Giovanna Fileccia, “Aneris. Piccola sirena ribelle”, (L’inedito Ed.) - di Lorenzo Spurio

La poetessa e artista creativa Giovanna Fileccia, nota al grande pubblico, ha recentemente dato alle stampe un nuovo libro. Dopo varie raccolte di poesie edite (con componimenti anche in dialetto palermitano) e un significativo numero di recensioni e analisi critiche di opere di terzi (diffuse, per il momento, principalmente in rete e sul suo fornitissimo blog), ha pubblicato il libro Aneris. Piccola sirena ribelle (L’inedito edizioni, Pineto (TE), 2022).

In questo variegato volume la Fileccia si è dedicata a un genere in qualche modo nuovo per lei, quello della favola. Ci troviamo dinanzi a una narrazione che ha per oggetto le vicende esistenziali di Aneris, una piccola sirena che, nata da un granello di polvere, dovrà impegnarsi per introdursi nel mondo, per comprenderlo e cercare di stare lontana dalle numerose insidie. È una favola che ha la sua ambientazione al mare o, per essere maggiormente precisi, dovremmo dire nelle profondità del mare. La piccola Aneris – con l’importante insegnamento e la rassicurazione costante della madre – parte nel suo viaggio di scoperta seguendo le indicazioni attentissime fornitele, munita di un oggetto che, in caso di difficoltà per la sua sorte, potrà utilizzare per far volgere – miracolosamente, ma questo la fiaba lo consente – le cose a suo favore.

Il viaggio che compirà, nei recessi marini, sarà lungo e affascinante, ricco di colori e di peripezie non sempre dettate dall’entusiasmo. Difatti, nonostante l’armonia che è propria ad Aneris così come la sua volontà di perseguire nella difesa della libertà, si troverà dinanzi a perigli di varia natura. Da una parte quelli del mondo in cui si trova: i fondali marini non sono solo abitati da simpatici pesci pagliaccio e da immaginifici coralli, ma possono rivelarsi la sede di pesci famelici pronti a predare, presenze difficilmente individuabili perché adottano capacità mimetiche, imprevisti di sorta unitamente alle avversità metereologiche che, nelle onde marine, risentono di sobbalzi, correnti e, per gli indifesi esseri come Aneris, di mancanza di equilibro, incapacità di orientarsi e altro ancora.

Il volume – pubblicato nella collana Ethos Fabulae della casa editrice L’inedito edizioni di Pineto – è un arcobaleno di colori. Le vicende di Aneris sono cadenzate da foto a grandi colori – che coprono intere pagine – di opere creative della Fileccia (lo ricordiamo è l’ideatrice e fondatrice della Poesia Sculturata) fatte con materiali di scarso pregio ma non per questo di minor impatto sull’osservatore. Segni, lacerti, costruzioni, pezzi che richiamano il mondo marino, della sabbia, dell’acqua, delle presenze anfibie, di onde, reti e stelle marine. È un universo sognante – non canonicamente fiabesco, generalmente individuato nel sottobosco o in campagna – dove Aneris cresce, matura, si relazione al contesto sociale (i suoi simili e la presenza-minaccia dell’uomo).

Belle le immagini dell’ippocampo – questo magnifico abitatore delle acque, di piccolissime dimensioni – una delle forme di ermafroditismo animale in cui è il padre a partorire i figli. La Fileccia non manca di fornire un tocco di grande affetto e di affiatamento quando narra che è il padre a partorire ma con la vicinanza (in qualche modo una forma d’aiuto e segno d’amore) della sua compagna.

L’uomo, ogni volta che compare, è connotato negativamente. Dapprima ha la forma di una presenza indefinibile e confusa, ingombrante e rumorosa e, in seconda battuta, quando Aneris si confronta con altri abitatori delle acque (una sorta di colloquio accrescitivo della conoscenza com’è quello dello scaltro Pinocchio e l’austero Grillo Parlante, confessore di difficili verità) scopre che sono entità che agiscono in maniera spregiudicata e malevola sull’ambiente e sul loro ecosistema acqua: macchie di petrolio fuoriuscite da petroliere o imbarcazioni in avaria (“una sostanza nera e oleosa galleggiava sul mare e le si appicciò addosso”, pp. 74-75), rifiuti galleggianti per lo più di plastica (“una nave bianca galleggiava in quella distesa di cose trasparenti”, p. 86). L’intrusione peggiore dell’uomo nel contesto naturale, una vera e propria profanazione, è contenuta in “quelle teste nere che galleggiavano e affondavano” (p. 66), il segno doloroso di una recente ecatombe per mare.

La Fileccia, pur adoperando il metro della fiaba che canonicamente sposa i temi leggeri per giungere a un pubblico di minori, non manca di inserire nella sua narrazione temi che diventano moniti importanti, imprescindibili, che hanno a che vedere con la denuncia delle azioni incivili dell’uomo.

L’errore che generalmente si compie è quello di pensare la fiaba come una formulazione testuale unicamente destinata a un pubblico infantile quando, al contrario, essa può avere efficacia – e Gianni Rodari con la sua opera e i suoi interventi mirati lo mostrò in forma molto lucida – e persuasione su un pubblico di adulti. L’Autrice nel suo libro non ci propina facili morali, risposte banali che si possono cogliere senza un minimo di coinvolgimento, soluzioni trite o vedute ottimistiche improntate all’utopia. Al contrario, ha fuso l’attualità a una cornice di finzione che potrebbe proiettarci verso un oltre – un mondo illusorio ed edenico – che in realtà non lascia mai troppo la briglia per far sognare il lettore ad occhi aperti. C’è lo svago beato della fiaba, certo, ma c’è anche il richiamo alla concretezza. E un esperimento del genere, oltre che raro, non è per nulla semplice da proporre. L’autrice palermitana – abile nel padroneggiare anche altri metri e stili – lo ha fatto in maniera egregia e con esiti che tutti, leggendo il libro, possono osservare.

Il canto di Aneris, contenuto nelle pagine finali del volume, quando oramai “ha fatto le ossa” e ha conosciuto quel mondo non sempre piano e tacito ma, al contrario, ispido e cinico, è un componimento breve in cui la Fileccia canta la ricchezza della diversità, l’esigenza del rapporto con gli altri, il sentimento di beltà della vita, l’armonia e la strenua difesa della libertà.

Nelle prime pagine del libro una porzione di testo mi ha colpito e la riporto a continuazione: “La Conchiglia Madre, nonostante fosse ben ancorata alla fenditura delle rocce della Cala Mezzocorallo, era soggetta alle correnti che spostavano a volte anche di qualche chilometro. Ma lo spostamento non arrecava alcuna preoccupazione” (p. 24). In questa breve raffigurazione-riflessione vi trovo le forme e l’andatura dell’esistenza di ogni essere vivente, della vita dell’uomo. C’è un tempo di ancoraggio e sicurezza, contraddistinto dal periodo infantile e adolescenziale grazie alla presenza, contatto e protezione della famiglia e c’è un tempo che fa seguito alla crescita e all’autoconsapevolezza che porta all’allontanamento, alla distanza, al viaggio. La vita, dopo tutto, non è che un viaggio più o meno lungo, più o meno bello, fatto di atti dinamici, dislocamenti, ricerche, fughe e attese. C’è però anche quello “spostamento” di cui parla la Fileccia che non è un semplice muoversi, un dislocarsi autonomo e cosciente nello spazio, ma la conseguenza di una calamità o imprevisto, l’accadere di un qualcosa ingovernabile: il tempo avverso e il mare mosso per Aneris, le vulnerabilità e le precarietà per l’uomo. La malattia, i rancori, la violenza, le forme variegate di disperazione e lotta contro il mondo e contro se stessi. Ecco, la narrazione di Aneris ha una doppia ricchezza: rilassa e fa sognare, ci trasposta in una dimensione altra, ci avvolge e ci incuriosisce, ci fa dimenticare le gravità del presente. Dall’altra parte evidenzia il marcio della nostra società, dichiara la perversione del quotidiano, denuncia adoperando un’osservazione attenta del reale, reclama e intima a riflette, a meglio guardarsi attorno, a maturare un pensiero sentito – autentico e personale – e concreto, che possa portare all’assunzione di un fare “pratico” atto al cambiamento. La vicenda di Aneris è così bella (chissà se potrà avere un seguito?!, ce lo auguriamo!) perché al contempo è la storia di un essere che non esiste e ci fa sognare e una vocina interiore che ci martella e che non possiamo eludere. Fiaba e realtà. Sogno e verità. Grazie all’Autrice.

 

Lorenzo Spurio

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