XXXIV Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Un pomeriggio Antonio Altomonte che  dirigeva la pagina culturale dei libri sul quotidiano Il Tempo mi disse che voleva conoscermi Armando Verdiglione. Non sapevo, non lo conoscevo,Altomonte fu sorpreso. L'appuntamento, se  d'accordo, al Grand Hotel, albergo di lusso , a Roma,vicino alla stazione Termini. Il portiere chiamò, stanza tale, potevo  salire, bussai,”avanti”, camera di ingresso vasta, elegantissima, lumi bassi, mobili  antichi,tappeti, in fondo vidi una persona che si infilava la camicia, di media altezza, robusto, pieno ,si stava vestendo e mostrava qualche nudità grassoccia, si avvitò una cravatta con ampio nodo, capelli nerissimi , viso compatto ed occhi scuri e  larghi, seri,pesanti, disse di accomodarmi, che aveva piacere di incontrarmi,  tante iniziative e intendeva coinvolgermi. Realmente:Casa Editrice,SPIRALI,  rivista della stessa denominazione, altre riviste, in prima persona esercitava la Psicoanalisi, con fedelissimi collaboratori, accomun

ato da Cristina Frua De Angeli, di famiglia rinomata, e  di suo intellettuale. Armando Verdiglione realizzava finalità mondiali, si frammetteva in  rapporti internazionali, effettivamente, efficacemente mondiali,i suoi convegni ospitavano i maggiori in ogni campo. Da Armando Verdiglione conobbi i nuovi filosofi francesi, Henry Bernard Levy s, Andrè Gluksmann, Edgar Morin, Marek Halter.qualche nome, conobbi Ionesco, orges, Arrabal, conobbi i russi che tentavano di fare della Russia un Paese capitalista e liberale, gli scrittori dissidenti, Maximov, Zinoviev, ambasciatori russi, credo, impossibile dare altri nomi,c’erano quasi tutti. Non i comunisti, Verdiglione e presso che  i suoi ospiti o associati erano  spregiantemente anticomunisti. Credo che l’anticomunismo di Verdiglione sorgesse da una sua convinzione, che il comunismo negava ciò che Lui, Verdiglione, reputava essenziale, l’impresa individuale, la determinazione  del proprio fare, l’esistenza come autonomia del soggetto non esecuzione di ordini che spegnevano il rischio dell’impresa individuale, “impresa!”era scrivere un libro,  attività di una fabbrica. Non esisteva l’economia  separata dalla imprenditorialità personale,  del rischio individuale. Anche se si dedicava al linguaggio,, la Cifrematica, e   usava termini  e frasi di combinatorie non  immediatamente decifrabili, al dunque era di una efficacia fattiva radicale, l’imprenditorialità animava Verdiglione. Evidentemente un’economia collettivistica, privata del rischio individuale era  l’opposto, e Verdiglione la respingeva. Non entro in terreno psicoanalitico e sul linguaggio . Verdiglione respingeva Jung,  ero concorde, negare l’erotismo infantile è regredire da una scoperta ineliminabile. Ma anche su altro, l’inconscio, la ricostruzione della persona, l’inevitabile  conflitto tra pulsioni e vita sociale Jung veniva respinto, in fondo Jung si volgeva all’adattamento. Ma sono minimità, sull’argomento. Comunque Verdiglione non apprezzava l’adattamento, apprezzava la tensione ad una finalità del soggetto, il Nuovo Rinascimento. Apprezzava ed attuava.

 Se a Roma Salvatore Dino costruiva una Villa tra le più sfolgoranti se non la più sfolgorante nellì’Appia Antica, sede di incontri  regali, venne anche Farah Diba, venne la sorella dello Scià, Ambasciatori, Cardinali, ne dirò, Verdiglione a Milano, in via Torino, ed a Senago, Villa Borromeo, faceva il sovrano  del Nuovo Rinascimento.  E viaggiammo nel pianeta, Russia, Stati Uniti, Francia. Tenuto conto che anche a Palermo Alfredo Fallica e Tommaso Romano ardirono organizzare convegni internazionali su di un pensatore ostracizzato, Friedrich Nietzsche, che la Facoltà di Sociologia teneva convegni  internazionali, che mi invitavano pure Associazioni, quella facente capo al Reverendo Moon e nel suo ambito anche il Sindacato Libero degli Scrittori riuniva, giravo da un paese ad un paese, tra continenti.  Anni Settanta-Ottanta,  periodo addensatissimo. Il mondo si stravolgeva. La parte comunista si sfaceva, il proletariato perdeva aura rinnovativa, ma la borghesia si imponeva  come società  produttiva di merci consumabili che quale civiltà. Se l’ideologia era il veicolo del successo, vali se di sinistra, adesso era la vendita, se vendi vali, e la reclamizzazione con gli strumenti di massa. Vale ciò che viene comunicato dagli strumenti di massa. Una catastrofe che nel tempo è diventata mortuaria. Il trionfo del media sul messaggio. Il messaggio può non valere ma se risulta diffuso da un media prepotente si impone. Di questo passaggio d’epoca alcuni di noi furono angosciosamente  sensitivi, non eravamo entusiasti del crollo comunista, anzi, lo eravamo, ma incertissimi che noi, vincitori,  non ci volgessimo ad una cultura della vendita, del rumore con i mezzi di comunicazione, al di sopra della qualità. Con una variante che pochissimi percepiscono:dire malissimo della società della vendita, vale ciò che si vende, per rumoreggiare e vendere ciò che non vale, in questo gioco lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini  dà esempio, essere contro il sistema, questi i termini, vociferati dal sistema. Un gioiello. La reclamizzazione contro la reclamizzazione. Ecco, esistette anche questa parodia, la “critica” per reclamizzarsi come nemici del sistema. Nessuna obiezione al farsi valere, purchè non divenga il valore del  non valere perché “contro”.. Ma fu così, bastò dirsi contro il “sistema”, in nome di quale altra società non si coglieva.

. Fu un periodo densissimo. Il mondo stravolgeva. La parte comunista si sfaceva.  Polonia, Romania, Ungheria, Russia, Paesi Baltici, miseria, corruzione, paura, prostituzione. Quando l’Unione Sovietica  si disgregò, e la Russia fu sola, conobbi in Russia ed in Italia, da Armando Verdiglione, gli uomini che volevano avvicinare la Russia all’Occidente, amavano l’Itala e l’Europa. Erano occidentalisti. Ma gli europei, specie i francesi, e gli americani identificavano la Russia con il comunismo, E si volgevano alla Russia per averne materie prime, svendita, quasi fosse un Paese da colonizzare. Errore  che ebbe ed ha  effetti rovinosissimi. La Russia a suo modo è un Paese europeo, al modo in cui  può esserlo un Paese che non rinuncia alla sua storia e ad alla  sovranità. E’ stata un’occasione perduta . l’ho vissuta radicalmente. In un mio libro riporto le conversazioni con gli Ambasciatori russi. Erano occidentalisti quanto gli europei. Ne dirò.

 Francesco Grisi, l’ho accennato, animato, rapporti diffusi, convegni, da Giovanni Volpe, editore, figlio dello storico Gioacchino Volpe, convegni sindacali degli scrittori liberi, ne rammento uno a Caserta, uno in Sicilia, credo Cefalù, di suo pubblicava, un suo testo ebbe nominazione selettivo al Premio Strega-A futura memoria. Di sicuro dirigeva pubblicazioni , giornali, riviste. La maggior parte degli scrittori, degli intellettuali era di convinzioni cattoliche, e rendeva esponente determinante Augusto Del Noce, per il quale l’ateismo provocava il nichilismo, il procedere  per procedere, il divenire per il divenire. Che l’uomo senza Dio perdesse orientamento è opinione diffusa, dalla “morte di Dio”, o persino dall’Illuminismo , dallo scientismo, ma d’altro canto Dio non è un Ente che fonda Sé evidentemente. Qualche turbolenza sussisteva tra di noi.  Per me fondamentale la “qualità”,l’amore per la vita, non cedere al mercato  né alla valutazione ideologica come giudizio di valore, e poi il valore dell’individuo, ed il mistero esistenziale sul come mai esiste l’esistenza. Anche questioni sociali.

Stupefacente, inconcepibile, dapprima detto e non detto, poi detto, poi confermato: Francesco Grisi, il baldanzoso Francesco Grisi non stava bene, anzi malato.  Ignoravo che male avesse,affermazioni, conferme, male, il corteo delle signore lo proteggeva, gli amici soccorrevano, affetto, scorgevo chi gli recava sporte di medicinali, ma l’evento era quasi furtivo, Grisi spariva,  ripresentandosi nessuna appariscenza di afflizione, nessuna parola sul male che lo penetrava, e se non era  divertente, parlatore sbrigliato, non era mesto, racchiuso, muto. Se mai,  spariva , forse quando non era in condizione di stare con noi.In una circostanza non apparve che al minuto dell’inizio di un Convegno, sembrava il caso di non possibilità a  raggiungerci, venne e resse il convegno come sempre. Per qualche tempo non ne seppi, abitavamo non distanti. Un giorno  in ristorante con Aldo Di Lello, redattore culturale del Secolo d’Italia, ci  interrogammo su Grisi,  lo chiamammo a Todi, Egli si recava nella  Villa. Rispose Pierfranco Bruni,  legato a Grisi, chiedemmo, udimmo la voce di Francesco, minima, stanca, ci voleva salutare, ci voleva ascoltare e salutare, e ci salutò dicendo che non aveva la forza di salutarci, il saluto fu quel quasi non dire, l’affaticatissimo dire che non aveva  fiato per dire che era incapace di dire. Noi vociammo, come se il nostro parlare a gran fiato lo rianimasse, Francesco  si allontano dal ricevitore come sparendo . Fu l’addio.Una dissolvenza. La morte di Francesco Grisi fu la vera morte, molti muoiono senza vivere, la loro morte non stravolge, Grisi restava magnificamente nella vita, era ivivo vivente,  un’effettiva morte,la sua, una mancanza . Ancora.


Quando viaggiamo spesso accade di subire gallerie, pioggia, talvolta ci fermiamo, talvolta continuiamo, talvolta siamo sperduti, accecati, anche dubbiosi che potremo salvarci o convinti che non ci salveremo. La vita ha una duplice vulnerazione, la morte per natura, la morte da vivente a vivente,essere umano ad essere umano, altre forme sono da intendere nell’una o altra situazione, se veniamo predati da un anlmale  è una vulnerazione tra  viventi. La morte tra viventi non è soltanto l’uccisione propriamente, anzi, in fondo questa morte è la meno effettuata, piuttosto quando una persona che sta con te, per vincolo di nascita, di unione, o di ogni genere entra nella tua esistenza e dilania, spesso non per malvagità, addirittura spesso con amore,. Amandoti, un amore a suo modo, a modo dell’altro ma non il tuo, persino contro di te, è quando l’amore si divide dal voler bene. La spaziatura dell’amore dal volere il bene dell’altro è micidiale, peggio di un morso velenifero,  ti può uccidere  per amore e in quanto agisce “per amore”, si apprezza, si giustifica, assolvendosi. consentendosi ogni invasione, ti storce il volere per il suo volere, che, ripeto, mosso dall’amore, tale reputato, non arretra, non limita sé, e sormonta, domina,irrompe incontrollatamente in te,direttivo, obbligante, e come sarebbe giustificato opporsi, dato che è l’amore a suscitare l’agire?

Stefania Ferrero veniva da famiglie non qualsiasi, dal padre, Giulio Ferrero, ingegnere, imprenditore, dal padre del padre, imprenditore di vistosa operosità, un pezzone di quartiere romano,  negozi di migliaia di metri quadrati, ville, palazzi, Giulio, il figlio, mantenne e ampliò. La madre era una Alberti, famiglia  del liquore Strega. Stefania, figlia solitaria, ereditava dalla madre, morta in età insolitamente precoce, e quando sarà, dal padre. Ricca, proprio,, non ricchissima, miliardi di lire ne aveva, e tanti, un mezzo milione al giorno lo poteva consumare disinvoltamente. In realtà non sapeva quel che possedeva e avrebbe posseduto,  qualche periodo era stata nelle stanze dove il padre gestiva ,con  un fidatissimo collaboratore, Giuseppe, ed altri, vicenda che mortificò Stefania avverso il padre. La madre aveva testato la proprietà a Stefania, l’usufrutto al coniuge, Stefania voleva fare da padrona, il genitore glielo impediva, ne sortivano contese che finirono nella cacciata di Stefania dagli uffici, e nella consegna di una rendita a Stefania, ricca ma privata di adempimenti. Il sospetto di essere ingannata, derubata incontrollatamente, le penetrò diventando rabbiosissima convinzione di  maltrattamenti, inganni, rapine. Impellente mostrare, dimostrare le sue capacità , e se il territorio economico le  venne sbarrato si spostò nella cultura, mostre d’arte, specialmente, qualche edizione grafica, e poiché  il denaro è calamitoso, pittori, critici, borghesi  e cercatori di qualche osso affluirono. Nacque il Centro Culturale Arte-Spazio. Stava al piano terra di un palazzo costruito dal padre di Stefania insieme ad un noto imprenditore romano, Ercoli, un palazzo signorile, portiere gallonato, porte in legno massiccio, metratura vasta, in uno dei posti , anzi il posto allora rinomatissimo, anche oggi, i Parioli, accanto al Piazzale delle Muse, uno spazio  con un  albero al centro, Largo Fregoli, numero 8.Stefania possedeva l’abitazione iniziale, ingresso, salone, cucina, corridoio, stanza, stanza,  bagno a destra, stanzino per i camerieri o la cameriera, camera da letto padronale, bagno padronale, stanzone con i quadri, giardino. Una zia, sorella del padre, possedeva un appartamento al terzo piano, sembrava fermo all’Ottocento, il padre un appartamento al secondo piano, con arredi e quadri di qualche pregio, spade, nessun mobile odierno.Giù, l’ufficio.

Quel che(mi)accadde in quegli appartamenti per anni, anni non perde il confronto con le vicende  estreme vissute o fantasticate. E che io possa narrarle  sbalordisce me stesso. Solo la malattia che mi ha trattenuto in coma settimane pareggia quegli anni. Talvolta sopravviviamo convinti di essere ormai al di à della vita. 1981. 2 febbraio, sposo Stefania Ferrero. Bella, ricca, signorile, e sarà quel che è stato! 

 

 

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