Il “Labirinto magico” di Enzo Tardia in mostra a Roma

 

Mercoledì 17 Marzo 2021 h.18,30, nell’ambito della rassegna “Signum” (Opera Unica) la Bibliothe Arte Galleria di Roma presenta il “Labirinto Magico” (acrilico e olio su tela 130x130 del 2016) del trapanese Enzo Tardia. Una sola opera di grandi dimensioni sarà accompagnata dalla lettura di “Textus Mayor” di Aldo Gerbino. Il testo creativo di Gerbino sarà interpretato da Sergio Palma. Curatore della rassegna sarà Francesco Gallo Mazzeo, docente dell’AABB di Roma. Il coordinamento sarà affidato a Enzo Barchi, mentre l’assistenza è di Rosario Sprovieri. La rassegna (in presenza) si svolgerà nel rispetto delle regole anti-Covid. A fine serata ci sarà una discussione sull’arte. Il “Labirinto magico” di Enzo Tardia rimarrà in esposizione per la durata di quindici giorni.

 

Di seguito riportiamo il testo di Aldo Gerbino:

Nel quadrangolo abita lo sguardo. Sofferente al rosso, mescolato all’arancio del cuore, è il viola che dilava tra pensieri coagulando in minuscoli assembramenti, in enfasi pigmentarie. Intimo puzzle visivo, vi precipita il tocco della retina, la rotondità della pupilla. Poi, ecco le mani e i calchi opachi, piramidali visi aztechi, glifi incorrotti, mentre Pier Luigi Bacchini canta del «pesce Platax dalle pinne di pietra | e la coda a spatola. Fossilizzato da sessanta milioni | di anni – e la galassia, | rutilante, che li contiene. E tu | Astralium rugosum, conchiglia, qual è il rapporto | fra il cerchio stellato di quelle corolle | e te e il semicerchio | del pesce Platax, scampato alle reti, | e il siderale ventre?». Ed io vi aggiungo un popolo di «unicellulari arborescenti; | tra questi, il Coelopendum ramosissimum | che pare unire, senza un perché, | cielo e mare, terre, rime di labbra, foglie». Così, nel quadro, tra le ife, si cela la roccia col suo cristallo misto alla sìlice. Metallo appena morso dall’acido, apre il suo fondo piceo a fiammeggianti lamine: un plancton cromatico ornato di scritture lontane, segnali, asemie da cogliere tra spicole, per travagli, zigrinature, asimmetrie moleste tra i clasti delle calcareniti nel loro sollevare nella falce del cielo le città del sud.

I segnali ci son tutti: una lanterna raccolta nel buio della notte, un occhio pendulo nell’abisso inquieto dei nostri pensieri notturni. I sei ritagli, le sei porzioni di lacerti creativi sono un cubo aperto, dilacerato. Per microchip si alternano camminamenti, dicotomie, affluenti, giochi ellittici, enigmi e incrociate parole pronte ad animarsi, ammutinarsi per un gesto, per un asteroide dalla scia luminosa e mortale. Dall’incongruenza Euclide detta i suoi postulati, i suoi ‘Elementi’. Quelle forme, in attesa d’essere negate da frattalici pronunciamenti, consegnano la propria esistenza al linguaggio. Suono, phoné, brusio, luce nel signum espresso per labirinti; vāstumaṇḍala, orme e tracce siderali, barrage per ferite, plasticità del quadrato sotteso tra rombi, parallelogrammi, rettangoli. Nel labirinto scorrono acque egee, echi minoici, conchiglie: pecten, bivalvi, e rocce laviche, strati piroclastici e piume dedàlee. In esso (quadrato o spirale) ogni viaggio iniziato è destinato ad aver fine. Il caos attrae l’ordine degli elementi, tassonomie entomologiche, arbusti, frammenti multiformi e aperte giunture astrali. Sui lati scorrono i tagli, le piaghe, segnano la loro natura antigenica, l’essere stranieri a nuove lingue. Ora rinnovate icone emettono vibrazioni, grida, semi, vite fantasmatiche; infine è l’occhio puntuto di Honoré Fabri a fissare con tenacia la “più nobile e più sublime geometria”.

 

 

 

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