Giovanni Leto, “Corpus Temporis” - di Giovanna Cavarretta

   Il viatico di un artista è delineato dall’incessante ricerca di dare espressione alla propria creatività al fine unico di mostrare realtà nascoste, colte a volte dal proprio intuito, altre in seguito a profonde e meditate riflessioni. All’interno di questo travaglio interiore sorgono immagini di un’esistenza votata a carpire nell’ineluttabilità di certuni momenti, la bellezza e l’espletamento nel “fare arte”. In questa direzione si dipana l’indagine di Giovanni Leto, protagonista della mostra personale, inaugurata il 27 luglio a Villa Cattolica, curata da Rosalba Colla e accompagnata dal testo critico di Franco Lo Piparo. L’esposizione prende il titolo dall’installazione “Corpus Temporis”, punto sì di arrivo di questa fase artistica ma preludio di un‘imminente e rivoluzionaria svolta. L’opera è composta da una serie di involucri cartacei che, sorretti a mezz’aria da fili di nylon, pendono dal soffitto e, librandosi in estrema libertà, risultano sospesi “nel tempo e nello spazio”. Il corpo degli involucri, in balia dello scorrere del tempo, subisce una profonda trasmutazione in quanto le informazioni contenute nei fogli di giornale si consumano: sbiadiscono le parole e gli eventi, e i concetti dapprima contenitori vivi di esistenze o accadimenti assumono la valenza dell’Oltre. Ridotte a presenze scarne, spoglie di significati sono adesso solo polvere che lo spazio assorbe e disperde. L’opera, così, sembra svanire nel Vuoto, in quella dimensione Altra, dalla quale il Tutto, forse, si origina o si ricrea. Gli anni della formazione iniziatasi con le esperienze creative per i riferimenti al Figurativo e all’Informale, si distinguono, alla fine degli anni ’70 e i primi del decennio successivo, da quelli nei quali l’Artista inizia ad inserire, per dare maggiore consistenza all’opera, materiali extra-pittorici, quali carta, legno e ritagli di stoffa. Realizza così, una serie di Collages, tra cui si distinguono “Memorie al presente” e “Come segni di un diario” entrambe dell’82 nonché, “Elementi in superficie” dell’84. L’anno seguente le “Cornici dipinte e fasciate” e “Corda” costituiscono la messa a punto per l’epifania dei lavori successivi. Questo processo, iniziato proprio quell’anno, si esplica nella sua totalità con il ciclo “Orizzonti”, i cui protagonisti sono prevalentemente i fogli di giornale attorcigliati manualmente e stratificati sulla superficie della tela, che risulta ormai ridotta a neutro contenitore di serrati “Landiscapes oggettuali” di spaccati geologici o di “Terre di nessuno”. Ricordiamo che, in questo periodo storico, mentre l’Arte Concettuale sembra esaurire la sua spinta ideale, si assiste parimenti al diffondersi del Citazionismo, connotato da toni spesso nostalgici, dai quali però Leto se ne distanzia. Infatti, con il citato ciclo “Orizzonti” interamente affidato all’elemento cartaceo, l’artista rivolge l’attenzione sull’importanza d’innovazione del linguaggio. Infatti, nel decennio successivo, assistiamo alla nascita di una differente semantica, volta a coniugare fisicità e spazio, sicché l’opera lasciata la parete, si manifesta nella sua totale tridimensionalità. Della produzione di questi anni, citiamo “Percorsi” del 92 e una delle diverse installazioni che ne seguirono come “Yoni e Lingam” del 1994, entrambe attualmente presenti nella Collezione di “Museum” a Bagheria. Si tratta di opere che rappresentano la naturale evoluzione di quel percorso di ricerca fisico-spaziale del Maestro che, iniziato diversi anni prima, ne rappresentano una tappa fondamentale sì da arrivare ad opere di grande maturità artistica. Sono queste “Le liane” del 2002 e l’opera “Made in Italy” del 2011, quest’ultima esposta alla 54° Biennale di Venezia (Padiglione Italia), nata quale iniziativa speciale per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. La produzione artistica di questi ultimi anni evidenziata dalla carta attorcigliata, cede infatti lo spazio ad ampie campiture di colore, come in “Ritmi e attese”, della serie “Il deserto dei Tartari” del 2018. In conclusione, quindi, possiamo affermare che l’arte di Giovanni Leto rimane sempre orientata verso l’azione, sia essa manuale che pittorica intesa quale strumento di potenza evocativa e comunicativa. L’intensa capacità critica e il rigore intellettuale sono i capisaldi che caratterizzano la sua indagine artistica, lasciando comunque all’Osservatore ampi momenti di riflessione. 

 

      

                                                                                                                                            

 

 

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