“L’arte di vivere danzando” di Guglielmo Peralta

       Come le lucciole, le api sono a rischio di estinzione. Al punto tale che in Cina esistono degli “uomini ape” che si occupano dell’impollinazione delle piante. Tuttavia, contro la loro scomparsa molte persone si sono improvvisate apicoltori prendendo in affitto un alveare. E ora “ci sono più api mellifere sul pianeta di quante ce ne siano mai state nella storia umana”.[1] Così sembra e così dobbiamo sperare che sia. Vivano sempre le api!

       In questa raccolta di poesie di Giuseppe Sunseri, delle api non c’è nemmeno un cenno, non se ne ‘percepisce’ il ronzio. Dobbiamo supporre, allora, che l’Autore  avalli l’ipotesi dell’estinzione; che il titolo “Il meraviglioso mondo delle api” sia solo l’anticipazione della grande ironia che lo contraddistingue, che è presente in tutte le sue opere e troviamo qui riversata abbondantemente. Essa è il ‘miele’ che alleggerisce, rende godibile la silloge dolcificandone i contenuti amari e suscitando il sorriso del lettore, che resta contagiato dal discreto umorismo al quale è sottesa una vena di malinconia. Il “sentimento del contrario” pirandelliano è palese in diversi testi, dove il Nostro riflette sulla fragilità e sulle debolezze umane rendendo esplicito il contrasto tra apparenza e realtà. Là dove è presente il pensiero della solitudine, del decadimento fisico, della vecchiaia, della morte, là dove il “troppo dolore…” determina la sospensione dei pensieri negativi, all’avvertimento dell’amara condizione esistenziale si oppone il sentimento del contrario: la voglia di vivere senza “l’ossessione di traguardar traguardi, / e la rincorsa a superare ostacoli”; di mutare in “leggerezza” il peso degli anni e dominare la “vertigine” con la sensazione di “volare” (Chiacchiere da bar). Il Poeta, allora, è l’ape che sugge il nettare della poesia anche dai fiori amari della vita, e di cui sono feconde le parole, con le quali egli ‘osserva’ e narra la vita da una prospettiva diversa che gli consente di gestire l’ansia, la rabbia, le in-sofferenze, gli ostacoli indotti dagli eventi negativi che connotano questa nostra società malata e di rispondere agli urti del tempo sempre più avaro di anni, di futuro, in cui vengono meno le certezze e nulla più accade di fortemente desiderato e prodotto autonomamente, creativamente. Accade solo ciò che s’inventa, che è possibile trovare - invenire. “Invento cose / che mi capitano”, confessa il Poeta, ed è questo il suo “segreto”: adattarsi all’ambiente che lo circonda, accettare l’accadere inevitabile, e in questo apparente abbandono ritrovarsi, r-esistere,  attraversare le emozioni senza evitarle, addolcendo e affrontando le avversità con l’ironia, l’arguzia e la grazia della leggerezza, sottese da una sottile filosofia, che caratterizzano il dettato poetico di Giuseppe Sunseri, ne rivelano l’indole e conferiscono stile, espressività, originalità alle sue opere rendendole riconoscibili. Una sottigliezza filosofica, in accordo con la fine ironia, definisce, in modo sorprendentemente originale, la morte. La quale è una certezza anche ‘matematica’, una potenza avente come base il sonno con esponente al quadrato: definizione che attenua eufemisticamente il tragico evento della morte dandole una parvenza vitale, facendo cioè del morire un dormire profondamente che non esclude la possibilità del risveglio, ovvero, del ritorno e che scioglie l’amletico dubbio facendo del non essere il passaggio ad altra e nuova vita e, dunque, una semplice apparenza, una morte provvisoria, che, in quanto tale, non è in contrasto con la realtà dell’essere. La morte che qui è ‘simpaticamente’ esorcizzata, in altri testi corre sul filo del tempo sempre più breve, fugace, o della malattia incurabile. In Gabriella è un nome di fantasia, la sua presenza è ‘spettrale’; si annuncia nel nome della patologia, nei sintomi descritti in successione, come un climax ascendente, e nello stato di afflizione, di paura, di depressione della donna, culminante nella sua volontà di abbandonarsi, di consegnarsi alla morte senza più “speranze da coltivare” e in solitudine, senza la vicinanza e la compassione degli amici, senza gli inutili incoraggiamenti.  In “Cimiteri pieni di interrogativi (e di bare in attesa)”, la morte è un interrogarsi sull’aldilà, sui defunti, con i quali è possibile ‘comunicare’ se ne captiamo e decifriamo i messaggi, le ‘onde sonore’, musicali, modulate forse in ampiezza (AM) o in frequenza (FM) come i segnali trasmessi dalla radio. Non è da escludere il rischio di un’errata ‘sintonizzazione’, di scambiare le anime dei propri cari con quelle degli estranei, di pescare a caso nell’etere i segnali, come i numeri nella macchina da lotto. E qui, l’ironia entra davvero ‘in gioco’ e si fa eco eduardiana. Durante la pandemia di Covid, la morte si fa spettro nella paura del contagio, “nel gomito piegato / Ma anche pugni avversi / che chiedon d’incontrarsi… / all’arrivo come al commiato. / Il progresso della civiltà è disarmante”. (Dalla mano in bocca). Qui, è ancora ironia, che evidenzia e rivela l’aspetto comico di quei gesti. Il Nostro non esita a fare dell’ironia su di sé. Tacciato, con sua grande sorpresa, di sentirsi superiore agli altri, di scrivere versi destinati a una élite, a persone ricche, di prestigio, egli, per assicurarsi la simpatia e il bene degli indigenti e dei “percettori del reddito / definito di cittadinanza”, decide di indossare sul polso un Timex di “metallo volgare” al posto del Rolex “arroventato” da tanto biasimo e liquefatto, come gli orologi molli di Dalì.

       Mancano o sono ridotte al minimo, in questa raccolta, le ‘memorie’ autobiografiche. I ricordi dell’infanzia lasciano il posto al dolore e alle possibili soluzioni che possono contrastarne gli effetti e le nuove insorgenze. Viene meno nel poeta la fiducia nelle esperienze passate e le nuove aspettative sono riposte, Volente o dolente, nel seguire qualche consiglio, nel desistere dal controllare ossessivamente quello che gli resta e nell’optare “per una serenità nuova / fatta di piccoli progetti”, di ripartire “ogni volta dallo zero” gettandosi alle spalle il passato, che, tuttavia, rivive debolmente nell’“amore che resiste”. Nella durata del sentimento, il presente, in cui “è  sopito ormai il ricordo / dei giorni dell’innocenza“, è il tempo accettabile nonostante le incomprensioni, - (“mi dovrò ammalare / di un malanno serio, / per strapparti la carezza / o una parola buona / da svegliarne l'empatia,  / e tirar fuori così / la crocerossina / seppellita in te”) - l’incattivimento generato dalla vita, il peso degli anni e le conseguenti sofferenze, e le amnesie, i vuoti improvvisi della memoria, che il Nostro ‘traduce’, con immancabile ironia, col termine siciliano “stunatu”, che “il miracolo laico” del sentimento vieta alla moglie di pronunciare rivolgendosi a lui.

       “Il meraviglioso mondo delle api”, che titola la raccolta, restandovi assente, è una metafora della società umana, che per molti versi, per molte ragioni ‘impoetiche’, si traduce in un ossimoro. Perché, a differenza del microcosmo dei laboriosi insetti, della loro ‘società’ compatta, ordinata, bene organizzata e in relazione con la natura, il nostro mondo è sempre più caotico, irrazionale, svuotato della sua essenza naturale, in disarmonia e in rapporto conflittuale con l’ambiente. Il titolo, tuttavia, richiama il legame tra le api e la poesia. Questa è l’ape meravigliosa che rende tutto dolce e amabile, anche le tragiche narrazioni. (Così c’è poesia, c’è bellezza in Amleto, Macbeth, Romeo e Giulietta, Edipo…). Come le api trasformano il nettare in miele, così ogni poeta attinge, dal meraviglioso libro della natura e dalla vita, esperienze, conoscenze, idee, che traduce in immagini, versi, parole, opere in cui imprime il proprio stile, la propria forma personale aprendo orizzonti inediti. Il Nostro non sfugge a questa ‘regola’. Egli cerca, inventa un nuovo linguaggio, veste le parole di sottile ironia, di filosofia e crea inediti accostamenti e parallelismi operando ‘gustose’ metamorfosi. Perché niente rimane lo stesso, come “il cannolo scomposto”. Ogni parola ha sapori diversi a seconda di chi la gusta; sollecita interpretazioni nuove, cambia pelle e “ci vorrà una parola nuova” per ri-comprendere e identificare le cose che abbiamo già conosciuto, alle quali le parole hanno dato una forma (Una pausa in pasticceria). Della presunta estinzione delle api, cui il titolo sembra alludere, come abbiamo all’inizio ipotizzato, troviamo un possibile riscontro in “Punteggiatura”, dove la scomparsa degli insetti è una probabile metafora dell’eclisse della punteggiatura o dell’uso improprio e caotico di “virgole” e “di puntini di sospensione” nelle composizioni poetiche. Sembra questa una critica del Sunseri contro certa avanguardia “fuori di testa”, come le “virgole” fuori posto (o fuori testo). Tutto è scomposto in questa scrittura. Non così nella natura dove tutto si tiene e promuove  e asseconda la danza delle api. E con le api, con questi laboriosi e ‘creativi’ insetti che, nonostante la loro ‘assenza’, hanno qui donato il miele della poesia, l’opera congeda il lettore che, con l’Autore, può dire di avere appreso l’arte di vivere danzando.

 

 

[1] Così dichiara Scott Hoffman Black, direttore esecutivo della Xerces Society for Invertebrate Conservation a Portland nell’Oregon.

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.