17 marzo 2021. L’Unità nazionale è una data da “ritrovare” - di Mario Bozzi Sentieri

Viviamo di date e di ricorrenze. Tra giornate celebrative, nazionali e internazionali, sono la bellezza di trentotto, a cui vanno aggiunte le canoniche feste religiose. Si spazia dalle solennità civili (come la data del  Ricordo degli istriani, fiumani e dalmati) a quelle “celebrative” (ricomprese tra la Giornata nazionale della Bandiera e la  memoria dell’abbattimento del muro di Berlino), passando per la giornata nazionale degli stati vegetativi, quella dell’epilessia e la giornata  per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Un po’ troppo per riuscire a dare la giusta importanza ad  avvenimenti e a condizioni assolutamente rispettabili, ma a dir poco disorganiche.

Si giunge perfino a date plurime (con rischio duplicazione) come il prossimo 17 marzo,  Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera, che riecheggia la Giornata nazionale della Bandiera (già fissata per il 7 gennaio), la Festa della Repubblica (2 giugno) e  la Festa dell’Unità nazionale (1 novembre).

In questo caso l’impressione è che , tra tanto affollamento di memorie e di simboli, si sia voluto come “scolorire” la data cardine della raggiunta unità nazionale, quella della proclamazione del regno unitario, il 17 marzo 1861, data nella  quale – si legge nel regio decreto  presentato dall’allora Presidente del Consiglio, Camillo Benso Conte di Cavour -  “il Parlamento, nel giorno solenne della seduta reale, coll'entusiasmo della riconoscenza e dell’affetto, acclamava Vittorio Emanuele II Re d'Italia.”

La festa nazionale per l’anniversario dell’Unità d’Italia venne istituita nel 1911, in occasione del cinquantenario della ricorrenza. Con l’arrivo della Repubblica l’avvenimento fu  “epurato” dalle festività, per poi ricomparire, con legge del novembre 2012, a ridosso del centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale. Anche qui però con l’immancabile integrazione “politicamente corretta” e non poco pasticciata, laddove si parla, con riferimento alla Scuola,    “di ricordare  e promuovere,  nell'ambito  di  una  didattica  diffusa,  i  valori  di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza  civile,  nonché  di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale  attraverso  il ricordo e la memoria civica”.

Carte alla mano, l’impressione, quasi una certezza, è che si sia voluto edulcorare l’appuntamento, mettendo insieme convivenza civile, cittadinanza, memoria civica e identità nazionale, perdendo così  di vista le ragioni fondanti la data in oggetto  e ciò che essa storicamente ha rappresentato, in ragione dell’esperienza risorgimentale e del ruolo che vi svolse la monarchia.

Il rischio, anche quest’anno, in occasione del centosessantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, è che l’appuntamento si trascini stancamente, tra discorsi d’occasione e qualche alza bandiera, le inevitabili polemiche neoborboniche e i silenzi antisabaudi, i richiami resistenziali (come se l’unità nazionale si fosse compiuta nell’aprile 1945) e gli imbarazzi per il nazionalismo del Ventennio. Con scarsa attenzione per l’anniversario e  scarsi slanci emotivi.

E’ il paradosso italiano. Di fronte all’incapacità di affrontare e di sciogliere i “nodi” del nostro processo  unitario, meglio evocare l’oblio piuttosto che l’orgoglio di un itinerario che seppe mettere insieme la dinastia sabauda (sotto l’abile regia di Cavour)  e l’ardente passione del risorgimento repubblicano, incarnato   dall’ideologia mazziniana e dall’eroismo garibaldino. Ed oltre quella stagione riuscì, nel corso dei centosessanta anni trascorsi, a contemperare i “particolarismi” che punteggiano la nostra Storia e marcano  il nostro  territorio nazionale. Sono i fattori costitutivi dell’ identità italiana, apparentemente  contraddittori, che abbiamo dimostrato di sapere affermare  sul campo, quello della politica, della cultura e perfino bellico, superando  e tenendo insieme  umori guelfi e ghibellini, nostalgie comunali ed orgoglio per le antiche monarchie,  insorgenze antigiacobine e carboneria.

E’ Italia non più “concetto geografico”, né museo all’aperto per  il “Gran Tour” delle aristocrazie europee prima e poi della piccola e grande borghesia mondiale. Di quella Storia occorre sentirsene degni. Per questo bisogna studiarla, tornare a viverla con passione (a cominciare dai luoghi e dai simboli che la rappresentano), a rivendicarla e a difenderla. A cominciare da una data poco e male conosciuta come il 17 marzo, confusa tra tante giornate da celebrare e sbiadita nella memoria dei più. A cominciare dai vertici istituzionali e dalle élite del Paese.

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