“Il martirio di Bashir Gemayel. Una croce per il Libano” di Domenico Bonvegna
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- Category: Scritture
- Creato: 15 Settembre 2021
- Scritto da Redazione Culturelite
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Oggi la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Croce, uno dei misteri più importanti della fede cristiana. Importante, ma difficile da accettare. Siamo tutti disposti ad accogliere con gioia il mistero dell’Incarnazione del Verbo, il Natale, ma facciamo fatica a comprendere perché la gloria della Resurrezione debba passare attraverso la Croce. “E la fatica nasce non tanto dal sacrificio di Cristo, che ammiriamo e veneriamo, ma dal fatto che Gesù ha voluto indicare, con la croce, anche la nostra strada, sia personale sia come presenza pubblica dei cristiani”. (Marco Invernizzi, Il mistero della Croce e l’assassinio di Bashir Gemayel, 14.9.21, alleanzacattolica.org).
Il14 settembre cade l’anniversario della morte di Bashir Gemayel, un cristiano, un cattolico maronita, eletto presidente della Repubblica del Libano il 23 agosto 1982 e assassinato da un attentato terroristico, insieme a 26 dirigenti del suo partito, proprio il 14 settembre. Bashir Gemayel era nato nel 1947 e ricordo con sgomento quanti, come me, si chiesero il perché di quella morte brutale del giovane presidente. Era il mistero della Croce che colpiva nuovamente il Paese dei Cedri, un “messaggio”, come lo hanno chiamato i Pontefici, per indicare come questo Paese fosse appunto un messaggio di pace e di collaborazione fra le diverse religioni sul piano civile, all’interno di un mondo, il Medio Oriente, dominato dal fondamentalismo e dal disprezzo per la libertà religiosa. Quest’uomo aveva combattuto per la libertà del suo Paese e avrebbe potuto, da presidente, cercare di costruire quel “Paese-messaggio” che i Papi e la Chiesa maronita avevano sempre auspicato. Gli è stato impedito con la violenza nel giorno in cui non è possibile non pensare al mistero della Croce, una Croce che non ha mai abbandonato questo popolo straordinario, ancora oggi colpito dall’ingiustizia, dalla guerra e dalla miseria.
Da allora la croce non ha più abbandonato il popolo libanese. Non che prima non ci fossero stati problemi, a cominciare dalla guerra cominciata nel 1975, quando il Libano cristiano accettò di ospitare mezzo milione di palestinesi, espulsi dalla Giordania in seguito al “settembre nero”. Questa guerra sul suolo libanese sarebbe durata quindici anni e si sarebbe conclusa con la dominazione siriana, che toglieva al Paese dei cedri la libertà e l’indipendenza.
Il 23 agosto 1982, Bashir Gemayel diventava presidente della repubblica con 57 voti su 62 votanti, grazie anche al suffragio di dodici deputati sciiti, di quattro sunniti e di due drusi. Sarà soprattutto nei ventitrè giorni successivi, prima di essere assassinato, che il neo-eletto capo dello Stato riuscirà ad ampliare il suo consenso nelle comunità musulmane, convincendo molti di volere essere il presidente di tutti i libanesi, con uguali diritti e doveri per cristiani e musulmani.
Bashir viene ucciso dai nemici del suo programma, inteso esplicitamente a liberare il Libano da ogni presenza militare non libanese, cioè da siriani, palestinesi e israeliani, e a ridare allo Stato libanese la sua efficienza.
Un programma per il momento storico del Libano. C’era la possibilità di divenire un Libano grande: un Libano forse pluralistico, ma a inequivoca guida cristiano-maronita, e non solo per rispetto dei dettami impliciti nel «patto nazionale» del 1943. “E di questo Libano grande è testimone primo e principe Bashir Gemayel, con la sua vita e con la sua morte, «martire delle sue belle ambizioni per la edificazione di una patria ben protetta, vivente nella dignità, nella sovranità e nella indipendenza», come ha detto, nel corso della orazione funebre, Sua Beatitudine Antoine Pierre Khoraiche, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Egli è la prova tragica, e per questo assolutamente evidente, che il Libano è vivo, che il Libano si è risvegliato, che alla «Svizzera dell’oriente» secondo «quei signori di Berna» è offerta la storica possibilità di diventare la «Svizzera dell’oriente» secondo Gonzague de Reynold (3), e che la sua anima è cristiana. (Giovanni Cantoni, Il martirio di Bashir Gemayel e il risveglio del Libano cattolico, n.90, 1982, Cristianità).
Il 14 settembre per la mia famiglia, è una giornata particolare, dieci anni fa, proprio come oggi ho perso il mio caro fratello Salvatore, (per tutti Totuccio). Intanto concludo questo breve ricordo del giovane martire presidente libanese, ancora con le parole del fondatore di Alleanza Cattolica, che ha paragonato la morte di Gemayel a quella del presidente dell’Ecuador, Garcia Moreno, assassinato il 6 agosto 1875.Moreno prima di morire, aveva il tempo di ricordare che «Dio non muore!».
“Il 14 settembre 1982, festa della Esaltazione della Croce, a Beirut, in Libano, il presidente Bashir Gemayel – che i suoi uomini chiamavano confidenzialmente al-Bach, «il grande» -, colpito da strumenti di morte più «progrediti» e «aggiornati», non ha avuto il tempo di ricordare nulla. Di lui la cronaca dice: «È morto»; per lui aggiungo: «Dio non muore!», e lo immagino ai piedi della Vergine santissima, regina del Libano, a impetrare – con san Marone, con san Sciarbel e con la sua piccola Maya, la figlia uccisa a diciotto mesi, in un attentato, il 23 febbraio 1980 – la pace di Cristo nel regno di Cristo per il popolo che lo piange nella terra dei cedri. E, unendomi a quel pianto, spero ricordi nella sua preghiera anche l’Italia e il mondo intero”.