto e diversi di loro ( si pensi a Friedrich Nietzsche) hanno filosofato poetando.

Il palermitano Guglielmo Peralta da tempo si batte per conciliare la filosofia e la poesia: scrive saggi filosofici con licenze liriche e versi non privi di riflessioni speculative. Il suo é un pensiero piuttosto originale e per esporlo si avvale spesso di neologismi, come “soaltà”, di recente accolto dalla Treccani nel nostro vocabolario, da intendersi come “fusione  e sintesi armonica tra sogno e realtà”.  Da ultimo Peralta ha dato alle stampe per i tipi del Convivio il saggio Il paradiso e la scrittura che fa seguito all’ultima sua raccolta di poesie Sul far della poesia edita da Spazio Cultura nel 2022: due libri speculari che con linguaggio diverso, o se vi vuole da un angolo di prospettiva differente, manifestano il medesimo pensiero e sentire dell’autore.

In altre parole, ciò che in Sul far della poesia è detto in versi, ne Il paradiso e la scrittura è suffragato da argomentazioni razionali. Semplificando, per Peralta la poesia – da intendersi in senso lato come ogni manifestazione artistica tenendo conto della sua etimologia che richiama la creatività  – è espressione della spiritualità dell’uomo e la scrittura proietta verso l’infinito.

Tramite la poesia l’uomo ha il riflesso del paradiso perduto e si avvicina a Dio: “Nella luce della parola poetica é la presenza del sacro, di cui il poeta fa esperienza nella contemplazione”. La poesia, che è uno svelarsi della bellezza anche quando rappresenta il male sublimandolo, é baluardo e antidoto alle derive di un’umanità che calpesta se stessa nello sterminio della natura e nel salto nel vuoto di una tecnologia senza anima.

“Se oggi il nulla avanza e mostra il suo aspetto terribile, se il nichilismo minaccia la sopravvivenza dell’umanità, – scrive Peralta – é perché é sempre più profondo e incolmabile il divario tra l’antropologia e la tecnologia condizionata dalla fantascienza, la quale, applicando senza scrupoli e senza remore morali l’Intelligenza Artificiale, tende a replicare l’uomo, a farne un umanoide”.

Peralta, tra l’altro, nelle sue pagine contrasta il nichilismo inteso in senso negativo, come percezione del nulla assoluto. L’autore del saggio infatti propone un’opposta accezione, in senso positivo, del nichilismo: se Dio creò il mondo e la vita dal nulla, il nulla, al quale si fa ritorno con la morte, ha un’essenza divina.

Il paradiso e la scrittura é un libro che si fa fatica a collocare in uno scaffale specifico di una libreria (“antropologia, metafisica, critica letteraria, epistemologia, etica, teologia?”) e che è aperto a diverse chiavi di lettura, come osserva Augusto Cavadi nell’intelligente prefazione. Ma anche e proprio per questo merita un’attenta e meditata lettura, sia che si accettino o disapprovino le sue conclusioni.

 

 

 

 

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