Adalpina Fabra Bignardelli, "La conchiglia e l'ortensia" (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

di Giovanni Teresi
 
Cogliendo spunto dalle diverse tematiche delle singole raccolte nell’Opera Omnia “La conchiglia e l’ortensia” della poetessa Adalpina Fabra Bignarelli, ho elaborato la disamina in modo da svolgere un discorso, di volta in volta, su un particolare aspetto dell’arte poetica e sulla particolare angolatura delle sue caratteristiche e delle dinamiche di fondo.
La Poesia della Nostra  rivela al lettore un soffio di vento che bussa alla porta di ogni sapere, come una farfalla che si posa su un fiore dal quale trae energia, come un tassello che completa il quadro irrazionale di un’anima irrequieta in “Fuochi d’artificio”:
… Sulla spiaggia
immemore
la conchiglia giace.
In quel silenzio greve
triste si sente il cor
che sempre teme
per il suo dolce amor.”  (Solitudine)
 
“Fiori rosati come i sogni,
purpurei come il sangue degli eroi,
rose sfumate … colore dei ricordi …
Soave sinfonia di colori,
Dolce incantesimo
Di ciò che è puro e bello!” ( I fiori)
 
La vita è un viaggio incredibile, un’ascesa meditativa verso il trascendente, reso meraviglioso e significativo da tutte le sue esperienze: felicità, bellezza, sofferenza, sacrificio.
La poesia della nostra poetessa Adalpina è uno sguardo sul mondo interiore, è il patrimonio di sincerità, di ingenuità – protetto dal suo carattere forte – che accompagna i suoi versi.
 
“ ed in quest’ora che s’appressa amara
sento pesar s me la solitudine
della vita che intristisce,
sterpo stecchito nel deserto immenso.”  (Sgomento)
 
La vita dell’autrice appare segnata dalle contraddizioni del vivere, da qui scaturisce in lei la voglia di esprimere la propria anima, di esplorare e di dire il proprio “io” racchiuso nella “Conchiglia”:
 
“Quando mi spinge a vagare
lo spirito inquieto e selvaggio,
affrontar mi piace il vento salmastro
e guardare la mareggiata
che s’infrange contro la scogliera.
Vidi un dì, fra le rocce, una conchiglia
la presi e l’ascoltai.
Narrava di storie, … avventure,
vite meravigliose d’amore e di morte.
Ardita la conchiglia era passata
per il mare infinito, senza tremare
Contro la sventura. …”
 
Però il suo dire non ha nulla di conflittuale: quasi ella abbia trovato all’interno delle occasioni dell’essere il luogo della sua pace superiore, della femminile dolcezza. Questi versi scelti esprimono  i contenuti, lo stile, il pathos della Nostra, ove si trovano i volti e i luoghi rivisitati durante la sua esistenza.
 
“Nel vicolo
Angusto e tetro
Si sporge civettuola
La loggia antica.
L’edera scherzeggia alla finestra
Rosata di geranio
E il vento rumoreggia tra le foglie. …” (Loggia)
 
 “ Terra aspra …
Terra selvaggia e tenera
Amata e odiata,
soggiogata e calpestata
affrancata e risorta.
Tu sei la mia terra”.       (Terra di Sicilia)
 
Ma l’opera travalica il mero connotato fenomenico, la datità del mondo: si proietta nella sfera della pura esistenzialità.
 
“Non so pregare più.
Invano le mani si uniscono imploranti!
Ho popolato d’ombre i miei silenzi.
Mi sento sola
In questo  mondo frivolo.” (Sconforto)
 
Nella quotidianità si è perso il senso della naturalità: che è, semplicemente, vivere, semplicemente morire:
“Bimbi,
che sarete domani?
Geni o dannati?
Ma si rifiuta il cuor di meditare
Solo il pensiero vi segue e vi carezza …” (Davanti alla scuola)
 
“Ombre
che tornate con la sera …
vi attendo. …
Amo quest’ora
e vi temo.
Ombre
che mi spingete
nel vagabondare del pensiero,
dissolvendovi poi,
nell’ultimo chiarore.”  (Ombre)
 
La vita, in realtà, si sviluppa nel vuoto: il vuoto del passato, che è breve, e di inconsapevole spessore; il vuoto del futuro, che è un “non so ancora”; il vuoto del presente, perché l’attimo sfugge.
Il vuoto è il silenzio. È la solitudine.
Questa è la condizione esistenziale dell’autrice.
Dal significato tuttavia polivalente, il “silenzio” è figura che ricorre a raffigurare o il raccoglimento profondo, nel quale matura, o la fede e la speranza infinite. Nel silenzio della notte, nel silenzio della vita! Da questa solitudine esce con il sentimento: il sentimento come apertura verso l’ignoto, l’universo, l’eternità. É dentro la sua solitudine si delinea lo strumento musicale e la rivelazione, del puro sentimento.
La poesia della Nostra a volte si occupa del “quotidiano”, e resta sempre solcata da un raggio di luce che illumina le “cose” e apre ad esperienze esistenziali più ampie.
La lirica “Girotondo”, con cui inizia la raccolta, esprime, con linguaggio asciutto e con metafore incisive, l’idea ispiratrice: superare l’opacità della terrestrità, per un viaggio a punta di piedi che ha principio da una lucentezza. 
 
“ … Girotondo di vissuti amori
di abbandoni ormai lontani
di ricerche interessate
sull’essenza della vita.
Tutto un gioco? Chissà!
Libertà d’immaginazione
nel cosmo illimitato
Girotondo di pace.”   (Girotondo)
 
Un viaggio – che è la definizione dell’esistere – “verso il cielo”; o meglio, “un gesto”.
Labile come una foglia. È da questo orizzonte stellare che si apre lo “spazio per vivere”.
In “solitudine”, ma non da soli:
 
“Lo sguardo percorre all’infinito
le ampiezze azzurre del mare.
….
Raggi luminosi di sole
esaltano il profumo di fiori, di erbe.
Il silenzio degli spazi del cielo
accarezzano
dal lieve stormire di foglie.
Catturare l’essenza
del fugace momento.” (Dalla riva)
 
A volte ci si cerca non solo seguendo lo sguardo tra l’immensità della luce, ma anche auscultando le orme che segnano le nostre ansietà, i nostri piaceri  tra i fili d’erba dei prati e le foglie cadute.
La quotidiana esistenza impone poi un’etica per sopravvivere. A volte l’uomo è sopraffatto dall’ansia per raggiungere ad ogni costo un traguardo. Da ciò, spesso, la frustrazione.
Allora è necessario guardare al “curioso mistero” delle cose e riposare entro i “giochi di parole” aspettando soltanto che la vita si offra.
Non si tratta di lasciarsi prendere dalla depressione ma di lasciarsi prendere dal “vento”, dalla forza del destino.
Il vissuto dell’autrice spazia in larghi scenari terrestri, imprevedibili.
“… Vasca d’acqua
dove si riflette il cielo.
Piccoli giardini segreti
chiusi tra alte mura
per impedire al vento di passare.
Racchiudete
l’anima passionale
di terre intrise
nell’amore e nell’odio
di travolgente vitalità.”    (Giardini mediterranei)
 
 Quando, invece, la vita è racchiusa nello spazio di una stanza, l’anima, asserragliata è prigioniera nelle inquiete ed il pensiero grida disperatamente libertà.
 
“Mi aggiro tra stanze in penombra.
Aria profumata di ricordi.
Voci familiari non odo più.
Inutili sciocchi
gesti quotidiani
nell’attesa dell’ora estrema.” (Domenica d’estate)
 
“ … ma un’anima leggera
fatta di luce e colore
di orizzonti e cielo
tra alberi che affondano radici
nell’infinito e raccontano
la legge primigenia della vita.
Profumo di mare
nell’ansare del vento.”  (Isole Eolie)
 
La poesia è questa tensione tra il vagare – in un fisico “errare” al di là della siepe leopardiana – e il dimorare tra le cose scoperte.
Il duplice atteggiamento, realistico e simbolico, si compenetrano in una sintesi in cui l’intreccio semantico, una volta disvelato, immette nell’universo della Terra come “radice” del viaggio umano, e nell’universo del Cielo come forma coscienziale di questa avventura.
“  … Ho esplorato
Terre lontane
Ho parlato con molti potenti …
Ma no ti ho trovato.
Nel silenzio
Di un villaggio
Sperduto tra i monti
Con uomini semplici
E povere cose
Ho incontrato
Pace e felicità”.  ( La felicità)
 
Adalpina Fabra ritorna alla gioia familiare della nascita del figlio con il naturale afflato materno  quando ormai il tempo felice ha lasciato il posto al tempo della solitudine:
“Eri nato
dormivi quieto con i pugnetti chiusi
il capino coperto di riccioli
piccolo prodigio di un grande amore.
Ti ho custodito …
Ora sei entrato nel mondo
e il mondi ci dividerà.”     (Al mio bambino)
 
Poi il dolore per la perdita del marito, unica e carissima persona amata, si snoda in commoventi versi, consapevolezza dell’ineluttabile e della percezione che niente e nessuno potrà sostituire ciò che è scomparso.
 
“Malinconico traguardo
di ogni anno
sempre più lontano
il suono della tua voce
sbiaditi rimpianti
di mancati percorsi
deserto amaro
di comunicazione …
Vuoto a perdere
senza di te.”            (Anniversario)
 
“In triplice fila
schierate sul tavolo
fan bella mostra le fotografie.
Hanno fermato l’attimo fuggente
della vita. …
Visi familiari
racchiusi nel mio cuore
mi guardate
vi guardo
rivivo il giorno, il luogo, il tempo
e la nostalgia mi travolge.”        (Fotografie)
 
Quando l’animo prova un’emozione intensa, si rende conto che a vivere pienamente quella sensazione non basta un unico soggetto, ma ne occorre un altro.
L’«altro» è un «tu» preciso ed impreciso insieme: come individuo e al contempo come infinito.
Il desiderio dell’altro non è dunque, soltanto, desiderio di possesso: è necessità di comunione, in cui le anime si arricchiscono a vicenda.
Infine, in alcune liriche della nostra Poetessa, l’assillo appare quello del «dire», del far parlare la coscienza intimorita nell’esser nel mondo, incatenata all’esigenza del comunicare.
Il fulcro dell’intuizione poetica della Opera Omnia è da individuare nell’esistenza: intesa come esistere, etimologicamente ex esistere, “stare da”, nel senso dell’essere che continuamente nasce dai “risvegli” e continuamente “corre” e si “sorpassa”.
Il vissuto coscienziale è più facile dirlo con lo sguardo, con il corpo, col silenzio …
Ma se i vissuti più nascosti, che eludono la coscienza, sono raggiunti con criteri che trascendono la coscienza, la poesia pura vale nei casi in cui l’illuminazione si presenta davvero folgorante.
 
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