“Dalla pagina bianca alle scritture-desiderio ‘una storia anche personale’” di Vitaldo Conte

1. La pagina bianca come arte (1990-93).
La pagina bianca della poesia ha come riferimento storico quella di Mallarmè, che “calamita” il poeta al sempre rinnovabile confronto con il silenzio: e ho letto tutti i libri. / (...) il cerchio deserto della mia lampada / sul vuoto foglio difeso dal suo candore” (S. Mallarmé). Mentre l’opera suprematista Quadrato bianco su bianco, dipinta da Malevic nel 1918, è comunemente intesa come riferimento obbligato per le successive poetiche dell’arte bianca.
Il bianco può essere espressione di percorso a tutto campo negli interstizi bianchi della pagina e delle sue evasioni. Le sue narrazioni esprimono anche viaggi verso l’impalpabile, il vuoto, l’invisibile, l’estremo, la conquista difficoltosa. Rappresentano una poetica e una lingua del bianco, in quanto esistono nella dimensione perennemente di altrove, di referenza sfuggente. Nell’erranza visionaria di Arthur Rimbaud l’arte della pagina bianca è il viaggio per l’ignoto, per la veggenza, con occhi che leggono oltre il visibile: il poeta ricerca il suo “rientro” nell’assoluto. Sulla pagina bianca, come su quella di Mallarmé, emergono le soglie di un oltre, indescrivibile, sulla cui rotta si perdono gli erranti del bianco di ogni tempo.
Un libro bianco vibrazionale potrebbe essere il primo e l’ultimo libro d’artista, predisponendosi a divenire memoria e silenzio. Dal bianco dell’assenza possono emergere altri richiami come echi e vibrazioni, in quanto l’origine è nel bianco: “Solo la carta dello scrittore è bianca, “pulita”, (...) (la difficoltà della pagina bianca: sovente questo bianco genera il panico: come sporcarlo?); la sventura dello scrittore, la sua differenza (...) consiste nel fatto che il graffito gli è proibito” (R. Barthes).
Un possibile sviluppo teorico-artistico della scrittura, negli anni ’80 e ‘90, è stato per me quello di trovarlo nelle narrazioni pittoriche e performative della pagina bianca[1], come “tendenza a edificare un assoluto mentale, essenziale, che ricerca il bianco come sua espressione di sintesi e di  scrittura”[2]. La mia pagina bianca “risulta la memoria della lingua, ricomposta nella voluttà del ‘rumore’, in cui tracce, segni-corde, oggetti scrivono la loro alfabetizzazione, tra essenze e cancellazioni”: così scrive Vittoria Biasi ne Le memorie del bianco (Spoleto, Roma 1991)[3]. In questa mostra, tra gli altri, sono presenti le pagine di scrittura come arte bianca di Mirella Bentivoglio, Giuseppe Capogrossi, Martino Oberto, ecc.
 
2. La dispersione della scrittura come arte (1993-2003).
Le generazioni della scrittura pittorica, pur susseguendosi con innovativi e stimolanti attraversamenti, continuano a rimanere in una zona segreta dell’arte italiana. Continua ad attrarre nuove poetiche, che tendono sempre più a divenire estreme nelle loro espressioni, talvolta imprevedibili negli sconfinamenti.
Nel mio testo sul catalogo della XIV Quadriennale / Anteprima (2003) notavo, a proposto delle scritture emozionali, determinatesi nell’ultimo decennio: “La scrittura stessa, in molteplici sue espressioni, diviene segnatura, oltrepassando riconoscibilità e significanza linguistica, per disperdersi in geo-corpo-grafie, anche d’arte: segnaletiche, reperti di un mondo e di una civiltà con lingue di comunicazione spesso altrove”. Concludevo: “Del resto, una scrittura ultima, come viaggio-arte, pensiero, mistica e piacere, è spesso tentata dall’avventura bianca e vibrazionale. Le contaminazioni spingono oltre le proprie espressioni, non verso il suicidio dell’arte, ma verso proprie altre rigeneranti dispersioni, anche se mascherate, evaporate, trasferite altrove, nella quotidianità e nell’esistenza”[4].
Queste scritture ultime si scrivono dunque con frammenti-lingua, che attraversano i patrimoni iconografici e significanti di ogni tipo di comunicazione e della creatività intermediale e sinestetica. I linguaggi si aprono, per comunicare di più, a sempre nuovi neologismi e idiomi estranei a essi. La periferia creativa del testo può divenire seducente, anche nelle espressioni più a latere e fuori dagli schemi. Svuotato di valore il centro della scrittura, la periferia diventa preminente, proprio nelle espressioni più marginali, che possono essere “convertite” in segnaletiche di creazione: la citazione, la chiosa, l’annotazione, l’appropriazione, la cancellatura, la dedica, il bianco del non-espresso, la lettera, ecc.
La pulsione, nelle scritture estreme di fine secolo e inizio del nuovo, può essere “indicazione” d’arte e “segno” del proprio esistere. Questa dispersione creativa, con le sue molteplici erranze, diviene una malleabile e debordante lingua-corpo, in cui possono confluire le espressioni di autori giovani e segreti, ma anche di qualche protagonista delle precedenti poetiche che “scompagina” la propria precedente esperienza. Possono ricercare anche espressioni “smaterializzate”, tendenti a dilatare le forme e le significanze usuali, fino alle ultime essenze della cancellazione e del proprio nascondimento. Queste “narrazioni” d’arte della scrittura attraversano apparenze visive che vogliono oltrepassare, talvolta, i confini dello stesso supporto cartaceo o del quadro.
 
3. Body Writer in Rosa Lussuria come arte totale (a Valentine de Saint-Point, 2009-14).
Ho espresso l’indicazione Body Writer per una mostra che ho curato a Catania nel 2009[5]. Con questo termine intendevo connotare una ulteriore possibilità espressiva della scrittura d’arte: quella di proporsi come graffito di desiderio. Questa corpo-grafia può assemblare ancestralità e incontri on the road, non sottraendosi nel contempo a rileggere culture, arcaiche e attuali. L’espressione rielabora esperienze dell’arte del ‘900 e ultima: poetiche segnico-gestuali e verbo-visuali, art brut, neo-dada, happening e fluxus, street art, ecc. Diversi nuovi autori “estraggono segnali” dagli arredi urbani con pulsioni e manipolazioni visive, talvolta “acide” come musiche.
Scrivevo nel testo dell’esposizione catanese: “I body writers nella loro poetica liberano un painting che concepisce il suo oltre che include, frequentemente, la fuoriuscita in evento e in oggettualità varie, stringendo rapporti di contiguità con il mondo della musica, dell’arte di strada, dello spettacolo. Questa creazione si addice ai transiti non catalogabili, in quanto fusione di linguaggi e media. Come quella che guarda, con nuove modalità espressive e di intento, le generazioni del Graffittismo. Il gioco/piacere della costruzione artistica ricerca, talvolta, l’opera ‘a più mani’, come per conferire una maggiore imprevedibilità alla sua composizione”.
L’esposizione Body Writer e le successive mostre sulla Rosa Lussuria, nel Salento – Lecce 2010[6]; Brindisi 2014[7] –, ricordano tutte nelle indicazioni la Lussuria futurista di Valentine de Saint-Point attraverso il suo manifesto (1913). Dunque vogliono esprimere un’arte che naturalmente “scrive” il desiderio, anche attraverso la propria fuoriuscita: “Nella dimensione performante – nota a proposito Carmen De Stasio – la parola stigmatizza il rituale del transito, apprendendo la fluttuazione dell’idea che essa contiene nel momento apicale di esternazione. E gesto diviene e paesaggio di immagini multi-materiche e meta-sensoriali. Voci, dunque, che, in apparente dissonanza, confluiscono nell’interezza di un desiderio implicito e che nel suono-colore vive l’essenza dell’esistere tra le cose e le circostanze”[8].
L’ipotesi body writer – come arte e azione della pulsione sconfinante – coinvolge due artiste, che hanno collaborato in plurigrafie con me o con il mio alter ego creativo Vitaldix: Laura Baldieri “traccia” epidermici percorsi di scrittura pittorica che diventano diari oltrepelle, estensibili alla manipolazione grafico-digitale e alla liricità rituale dell’evento; Tiziana Pertoso “tesse” calligrafie, con presenze e ragnatele segniche, fuoriuscendo, talvolta, con corporeità oggettuali o maschere dannate che vogliono vivere in un evento.
Le scritture-desiderio “vivono” sulla pelle di qualsiasi supporto con imprevedibili segnaletiche “a tutto campo”, animandosi nelle proprie interiori pulsioni, nel proprio essere lingua e brusio di altre lingue: estetiche, sinestetiche, sconfinanti fino alla loro “fuoriuscita” fisica nell’evento.
 
 

[1] V. Conte, Pagina bianca memoria, Gall. Miralli, Viterbo 1992. Mostra a cura di V. Biasi. Catalogo.
[2] V. Conte, in V. Biasi, Gli occhi, e non solo, Rinascita n. 40, Roma 18 novembre 1990.
[3] V. Biasi, Le memorie del bianco, Studio Bocchi, Roma 1991. Catalogo.
[4] V. Conte, Contaminazioni. Extreme / La giovane arte del centro-sud, in AA.VV., XIV Quadriennale / Anteprima, Napoli 2003-2004. Catalogo (De Luca Ed., Roma 2003).
[5] Body Writer, a cura di V. Conte, le Ciminiere, Catania 2009. Espongono: L. Baldieri, P. Kostabi & GA.NT, T. Pertoso, G. Ferrera, M. Vita, Vitaldix. Catalogo.
[6] Rosa Lussuria, con e a cura di V. Conte, Biblioteca Prov.le N. Bernardini, Lecce 2010. Opere di T. Pertoso, L. Baldieri, Vitaldix. Catalogo (Ed. Il Raggio Verde, Lecce 2009).
[7] Rosa Lussuria, in AA.VV., I Linguaggi della Sperimentazione / I Festival, a cura di C. De Stasio, Palazzo Granafei-Nervegna, Brindisi 2014. Opere di V. Conte, T. Pertoso, L. Baldieri, Vitaldix. Nel catalogo: V. Conte, Rosa Lussuria: Body Writer per narrare il desiderio come creazione. Un video sulla mostra è uscito nel dvd di V. Conte, Eros Ritual Legami, Todesign (Squinzano-Le 2016).
[8] C. De Stasio, in Rosa Lussuria, cit.
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