La poesia, rosario mistico di Vitaldo Conte – di Piero Montana

La poesia (e non le poesie) di Vitaldo Conte è ispirata non da una musa bensì da una dea, Afrodite.
Essa nasce tutta dal desiderio che da sempre una tale divinità ha insinuato nel cuore dell’uomo per la bellezza femminile. E’ dunque semplicemente una poesia passionale, venata da una forte carica sensuale?
Certo in essa si può avvertire più di un eco del sensualismo di un Pierre Louÿs, che però accenna a qualcosa d’altro, all’algolagnia ad esempio del Swinburne e dunque in maniera molto soft al suo ideale di crudele bellezza.
Infatti quando Conte
evoca la Rosa, una Rosa rossa di carne, archetipo di una mistica femminilità, ne evoca pure le spine, quelle spine che nell’amplesso sente penetrare nel suo corpo e che ancor più lo infiammano d’amore e voluttà.
Non sono forse spine le unghie di un’amante quando affondano nella nostra carne, graffiando e lacerando la nostra pelle?
La voluttà della Rosa di carne è tutta nella pena d’amore che essa nel suo intenso desiderio ci procura. E’ da questa ferita che sgorga una brama vorace ed inappagabile. E le parole più belle della poesia di Vitaldo sono i sospiri, i lamenti, più che i palpiti di piacere, che esse sottendono. Solo in questa dimensione tutta corporale di un desiderio vivo e bruciante si può parlare di eros nella poesia di Conte. Insistiamo a dire poesia e non poesie perché unico è il suo leitmotiv: l’eros e la sua divina e trascendente passione.
E’ quando il poeta si trova in piena sintonia con l’oggetto del suo desiderio, sospendendo in tale sincronicità le categorie del mentale, e pertanto quelle di tutta un’ideologia o metafisica del sesso, compresa quella esoterica, che Conte trova un suo congeniale e proprio linguaggio poeticamente erotico.
La nostra sensibilità ha un suo univoco e preciso, determinato destino. Il richiamo ai platonici e ai Fedeli d’Amore evoca una dimensione dell’eros ormai definitivamente perduta ed esistenzialmente irraggiungibile. E tuttavia la trasmutazione alchemica del desiderio amoroso in linguaggio poetico è il risultato più convincente che Conte raggiunge con i suoi versi ma anche con la sua prosa, al di là di tutte le idee e di una astratta e teorica magia sessuale, assimilate a partire dai libri di un Randolph e di Maria de Nagloswska, e ancora a partire da i libri di Evola (Metafisica del sesso e Il Mistero del Graal) fino a quelli di Crowley e i magici film di Kennet Anger.
La magia sessuale è un’operazione trascendentale. Nessuna teoria in pratica può metterla in atto. Evola di questo ne era perfettamente convinto, quando attribuiva solo alla dote del suo operatore il pervenire a un tale magico risultato.
Ammettiamolo dunque. Conte è dotato di grande sensibilità, ma soprattutto della capacità di convertirla in linguaggio poetico, in un linguaggio, che però non è solo della poesia e dell’arte, ma del suo stesso corpo e della sua stessa esperienza di vita.
La libido non è tutto, non è l’alfa e l’omega della nostra vita. Se scaricarla significa esaurirla, il segreto per mantenerla sempre in vita è una sua conversione.
Non è l’esperienza estatica del sesso, che più coinvolge Conte, è, diciamolo chiaramente, è la lettura che di essa ci fornisce con un’abbondante, copiosa letteratura.
Tutta l’opera di Conte saggista, poeta ed anche artista trova espressione in questa letteratura, giacché l’opera è energia, é produzione semantica ossia incessante produzione di senso. L’estasi anche quella di un mistico è sterile se in essa esaurisce tutte le sue virtuali potenzialità.
Con la sua poesia Conte non ci procura solo emozioni e palpitanti brividi di piacere, con la sua poesia ci affida un‘opera che appartiene alla nostra capacità di intenderla e anzitutto di farne esperienza.
Le rose sono i fiori che si portavano sull’altare di Venere. Oggi che gli dei sono tramontati per sempre, la Rosa per Vitaldo occupa tutta da sola il posto riservato al simulacro sull’altare di una tale divinità e in questo senso la rosa più che mai è o diviene un fiore mistico.
Nella rappresentazione del suo fulgore, della sua naturale bellezza, la Rosa è più di un’immagine, di un’icona, più di un meraviglioso fiore reale o del tutto immaginario, essa per il nostro poeta è una Porta regale o, come avrebbe detto Evola, una Ianua Coeli, una Porta per una trascendente e mistica liberazione.
Di seguito pubblichiamo una poesia di Vitaldo Conte.
 
 
Tu rosa mia di carne
rosa poi rossa
per le spine voluttuose dei miei segni
di bocca denti
mani unghie
sulla tua pelle del desiderio che mi vuole
fedele d’amore per dirti sempre sì
sì sì sì…
sei il mio ingordo sì
tuo nostro sì d’amore,
nutrimento di poesia arte vita.
nutrimento di poesia arte vita.
 
 
 
 
 
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