Introduzione di Tommaso Romano a "La conta dei passeri" (Ed. Porto Seguro) di Giuseppe Sole

Raccontare è raccontarsi. Giuseppe Sole dopo il fulminante esordio narrativo, Il giardino pensile (ed. Pungitopo, Gioiosa Marea-Me, 2013) con la preziosa introduzione di Nino Aquila e una straordinaria opera in copertina di Gaetano Lo Manto - l'eterno ritorna all'uguale, direbbe Nietzsche - al tempo e alla sempre viva lezione di Proust che Egli fa propria in certo modo, al tempo perduto che si ricerca, ma con un ritmo fatto e sorretto di illuminazioni e visioni che possono a volte leggersi come aforismi, come un ritmo di jazz caro all'Autore (che ha pubblicato un pregevole studio su Bufalino e il jazz, ed. Salarchi Immagini, Comiso, 2004).
Scorrono le figure e gli archetipi, a cominciare da Enrico il centro di tutta la narrazione metaforicamente intitolata La conta dei passeri, senza necessariamente ricorrere all'autobiografismo, nell'invenzione della memoria che si fa attualizzazione dell'istante trascorso da poco o mezzo secolo fa. È il miracolo di una scrittura tersa, questa di Sole, il cammino veritativo a partire dai luoghi mitici dell'infanzia a Kaladinisi, da Teresa emblema e poi lontananza, insieme ad una galleria di personaggi unici e veraci, molto ben disegnati senza bozzettismo: don Atanasio, il barbiere, Martino, suor Lucrezia.
Sullo sfondo i luoghi, il tempo inesorabile, la mestizia dell'abbandono alla nostalgia, il rintracciare la poesia perduta e da ritrovare, forse, nel pozzo dell'oblio, riscattando così la dimenticanza, a rebours.
C'è l'aria di Pascoli e il mito del puer aeternus, c'è una lentezza che si avverte come possibilità di ripensamento esistenziale, di radice che non muore, di ricongiungimento agognato.
C'è, insomma, la poesia che illumina di luce autentica queste pagine che come nei bei racconti di un tempo, finiscono presto, scorrono veloci e se ne richiedono ancora al cuore e all'intelletto.
È il miracolo della parola, in questo racconto di Sole, che in chiara semplicità di stile essenziale, evoca un afflato spirituale, un affresco che si staglia nella memoria con dolcezza, quasi un acquarello non passatista, tuttavia.
Giuseppe Sole si conferma così scrittore di durata, sapiente investigatore di umori, climi, ambienti, sapori mediterranei evocatori di una pace che si cerca forse solo sogni ditta dentro.
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