"Un Salotto dei primi del Novecento a Palermo: Casa Furitano – Di Giovanni" di Vittorio Riera e Aldo Nuccio

Pare fosse consuetudine presso le famiglie dell’alta borghesia palermitana tenere ‘salotto’ nelle proprie dimore, di invitare cioè personaggi più o meno illustri della cultura locale e nazionale, di ricevere visite di amici e parenti in occasione di eventi di un certo rilievo. È quanto si deduce da una sorta di giornale degli ospiti che gli eredi del pittore Luigi Di Giovanni (1856-1938), il nipote omonimo, Luigi, e il cognato di questi, Aldo Nuccio[1], hanno opportunamente conservato e su cui vale la pena spendere qualche parola per le sue implicazioni artistiche e di costume.
Il documento viene fatto risalire alla famiglia dell’Ufficiale medico Giambattista Furitano (V. Fig. 1 dell’album fotografico), figlio del più illustre Antonio Furitano (Lercara 1778 - Palermo 1836; V. Fig. 2), docente di Chimica[2] presso l’allora regia Università degli studi di Palermo.[3]
Occupava, Giambattista, con la moglie Concetta Scaglione (Fig. 3) e le due figlie, Nettina (Fig. 4)[4], e Adele (Fig.5),[5] alcuni locali del sontuoso palazzo Costantino ai Quattro Canti di città (Fig. 7), a Palermo.
Una terza figlia, Caterina (Fig.8), era andata sposa, nel 1886, al già affermato pittore Luigi Di Giovanni (Fig. 9).
Era Caterina la primogenita di Giambattista. Amava l’arte, e soprattutto la poesia. Di lei si conoscono diverse raccolte poetiche, la prima addirittura pubblicata nel 1875, all’età di 15 anni, tutte però anteriori al matrimonio,[6] in occasione del quale scrive un poemetto di circostanza, Amore ed Arte . Ma questa è l’ultima esperienza poetica che si conosca di Caterina e che, dunque, si può considerare come il canto del cigno.
Caterina non era l’unica ad amare l’arte, se lei scriveva di poesie e racconti, Nettina dipingeva, mentre Adele si dilettava di musica come mostrano alcuni spartiti pervenuti fino a noi che stiamo scrivendo.[7] L’arte quindi regnava sovrana in casa Furitano - Di Giovanni.
Ma ora è utile vedere più da vicino questo giornale degli ospiti[8] dove peraltro anche i congiunti amavano scrivere qualcosa in determinate circostanze. In occasione del giorno onomastico di Caterina, a esempio, così scriveva la sorella Adele il 25 marzo del 1901, riflettendo sul significato di poesia:
 
Oh benedetta la poesia! verso armonioso e non fugace di quanto l’umanità sente di più grande ed immagina di più bello!... Alba vergine e risplendente dell’umana ragione!... tramonto vaporoso e infocato della divinità nella mente ispirata del genio.
Ella procede sui sentieri eterni, e invita a sé una per una le generazioni della terra, ed ogni passo che avanziamo per quella strada sublime ci dischiude un più largo orizzonte di vita, di felicità, di bellezza!…
A te, cui sovente la Musa ispira dolci canti, il mio saluto.
 
Nettina, invece, lo stesso giorno, ricorre a un mini racconto per fare alla sorella gli auguri:
Come anime adamantine geniali, belle, palpitavano, ridevano, splendevano nel cielo senza luna le stelle d’oro. Io dissi:
– Oh piccole anime eterne con voi voglio vivere, splendere, gioire eternamente. Eternamente? Eternamente! – E un riso echeggiò per l’aria, e il cielo si fece nero, e un rombo udissi, e vidi simile a palla di fuoco il mondo girare vertiginosamente, precipitare nel vuoto, nelle tenebre, nel buio fitto.
 
Cinque anni dopo, Nettina regala alla sorella un altro mini racconto che non riusciamo a capire se in sé compiuto o mancante della prima parte. Eccolo:
 
Per la terza volta la bimba disse: – Ho fame.
La mamma la strinse al seno mormorando: – Dormi, gli angioli ti daran pane. Ah Vergine santissima, aiutatemi voi! – E la misera volse lo sguardo a la Madonna dal volto ovale, dagli occhioni neri, pensierosi, che la guardava dalla sua nicchia di marmo.
– Ah! Maria! Ah! Maria! non ho pane, non ho casa. Ah! Maria del mio cuore, aiutatemi voi!
E la Madonna dall’alto le sorrise, e la donna:
– Ah! Maria! Ah! Maria! casa non ho, pane non ho, la mia piccina ha fame, ho fame anch’io! ah! Maria dell’anima mia, aiutatemi voi.
E la Madonna le sorrise dall’alto: Ah! Vergine Santissima! fate ch’io muoia! morire io voglio insieme alla mia bimba.
E la Madonna si fece mesta.
– Morire? No! Spera! – le disse.
E cento voci ripeterono: – Spera!
E la misera madre vide la chiesa splendere di vivida luce; vide vacillare la Madonna nella sua nicchia di marmo; la vide avvolta in un velo tutto rosso, poi in uno nero; e vide la chiesa girare vorticosamente e attraverso migliaia di scintille rosse, verdi, gialle, azzurre, vide saltellare gli altari, precipitare la volta, le colonne, vide il suolo levarsi, abbassarsi, e i fedeli ballare una ridda infernale.
  • Ah!, Madonna! Madonna! – gridò la misera, e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, si trovò su di un ricco letto, in una camera da le pareti rosa, da la volta azzurra, una giovine signora le era presso e sorrideva.
  • Vostra figlia è nella stanza qui vicino, giuoca con la mia bimba  – le disse, e aggiunse:
  • Vi sentite meglio? Coraggio! i tristi giorni se ne sono andati.
La donna sbarrò gli occhi, li richiuse; e la Madonna della nicchia di marmo le si fece innanzi.
– Via! Godi! – disse baciandola in fronte. E cento voci ripeterono: – Godi!
 
Qui finisce il racconto, in calce al quale è scritto: “Per ricordo, a mia sorella, 25 Novembre 1906.”
Nettina non si limita a regalare racconti alla sorella Caterina; ricordandosi di essere pittrice, le fa omaggio di due acquarelli firmati, due volti di donna – una suora (dim. 13,9x8,8) e una donna araba (10,6x10,5), dallo sguardo intenso fisso verso mondi lontani (Figg. 10 e 11).
 
 
GLI OMAGGI IN PROSA…
 
 
Dall’album degli ospiti ne ricaviamo che la casa di Caterina era un andirivieni di personaggi illustri e meno illustri. Tra i personaggi meno illustri – dovevano essere amici di famiglia – si possono leggere diversi pensieri delle non meglio identificate sorelle Paolucci.
Vittoria, il 15 marzo 1908, scriveva a mo’ di stornello:
 
Fior di primavera,
l’amicizia è dolce quando è sentita,
e la mia è bella perché è proprio vera.
 
Non meno poeticamente, il giorno dopo, così Eleonora volgeva il suo pensiero “affettuosamente alla Signora Caterina Di Giovanni”:
 
Una fata benefica stenda le sue dolci ali su lei e l’inondi di una pioggia di fiori che in loro arcano linguaggio le dicano la felicità.
 
Costanza, riflettendo anche lei sul significato della poesia, metteva in luce le sue doti di critico letterario:
La poesia è il linguaggio dell’ideale e del sogno. La sua dolce armonia ci commuove, ci agita, ci eleva in una atmosfera che non è la nostra, e con i suoi dolci pensieri ci rivela un mondo a noi sconosciuto. Chi ha avuto dalla natura il dono di trasmettere questo dolce linguaggio non può essere che un’anima dolce e gentile. Ella ce lo prova unendo alla sua virtù di poetessa una squisita bontà con la quale spero si vorrà qualche volta ricordare della sua amica Costanza Paolucci.
 
Un’altra delle sorelle Paolucci (G. Paolucci) lascia un pensiero che lascia trasparire la concezione che ha della vita:
 
Non contrasti, e nella vita delle nazioni la sola giustizia trionfa e la sola scienza illumina.
 
Concettina Paolucci, infine, così “alla gentile Caterina Di Giovanni”:
 
[…]… Quanta dolcezza nel ricordo del passato, quanto incanto nella memoria di un tempo che gli anni involgendo tra le loro spire han no reso vago, incerto, pieno di fascino come un sogno.
Come una strana soave melodia, il ricordo giunge a noi dal passato; come un profumo inebriante ci parla di un tempo che fu, di persone lontane.
È proprio vero: se l’affetto è la poesia del presente, il ricordo è la poesia del passato.
Il suo ricordo, gentile e buona signora, ci sarà sempre caro e grato in ogni età della vita; anche Ella non ci dimentichi, e mi rammenti qualche volta anche quando il presente non sarà che un lontano ricordo.
 
 
 
…E QUELLI IN VERSI
 
 
Oltre che in prosa, si possono leggere anche degli omaggi in versi, tra i quali uno di Alessio Di Giovanni, fra i più noti poeti dialettali del secolo scorso e molto amico e sodale di Luigi Di Giovanni[9], marito, quest’ultimo, come abbiamo visto, di Caterina Furitano. La poesia, di un crudo realismo, tipico della poetica digiovanniana, è del 1910, ma il Di Giovanni ne aveva già pubblicata una versione sul “Marchesino” di Messina del 30-31 gennaio 1904 e la ripubblicherà nel 1938, inserendola nella silloge Voci del feudo (Palermo, Sandron). Ma ecco la versione del 1910, ripromettendoci di mettere a confronto le tre versioni per analizzare le eventuali varianti dal punto di vista estetico.
 
 
 MORTI SCUNZULATA
 
Nni la casuzza
So, unni lu tettu vasciu e affumatizzu
È un crivu d’occhiu, dormi la zz’Annuzza.
 
La puviredda
Avi la facci giarna, senti friddu…
‘Nterra lu suli, di la finistredda,
 
Stampa ’na cruci,
E di la grata un persicu ciurutu
spinci dintra ’na rama, e ci straluci,
 
’Nfunnu, lu celu
Cilistrinu… ‘Ntamentri a la zz’Annuzza
Cci scinni supra l’occhi, comu un velu
 
Scuru, di morti…
Quantu voti a lu friddu, a li vintati
Di la pruvenza idda, darrè li porti
Di chiddi rricchi
Stetti morta di fami! e quantu voti
Cci assagghiaru l’armali! A labbra sicchi,
 
Oh quantu voti
Vitti nni li dispenzi a tanti genti
Viviri vinu!… Nuddu ca la scoti.
 
Nuddu di tunnu!...
Pari ca dormi… ’n’arma nun si senti
Comu s’ ’un asistissi cchiù lu munnu.
 
Passa un mumentu…
Darrè lu jazzu un surci granciulia…
Lu persicu s’annaca cu lu ventu,
 
Ciuciuliannu…
Li pugna stritti, l’occhi sbarracati,
la zz’Annuzza nun dormi: st’assaccannu…
 
 
 
 
TRADUZIONE[10]
 
 
MORTE SCONSOLATA
 
Nella sua casetta,
dove il tetto basso e pien di fumo
e buchi, dorme la za Annuzza.
La poveretta
ha il volto giallastro, sente freddo…
A terra il sole, dalla finestrella,
 
stampa una croce,
e dalla grata un pesco fiorito
spinge dentro un ramo, e risplende,
in fondo, il cielo
cilestrino… Nel mentre alla z’Annuzza
scende sugli occhi come un velo
 
scuro di morte…
Quante volte al freddo, alle ventate
e ai gelidi spruzzi lei, dietro le porte
 
dei ricchi
stette morta di fame. e quante volte
finirono gli animali! A labbra secche,
 
oh quante volte
vide nelle corti tanta gente
bere vino! ... Nessuno che la veda,
 
nessuno, nessuno!
Sembra dormire… non si sente fiatare
come se il mondo non esistesse più.
 
Passa un momento…
Dietro un giaciglio, un topo rosicchia…
Il pesco si muove al soffiar del vento,
 
mormorando…
I pugni stretti, gli occhi aperti,
la z’Annuzza non dorme, sta morendo.
 
Ecco un’altra poesia – due quartine di Domenico Milelli[11] scritte il 10 aprile del 1903 “per ricordo a Caterina Furitano”. La poesia è tratta, è specificato, dalla silloge Nell’Isola. Di essa trascriviamo soltanto la prima quartina, che così recita:
La vostra casa sia tempio devoto
al lavoro alla pace ed all’amor;
tutto veleno qui il mio fior di loto,
ed io di vita ò gran bisogno amor.
 
Certo G. Romano Catania[12], a sua volta, scriveva questa ode saffica dal titolo “Un fiore”.
 
Sovra le sponde del Niagara un fiore,
Chiuso le foglie d’oro, in su lo stelo
Piegato il capo, quando il sol dardeggia
Stanco s’addorme.
 
Ma all’aure della sera egli diffonde
Soave olezzo, e Venere ricerca;
Da l’astro amato a’ raggi la corolla
Ratto dischiude.
 
Con la vivezza de le tinte svela
A’ cari raggi l’intima esultanza;
D’amor s’inebria; e come l’astro spare
Langue avvizzito.
 
Gli omaggi in versi non si fermano qui. Ecco un sonetto– “Munutunia” – in endecasillabi siciliani del figlio Giuseppe, scritta all’età di 19 anni, per il giorno onomastico della madre del 1906:
 
’Nta lu silenziu di chista nuttata
Sulu suliddu sugnu ’nta la via,
Tegnu la testa comu abbannunata,
E pensu ’e casi di la vita mia.
 
Notti d’infernu, notti angustïata,
Un mumentu di paci i tia vurria,
Luna chi sempri siti sì argintata,
Un vostru dittu mi cunfurtiria.
 
Sona ’na campanedda lenta lenta,
e penzu ca natr’essiri è vigghianti;
A tutti l’uri la so’ menti è attenta.
 
Lu suli sta pi nasciri a livanti,
La campanedda sona ancora lenta,
Pari ca salutassi li passanti.
 
TRADUZIONE
 
Nel silenzio di questa lunga notte,
solo soletto me ne vo per la via,
la testa tengo come abbandonata
e penso ai casi della vita mia.
 
Notte d’inferno, notte d’angustie,
un attimo di pace da te vorrei,
luna che sempre sei così argentata,
una tua parola mi conforterebbe.
 
Lenta suona una campanella lenta
e penso che un altro essere veglia
e che sempre la sua mente è desta.
 
Il sole sta per sorgere a levante,
la campanella suona ancora lenta,
sembra salutare i viandanti. [13]
 
 
E, INFINE, DUE OMAGGI IN MUSICA
 
Le sorprese non finiscono. Lo scrigno, perché un vero e proprio scrigno possiamo considerare questo giornale degli ospiti[14], è impreziosito da due battute (Figg. 12 e 14) autografe di due fra i maggiori musicisti italiani del tempo, Riccardo Zandonai (Fig. 13) e del suo maestro Pietro Mascagni (Fig. 15).
La battuta di pugno di Zandonai è tratta dal terzo atto di Giulietta e Romeo (“Giulietta mia! Giulietta mia!”) del 1922. Il documento è del 28 aprile[15], l’opera era stata diretta dallo stesso Zandonai. La prima si era avuta al Teatro Costanzi di Roma poco più di due mesi prima, il 14 febbraio dello stesso anno. La battuta segna il momento più drammatico dell’opera, allorché Romeo apprende della morte di Giulietta.
Ed ecco l’altra battuta autografa tratta dall’atto unico della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni data per la prima volta anch’essa al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio del 1890. L’opera fu replicata a Palermo l’otto maggio del 1920 come ci ha assicurato il Comitato Promotore Mascagni al quale scrissi chiedendo se Pietro Mascagni sia stato a Palermo nel maggio del 1920 e per quale motivo. A stretto giro di posta, abbiamo ricevuto la seguente risposta:
 
Gentile sig. Riera,  buongiorno. Siamo andati a controllare: ci risulta che l'8 maggio del 1920 Pietro Mascagni diresse l'IRIS al Teatro Massimo di Palermo con Maestro del Coro Giovanni Maggio e Dora De Giovanni come IRIS. .Un cordiale saluto. Francesca A. Mascagni V. Presidente COMITATO PROMOTORE M° PIETRO MASCAGNI”.
 
Concludiamo questa nostra visita al ‘salotto’ di casa Furitano - Di Giovanni con la trascrizione parziale di un documento che, seppure non vergato direttamente sulle pagine dell’album, è stato rinvenuto al suo interno. A firma G. (Giuseppe) De Spuches (1819-1884), sta a dimostrare quale fossero i rapporti, le relazioni, i contatti della famiglia Furitano-Di Giovanni anche con i maggiori rappresentanti della cultura palermitana del tempo:
Gent.ma Sig.na, ho con sommo piacere ricevuto la sua lettera insieme alle sue stupende poesie, nelle quali si scorge molta potenza di affetto e di immaginativa; talché potrà non invano sperar di veder da Lei rinnovati quei portenti nell’Arte.
 
 

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[1] Cognato poiché ne ha sposato la sorella Rita, prematuramente scomparsa.
[2] Il Furitano assunse la carica nel 1815, alla morte del suo predecessore, il poeta Giovanni Meli (1740-1815).
[3] Il suo lavoro sulle Analisi delle acque termali di Scafani, Cefalà Diana, Terrmini Imerese e di quelle non termali di Bevuto, per la sua alta scientificità, fu inserito dal naturalista francese, barone De Ferussac (1786-1836), nel volume XII del suo Bulletin Universel des Sciences (Bollettino Universale delle Scienze).
[4] Deceduta in seguito all’epidemia della Spagnola a Palermo nel 1918.
[5] Andata sposa al Segretario comunale di Parco, Gaetano De Leonardi (Fig. 6), rimaneva vedova e incinta di Tanina pochi  mesi dopo il matrimonio.
[6] La raccolta di esordio è Rose e viole – Primi versi. Seguono Promessa di un ballo, anch’essa del  1875, e quindi Un’ora di veglia (1877), Il nove gennaio (1878), Addio, Firenze (1879), L’ho riveduta! (1879), Rodolfo e Zelmira, poemetto, (1879), Lida (1880). Dello stesso anno sono le liriche Ad un passero solitario, Oltre la tomba, L’Esule e infine Fede, tutte pubblicate su una rivista giovanile, “Il Mondo giovane”. Caterina è anche autrice di alcuni toccanti racconti.
[7] Mia suocera – Tanina De Leonardi - era figlia di Adele Furitano sposata con Tanino De Leonardi, segretario comunale di Parco, oggi Altofonte. Da lei mia moglie ha ereditato alcuni spartiti musicali.
[8] Dalle dimensioni di circa 15x22cm, questa sorta di agenda ha la copertina in pelle mangiata qua e là dal tempo; i fogli di carta da album sono un po’ ingialliti, ma ancora molto leggibili.
[9] Sui rapporti amicali che legarono Luigi Di Giovanni e Alessio di Giovanni (fra i due nessun rapporto di parentela), vedasi il nostro Alessio e Luigi Di Giovanni: un sodalizio artistico e umano, in “Colapesce-almanacco di scrittura mediterranea”, n. 9, 2003, Nuova IPSA Editore, Palermo. Il saggio è stato ripubblicato sui “Quaderni Istituzione culturale di studi di Poesia e di Cultura Alessio di Giovanni” Regione Siciliana-Comune di Cianciana, n. 5, marzo 2005.
 
[10] Versione di Vittorio Riera.
[11] Nell’album fotografico (Fig. 16), riportiamo la copertina di un’opera del poeta calabrese. Milelli era nato a Catanzaro dove Caterina lo conobbe durante il suo soggiorno nella stessa città in seguito al trasferimento del padre in quella città per motivi di servizio. Milelli morirà a Palermo nel 1905. Era nato nel 1841. Per la cronaca, a Catanzaro, nacque la figlia di Giambattista Furitano, Adele, per l’anagrafe Adelina.
[12] Di G. Romano Catania, possediamo, pervenuteci per altra via, diverse cartoline coloniali tutte inviate a Nettina Furitano.
[13] Anche questa versione ci appartiene.
[14] Quasi a voler confermare l’usanza di cui si diceva all’inizio, un altro Giornale degli ospiti di formato molto più grande, ci è capitato di vedere e di scorrere in seguito a una visita presso l’Istituto S. Anna di Palermo. Anche qui abbiamo letto pensieri a firma di personaggi prestigiosi quali Girolamo Ragusa Moleti, Giuseppe Minutilla Lauria, Vivien Chartres, Giovanni Bertacchi, Ada Negri e numerosi altri.
[15] L’opera era stata data qualche giorno prima al Teatro Massimo di Palermo.
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