XIII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Piazza Cairoli, Messina

In natura , sia umana , sia animale e direi perfino vegetale, non esiste creatura più riuscita della madre. Esiste il padre, non ritengo da comparare alla madre. La madre mi appare una entità sempre piena, colma, pur creando in sé e fuori di sé, quasi il creato restasse in lei e l'emissione fosse appariscente. La protezione, l'attenzione, l'unione della madre con i figli, dicevo, non ha paragoni , il padre, il padre è paterno con il figlio quale “altro” da sé, dall'esterno, la madre come in se stessa, l'altro in sé, i figli rimasti dentro. Quanto scrivo è la mia verità non la verità, è un'impressione che sento come figlio, giacché i figli a loro volta si sentono interni alla madre, figli filiali e madre materna , niente di passivo, ma una adesione radicale, la trasmissione del sentire dell'uno nell'altro, la tua sofferenza è la mia, la tua stanchezza la mia stanchezza,  e risorgiamo insieme come le fronde di un albero dal vento curvate da un lato, dall'altro , ma sempre insieme. Quattro figli ed una madre. Ho vissuto nella irregolarità, figli senza padre, che avverrebbe di me, di noi, se perdo, se perdiamo la madre ?  Un ritardo, un malessere, lo strapiombo! Ansia perenne, l'uno per l'altro , mia madre per noi, noi tra noi e per mia madre. Uccelletti a becco aperto in attesa. Quel che fece mia madre dalla morte di mio padre per sostenere i quattro figli mi conferma che la creature più riuscita della Natura sta nella madre e nella maternità.     Non aveva idea di dover lavorare, figlia di possidente, di qualche nobiltà, educata nei collegi, e, sposa giovanissima, con un uomo che la amava e che lei ricambiava passionalmente, benessere,  figli,  la malasorte, mio padre ucciso da un folle, l'abisso, le famiglie, materna, paterna , non la sorreggono, la sua mente delira, noi figli sbandati, collegi, io appena nato dalla madre di mia madre, no, persino nel delirio, i figli, madre, lei era e restava madre, lo spirito materno le ridiede la mente, piombò su di noi, ci raccolse, e contro la malasorte visse cento anni per amare i figli che la hanno amata. Riuscì a studiare , a diventare insegnante , e tutto : madre calzolaio , madre cuoca, madre lavandaia, madre infermiera, i miei fratelli erano spesso nei collegi, tempo di guerra, ci alzavamo prestissimo, i primi tempi in paesi lontani, chi viaggiava,  allora enormi distanze, montagne, montagne, contadini , caseggiati calcinosi, cinque del mattino, ascoltavo le parole di mia madre da fuori. Fin da bambino , malato ai polmoni.  Non reggevano il freddo. Magro, impressionabile, ogni evento mi rappresentava il peggio, atterrito dal buio, fantasmi immaginati, talvolta li scorgevo, uomini che si accoltellavano sui cornicioni della porta della mia stanzetta, attaccatissimo ai miei fratelli, avvintissimo a mia madre che mi prediligeva essendo io il minore, nato precocemente, sette mesi, vivo il Fato sa come, nettamente affettivo, anche verso i miei compagni, e gli animali, uccelli essenzialissimamente.  Non sopportavo il dolore altrui, la mia mente mancava di realtà, pensavo quel che immaginavo e lo credevo realtà. Pensavo quel che sentivo. Forse l 'infanzia vaneggia in tutti. Io vaneggiavo . In uno stato di ansia irrevocabile e di compassione dolentissima. Ne avrò effetti anche oltre l'infanzia . Nella scuola elementare non so per quali motivi , penso di salute,  sempre ammalato all'inizio dell'autunno, irrespiravo,  magrissimo, diceva mia madre : “non pigghi piggu” , non prendevo pelle , non ingrassavo , persi un anno , il quarto,  ripetente, mi ritirai e mi prepari gli esami esterni. Fui promosso , superai il quinto anno senza frequentarlo, mi recai dal maestro , un uomo anziano capelli bianchi , aveva detto che io ero più adulto dei miei compagni,  mi colpì moltissimo , forse per questo ho deciso di " saltare " la quinta elementare. Andai, portandogli un mazzetto di fiori,  non mi diede una buona accoglienza e questo mi dispiace ancora. Lo ricordo , aveva i capelli completamente bianchi quindi doveva essere anziano , un povero maestro all'antica. L'istituto si chiamava Duilio Gallo , il vincitore romano della battaglia di Milazzo, e nello stesso istituto mi iscrissi per la scuola media . I professori erano di varie materie , non ricordo molto della scuola media ma alcuni episodi nettamente . Nella lezione di Italiano leggevamo testi di poesia e di narrativa , venne letto il racconto di Renato Fucini : Il matto delle giuncaie , nell'ascoltare mi insorse una malinconica tristezza che cresceva finché scoppiai in un pianto impossibile a frenare . La professoressa , una signora corposa mi si avvicinò e mi strinse, fu una sensazione mai provata , mia madre non aveva la minima disposizione a queste forme affettive , non dimenticava di dover essere anche padre , dava la vita per noi in modo austero . L'abbraccio della professoressa mi diede anche altre sensazioni , un profumo, una percezione di femminilità , non la donna madre , ma la donna donna . Un ricordo . L'altro ricordo è di tutt'altra origine . Vi era un esame alla fine della terza media , ed io ero stato ammesso ottimamente , ma nell'interrogazione di matematica ammutolii , non dissi una parola , tutto cancellato , mi accadde in altre circostanze . L'insegnante di matematica , un donnone con due guance da cinghialessa , andava dicendo :  "e l'ho ammesso con 7 , l'ho ammesso con 7" , tra il dispiaciuto e lo sbalordito , ma l'episodio mi rivelò ancora una realtà sconosciuta : abitava di fronte alla mia casa un anziano e distinto docente di matematica , le mani curatissime , andai a lezione da lui e per la prima volta capii che la matematica non era soltanto un groviglio di numeri di cui non sapevo la ragione dell'esistenza , anzi in ogni operazione di matematica vi era una realtà concretissima da rappresentare per dare appunto realtà ai numeri e alle loro combinazioni . Anche questa fu una scoperta della giovanissima età . Nella pedagogia esiste uno degli argomenti essenziali , capire la vocazione dello studente. Non so per quale motivo,  forse nell'idea di una facilitazione degli studi , fui iscritto al liceo scientifico. Non era adatto a me , mi sentivo fuori luogo , fuori dalla mia mente , fuori dalla mia vocazione , un'estraneità che mi faceva soffrire fisicamente , male alla testa , dolori intestinali , vomito , sicché per la mia salvezza mentale mi ritirai , mia madre comprese che avrei sofferto , mi preparai all'esterno per iscrivermi al liceo classico , allora si studiava il greco nel ginnasio . Io amai intensissimamente immediatamente la cultura greca e quella romana , la cultura classica , difettai nella lingua greca ma ero me stesso , mi ritrovavo , sentivo quel che studiavo , direi che non lo studiavo , lo vivevo, se non vi era qualcosa di sensibile emozionale, diciamo estetico , non ero attratto. La stessa conoscenza scientifica non mi era sufficiente . Mi iscrissi al collegio dei Gesuiti, il Sant'Ignazio , nella piazza principale di Messina , piazza Cairoli . E comincia il periodo più felice e l'inizio della mia "verità" nell'immenso sterminato vario universo della civiltà classica e dell'amicizia e della scoperta della donna .

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