Attorno a una poesia di Alessio Di Giovanni: “Morti scunzulata” - di Vittorio Riera

 
Di questa poesia, “Morti scunzulata”, in cui intensa è la partecipazione del poeta di Cianciana alla vita di stenti della zz’Annuzza, una delle tante Annuzze sperdute e isolate negli sconfinati feudi della Sicilia di un tempo, di questa poesia, dicevamo, si hanno tre versioni o meglio due (vedremo poi perché questa apparente contraddizione). La prima versione risale al 1904 e venne pubblicata ne “Il Marchesino”, un “Giornaletto settimanale illustrato” che si pubblicava a Messina e vale la pena riprodurla subito ai fini di ciò che ci apprestiamo a segnalare:
 
MORTI SCUNZULATA
 
Ni la casuzza
Sò, (unni lu tettu vasciu e affumatizzu
È un crivu d’occhiu), dormi la zz’Annuzza.
La puviredda…
Avi la facci giarna, senti friddu…
’Nterra, lu suli di la gradicedda
Stampa ’na cruci:
E di la grada un pèrsicu sciurutu
Spinci dintra ’na rama unni spirluci,
’Nfunnu, lu celu
Acquamarina: mentri a la zz’Annuzza
Ci scinni supra l’occhi comu un velu
Scuru di morti…
Quantu voti a lu friddu, a li vintati
Di la pruvenza, idda, darrè li porti
Di chiddi ricchi,
Stetti morta di fami, e quantu voti
Ci assughiaru l’armali!... a labbra sicchi,
Oh quantu voti
Vitti, ni li dispenzi, a tanti ggenti,
Vìviri vinu!... Nuddu ca la scoti.
Nuddu di tunnu…
Pari ca dormi: ’n’arma nun si senti,
Comu s’ ’un asistissi cchiù lu munnu...
Passa un mumentu…
Darrè lu jazzu un surci granciulìa,
Lu pèrsicu s’annaca cu lu ventu
Ciuciulïannu…
Li pugna stritti, l’occhi sbarracati
La zz’Annuzza nun dormi: st’assaccannu...
 
Questa la poesia dunque apparsa sul “Marchesino”. Il Di Giovanni si è già imposto all’attenzione della critica e dell’opinione pubblica quale critico d’arte (Si veda a riguardo il nostro Alessio Di Giovanni, critico d’arte), quale narratore e soprattutto come poeta. Sul piano poetico è reduce di quello che possiamo considerare il suo esordio letterario Maju sicilianu, Maggio siciliano, che è del 1896, opera che interessa molto da vicino la poesia oggetto della nostra divagazione. Le tre sezioni in cui è divisa la silloge sono dedicate a tre pittori, tra i quali, il terzo, a Luigi Di Giovanni – tra i due nessun rapporto di parentela –. Proprio con quest’ultimo Alessio intreccerà un’amicizia che durerà a lungo come mostrano le lettere di Luigi che Alessio conservò e che sono state oggetto di un nostro lavoro (Alessio e Luigi Di Giovanni, un sodalizio artistico e umano). Possiamo anche rintracciare l’origine di questo sodalizio e datarla: l’Esposizione universale di Palermo del 1891-92. Qui si ha l’incontro tra il non ancora noto e giovanissimo Alessio – Alessio ha appena vent’anni – e il già affermato pittore Luigi. Alessio si fa, per conto del quotidiano “L’Amico del Popolo”, cronista delle tele esposte nel corso dell’Esposizione e dedica ben due lunghi e lusinghieri articoli al Di Giovanni suo omonimo. Luigi – e qui cominciamo a capire il perché di questa nostra divagazione – è imparentato con i Furitano una famiglia appartenente all’alta borghesia palermitana per avere lui sposato, nel 1886, Caterina Furitano, figlia di Giambattista Furitano, ufficiale medico e figlio a sua volta, dello scienziato lercarese Antonio Furitano. In casa Furitano la cultura era, per così dire, il pane quotidiano: Caterina era poetessa, e, finché scrisse, riscosse il plauso di esponenti della cultura quali, Eliodoro Lombardi e Gaetano De Spuches; la sorella, Nettina, era pittrice e partecipò alla citata Esposizione Nazionale, l’altra sorella, Adele, infine, si dilettava di musica. Ora si sa che i Furitano tenevano salotto a Palazzo Costantini, ai Quattro Canti, dove abitarono per qualche tempo. Lo dimostra una sorta di Giornale degli Ospiti che gli eredi diretti e indiretti di Lugi Di Giovanni, e per essi, Gino Di Giovanni e Aldo Nuccio, hanno conservato e ci hanno messo a disposizione (Vedi il nostro Un salotto del primo Novecento a Palermo – Casa Furitano-Di Giovanni, pubblicato in “Culturelite” del 24ottobre 20018) . In esso sono firme, frammenti di partiture e pensieri di personaggi quali Riccardo Zandonai e Pietro Mscagni. Quale non è stata la nostra sorpresa quando abbiamo letto, manoscritta e sottoscritta, anche quella poesia, “Morti scunzulata” datata Luglio 1910 che qui sotto riproduciamo:
 

 
 
Dalla collazione dei due testi ci accorgiamo subito che le varianti, anche se poche, sono significative e tendono tutte a rendere più snello il testo. Intanto, è scomparsa la dedica presente nel testo del 1904 (A “Espero gentile”, dove Espero è l’altro nome con cui si suole chiamare il pianeta Venere). Soppressa la parentesi tonda del secondo e terzo verso (unni lu tettu vasciu e affumatizzu / un crivu d’occhiu). Dei puntini di sospensione, di cui il poeta fa largo uso, vengono soppressi solamente quelli dopo ‘armali’. Altre varianti riguardano sia sostantivi (gradicedda che diventa finistredda e ggenti sostituito con genti), sia verbi (spirluci divenuto straluci e assajaru che sostituisce il più pesante assagghiaru), sia infine congiunzioni (mentri che diviene ‘ntamentri’). Per quanto riguarda quest’ultima variante, a nostro parere meno agile di mentri, il suo uso è giustificato da esigenze metriche. Nel verso dove la congiunzione compare, Alessio aveva sostituito un sostantivo in funzione aggettivale di cinque sillabe (acquamarina) con un aggettivo di 4 sillabe (cilistrinu, cilestrino), l’autore quindi doveva ricomporre l’endecasillabo, diversamente il verso sarebbe risultato zoppo.
Rimane la questione della terza versione, quella apparsa in volume nel 1938 in Voci del feudo (Palermo, Sandron)  da noi consultata nella ristampa del 1997 a cura di Salvatore Di Marco per i tipi dell’Editore Mazzone (Ila Palma Palermo). Ci saremmo attesi una ulteriore rivisitazione della lirica o, quantomeno la riproposizione della versione del 1910 che ci sembra più accettabile messa a confronto con la poesia pubblicata sul “Marchesino” di Messina. E invece no, Alessio pubblica in volume proprio la versione del gennaio 1904, tale e quale, senza la pur minima variante. Che cosa può essere accaduto? Che si sia dimenticato della versione del 1910, lo escludiamo. Perché allora non recuperarla dal momento che, come abbiamo visto, i rapporti con Luigi Di Giovanni erano fraterni? Il fatto è che il 1938, anno in cui “Voci del feudo” viene pubblicato, coincide con la morte dell’amico pittore. È probabile quindi che Alessio non se la sentiva di avvicinare l’amico sapendolo in cattive condizioni di salute. Da qui, la decisione di pubblicare la versione del 1904. Senza nulla togliere e nulla aggiungere. Ma, poco male, possiamo concludere, perché il caso – il rinvenimento del ‘giornale degli ospiti’ di cui si è detto all’inizio – talune volte interviene a colmare una lacuna e a chiarire il perché di essa.
 
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