Giovanni Teresi recensisce "Oltre il sopravvivere" di Tommaso Romano (CulturelitEdizioni)

L’altro è una fonte di linfa vitale, che trasfonde vitalità nella tua anima, se, prestandogli orecchio, riesci a provocarlo a uscire. (James Hillman)
È da questa significativa citazione che inizio ad analizzare il nesso, filo conduttore, di Religione, Eros e Morte; presenze che governano l’esistenza del protagonista Marco Colonna nel racconto di Tommaso Romano.
Alessandro racconta dell’amico Marco, uomo complesso, non ancora sessantenne, … a prima vista, un distinto signore che zelante trascinava fra scartoffie e computer bilanci di previsioni, attivi e passivi, residui come la vita di ognuno, senza eroismi Marco era postumo a sé stesso, questa vita lo sfiancava e la felicità, diceva, l’aveva raggiunta due o tre volte, in mezzo a tante illusioni e lusinghe, attimi di piacere estetico e sessuale, che contraddicevano la sua esistenza in fondo monotona, da alto burocrate dell’amministrazione regionale.
Marco spesso confessava le sue relazioni amichevoli o amatoriali ad Alessandro, che non aveva mai avuto curiosità né eccessiva né morbosa per gli intimi rapporti altrui e nessun interesse per conoscere dettagli erotici riguardanti chicchessia.
Ed ecco che mi viene in mente un’altra citazione a riguardo:
Un amico può dirti cose che tu non vuoi dire a te stesso [Frances Ward Weller]
Più che l’archetipo, forse dovremmo pensare  agli archetipi dell’anima. Penso al potenziale racchiuso in ognuno di noi, di cui l’amicizia è assetata. Penso all’amicizia come continua ricerca di un dono supremo che l’altro possiede, come una continua intuizione.
L’amicizia è la saggezza e la consapevolezza del saggio; il coraggio, la resilienza e la forza del guerriero; la gratitudine, l’unione, l’identificazione, la comprensione, l’immaginare e il dare forma del Creatore nonché l’eterno bambino del Puer.
Da questa mescolanza nasce l’amicizia capace di svelare all’altro la trama della nostra vita interiore e psichica, rivelando la sua unicità assoluta. Abbiamo bisogno dell’amicizia per conoscerci, per entrare in contatto con i nostri lati oscuri, per condividerli e lasciarci condividere. Nietzsche diceva che un amico deve essere un maestro nell’arte di indovinare e nell’arte di tacere. Gli archetipi sono dei grandi aiutanti in questo. Ci aiutano a percorrere la strada giusta verso il riconoscimento dell’altro, rischiando ed indovinando, con la capacità di vivere il proprio silenzio e il silenzio dell’altro.
Le conversazioni più belle tra due amici, forse, sono mute. Sono quelle dove a  parlare è l’essenza dell’amicizia e non la voce del consiglio o della critica, sono quelle della vicinanza emotiva ed empatica, sono quelle dove pur tacendo insieme si è più vicini che mai.
Mi ritornano in mente le parole di Jung: L’incontro di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche: se c’è una reazione, entrambi si trasformano.
Il racconto di Tommaso Romano narra la “storia senza storia” di Marco Colonna, un uomo senza qualità, dei suoi amori, della sua morte a partire dalla quale la sua vita assume un senso.
Alessandro racconta che l’amicizia con Marco risaliva agli anni universitari:
durante la frequenza del liceo e fino all’università Marco si innamorò di Melania una ragazzina sveglia e simpatica e molto decisa, a tal punto determinata da lasciare Marco, dopo tanti anni, a causa della sua indecisione congenita al suo carattere.
 Non essendo un dongiovanni – oltre la vicenda matrimoniale, avvenuta dopo il compimento del suo trentaduesimo anno quando sposò per ignavia Carla, a cui volle il bene che si può volere ad una sorella in difficoltà – ebbe poche altre vicende affettive. Dopo la separazione da Carla, Marco ebbe due donne. La prima di queste storie, intorno ai quarantacinque anni, Marco la visse con una raffinata signora, Claudia, molto bella e spiritualmente libera, la quale per lui lasciò il proprio marito.
Marco, di famiglia alto borghese di professionisti attivi e disincantati, si autocelebrava con Alessandro o con i non molti amici e amiche che praticava. Amava la musica, il teatro e soprattutto le buone letture. Marco, però, non fu all’altezza dell’amore sincero e disinteressato di Claudia. Dopo altri due anni, Claudia capì che non era Marco l’uomo del suo destino e lo lasciò.
 
Fin qui alcune vicissitudini amorose raccontate da Alessandro che descrive il suo amico un uomo complesso, forse fragile e desideroso di comprensione, di amore sincero e disinteressato.
Quello che Alessandro rimprovera a se stesso, alla fine del racconto, è di non aver saputo ascoltare le ansie e le avvisaglie del suo amico Marco.
Ogni buon amico deve sapere ascoltare e non sentire, deve saper vedere e non guardare ma soprattutto deve essere mosso dalla voglia di fare e, dunque, di costruire. Cicerone nel De Amicitia afferma che tutti sanno che la vita non è vita senza l’amicizia e credo abbia ragione, semplicemente perché l’amico ci mostra in modo palesemente vivido la nostra parte oscura e, dunque, non è vita senza conoscersi ma sopravvivenza.
Ascoltare, vedere e fare, devono andare di pari passo con
il dimenticare, il ricordare e il capire. Credo che queste voci verbali vestano molto bene l’amicizia, l’essenza viva e vera del mettersi in contatto con la realtà psichica dell’altro.
Dopo poco più di un anno dalla separazione da Claudia, una nuova fiammata di apparente passione: una donna vistosa, prosperosa, molto più giovane di Marco, Maria Giovanna molto desiderabile. La giovane donna non gli lesinò ricatti e perfidia, fece terra bruciata di quasi tutti gli amici e parenti di Marco ed anche dei suoi soldi per regali costosissimi. Così, le facili profezie di disintegrazione, dette telefonicamente da Alessandro a Marco, si avverarono e Maria Giovanna trovò in un Sottosegretario  di Stato il suo pigmalione di turno.
Marco coltivava il rapporto fecondo della conversazione anche con le amiche, una di queste misteriosa, che viveva all’estero, era Irene che magnificava come unica, irripetibile e irraggiungibile.
“Un rapporto d’amicizia che sia fra uomini o donne, è sempre un rapporto d’amore”. [Dacia Maraini]
 È una visione piuttosto pessimista pensare di essere in grado di gestire un solo rapporto sentimentale e non essere in grado di far sì che questi si intersechino. Il filosofo tedesco, Max Scheler, riteneva che la capacità di amare fosse il nucleo fondamentale dell’uomo in quanto livello più elevato della vita morale stessa. Parafrasando il suo pensiero, l’amicizia diviene una fonte originaria che alimenta e si alimenta di tutto ciò che dall’altro proviene. L’amicizia, infatti, non è solo una relazione, ma un’eredità. Sta a noi essere in grado di accoglierla e tramandarla.
“ … defilato e fisicamente lontano da Marco, Alessandro, circondato da pseudo potenti e questuanti, volle andare alla inaugurazione di una fiera tecnologica per godere una mezza giornata di libertà e per seguire le chiacchiere da dopolavoro. Si appartò al padiglione dell’Impero giapponese. Marco, dopo il suo giro degli stand, non incontrò o evitò di incontrare Alessandro. Intanto, intenta a osservare, apparve il profilo distinto della dottoressa Maria Selene Augusta, dirigente regionale dell’assessorato Sanità e, quindi, collega di Marco. Era una comune amicizia e veniva chiamata la fenice. Maria Selene, non ancora cinquantenne, era stata sempre oggetto di curiosa attenzione. Una bella donna che faceva, con educazione raffinatamente borghese, molto parte a sé stessa. Era l’ultima ad arrivare e la prima a dileguarsi. Maria Selene piaceva sia ad Alessandro che a Marco. L’indomani al telefono, Marco cominciò a decantare la splendida magnificenza, la bellezza, l’erotismo di Maria Selene; e nel suo soliloquio affermava: Avevo una perla davanti a me e non me ne ero accorto. Come un buon amico, Alessandro ascoltò con pazienza l’invasamento di Marco.”
Per essere capaci di vivere a pieno i nostri rapporti ci vuole una disponibilità attenta e rispettosa, una curiosità non invadente, una capacità di essere attivamente neutrali e una coscienza del proprio sé. È indispensabile aver chiaro che l’amicizia necessita la messa in ballo di se stessi.
 Il Nostro autore descrive la fantasticheria letteraria di Alessandro variegata, che, nelle sue riflessioni, lo fa sentire un uomo senza qualità particolari incapace di risolvere i rebours sentimentali dell’amico. Marco era stato colto dalla fase acuta dell’innamoramento. L’innamoramento è un movimento antico, è un eco che si dilata nel tempo. Muove gli ingranaggi delle relazioni agendo sui circuiti cerebrali. (Francesco Alberoni)
Interessanti a riguardo sono le riflessioni di Tommaso Romano, che a pag. 37 del suo romanzo, che, attraverso lo stesso Alessandro, definiscono l’innamoramento e l’amore:
l’innamoramento non è una questione di cuore. Il cuore può pulsare in egual misura per amore, per eccitamento, per ansia, per qualsiasi fonte di emozione. Il cuore non è la patria dell’amore, perché l’amore non è solo un battito folgorate. Nemmeno il cervello ne è la sede perché l’amore non può essere ridotto a un ragionamento logico. L’innamoramento non è il prodotto di un calcolo ma è un’onda che travolge, sconvolge e si ritira dando nuova forma a due granelli di sabbia che unendosi diventano un’isola. L’amore è una forza elevata, superiore. È un insieme di energie, di vitalità, di luce, di sapienza. A volte è crea un castello, una roccia imprendibile, altre volte un edificio fragile, che crolla. Altre volte è una speranza, una promessa.
Tommaso Romano, nella singolare storia di Marco e Maria Selene, continua a delineare il carattere di Marco che faceva e diceva tutto il contrario del dettato della ragionevolezza, tempestava di telefonate Alessandro raccontando i suoi sforzi per catturare Maria Selene. Pur mostrando e dichiarando ammirazione per Maria Selene, Marco ammetteva che scarse o nulle erano le risposte positive di lei e non negò di confidargli lo stato di una relazione mai veramente iniziata. L’affascinate donna lo trascurò in modo plateale. Si comportò come sempre l’avevano conosciuta, una fenice bifronte. Il  giorno dopo, alla solita mattutina telefonata, Alessandro intimò con forza a Marco di smettere di baloccarsi, di sognare, di tornare presto ad essere l’uomo ironico, intelligente, libero e colto. Marco, anche se insieme a Confucio, leggeva e studiava le tecniche dell’atarassia orientale, l’esicasmo, i padri del deserto, i mistici medievali; mistico non lo divenne mai.
Dai silenzi dell’amico Alessandro comprese che non poteva essere più il suo interlocutore, e questi non capì nulla del travaglio epocale del vecchio e fraterno amico.
 È molto più facile illudersi di star donando qualcosa che essere consapevoli di donare se stessi. Ci vuole caparbietà per seminare un seme che forse un giorno darà un frutto, ma anche per accettare che a volte il raccolto può andare male. È tremendamente egoistico pensare l’amicizia come gioia del dare e del ricevere.
Nel contesto della storia, sia alcune letture filosofiche che il nucleo narrativo evidenziano la natura drammatica del rapporto tra l’elemento sovrumano di Eros e quello fragilmente umano di psiche.
La vera iniziazione ad Eros deve passare attraverso una lunga catena di prove e il lieto fine, che pur arriva, sembra non appressarsi mai, ma quando giunge fa entrare nella dimensione divina.
 
Ponimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio,
finché come la Morte è Amore,
inesorabile come Sheol la Gelosia:
le sue scintille sono scintille ardenti,
una fiamma divina!
Le grandi acque non possono spegnere l’Amore
né i fiumi sommergerlo”
(Il Cantico dei cantici)
 
La magia e la complessità della psiche è proprio in questo: è fondamentale specchiarci nell’anima dell’altro pur di non fare in modo di potersi e doversi specchiare nella propria oscurità. È vero che in amicizia si cerca il nostro simile, la persona con cui condividere il maggior numero di interessi, di pensieri, di ideali ma è pur vero che l’amicizia si fonda sul rispetto della diversità. Non riusciremmo mai a convivere con due noi, possiamo vivere bene, invece, con l’immagine che l’altro ci riflette della nostra diversità.
L’amicizia, è un vero e proprio processo di individualizzazione. Condivide con l’altro un obiettivo comune cioè la realizzazione più completa del sé attraverso le immagini che sfuggono al controllo della sfera cosciente per mostrarsi vivide nel rapporto che si viene a creare.
Nell’intreccio dell’interessante racconto del Nostro si avvicendano altre figure amicali come Giulio, che è preoccupato di aver visto da lontano Marco in condizioni non certo ottimali. Ed è Giulio, che, una mattina, telefona ad Alessandro dando la brutta notizia dell’incomprensibile suicidio di Marco.
Marco Colonna, nel momento della morte, consegna la sua vita all’amico, con un atto testamentario e,  con le sue belle poesie, alle donne che ha amato e dalle quali è stato amato.
 
Forse, tra due persone legate da una relazione di amicizia si innesca una sorta d’immaginazione attiva junghiana che ci permette di conoscere tutte quelle emozioni inesprimibili con le parole ma presenti in noi stessi.
Capire qualcosa di noi comporta un atteggiamento mentale come quando si cerca di capire una poesia o di interpretare il quadro di un’artista. Per comprendere la nostra identità dobbiamo sognare ad occhi aperti, dobbiamo favorire l’emergere delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni, delle immaginazioni delle fantasticherie, dell’abbandono ai ricordi.
Dobbiamo comprendere che l’amicizia non è un contenitore ma un contenuto, un nostro prodotto. Noi non siamo l’identità che ci siamo costruiti, siamo la verità che ci fa liberi e che di solito non vorremmo udire ma che il volto dell’amicizia ci mostra chiara. Mi viene in mente la citazione di Sant’Agostino: nessuno può essere veramente amico dell’uomo se non è innanzi tutto amico della verità. Abbiamo a volte bisogno di tracciare confini, di erigere muri, pur di costruirci spazi di relazioni vere. L’affetto profondo ha l’ampiezza dell’oceano; prima di navigarlo, però, abbiamo bisogno di riassumerlo in una mappa. Basti pensare a quante amicizie possono nascere, crescere ed evolversi tra i banchi di scuola, nelle aule di università o in una convivenza.
Una piccola o grande amicizia è fatta, però, di sorpresa. Sorprendersi ogni giorno di quello che siamo, del potenziale che abbiamo, della capacità di donarci senza se e senza ma. È la sorpresa di riscoprirci nell’altro, di catturare le sue immagini e svilupparle in noi come se fosse un rullino senza fine.
 
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