"Vivere con la follia del virus" di Tommaso Romano

Quando si manifestano gli eventi cruciali, si vive in stati dell’essere che sono attraversati e segnati da di­versi e complessi momenti che, a volte, riescono a fare riflettere - più o meno a lungo - meglio sulle ragioni e i modi del vivere, la follia che appare, il morire e, al contempo, alla stoltezza del mal vivere e delle cause del morire, improvvisamente.

La pandemia del contagio mondiale come lo è la glo­balizzazione, ha messo a nudo, nell'uomo del nostro tempo, limiti e certezze, speranze e frustrazioni, attese e sconfitte. A cominciare dalla tragicità della sofferen­za, spesso estrema, di migliaia di morti, che hanno evi­denziato ed evidenziano, anzitutto, che la morte è da pensarsi come ineluttabile realtà della vita, oltre che sua fine certa.

Avere obliato la morte, con l’uso di parole ipocrite come “scomparsa”, non l’ha di sicuro debellata, mal­grado l’aumento della cosiddetta “attesa di vita”. La paura dell’ingiusta morte o sofferenza per virus, ha rinchiuso e quasi sigillato milioni di persone, costrette - volenti o nolenti - al recinto-fortezza domestico, annullando in un sol colpo lavoro, relazioni, espressioni esterne di arte e cultura, impedendo il contatto con lontani affetti familiari e sociali, con uffici e scuole sprangate, svaghi impediti, procedendo a forza di DPCM che annaspano nel buio, di droni e controlli polizieschi perfino su zelanti sacerdoti intenti a celebrare messa. Tutto questo sullo sfondo apocalittico, di morti senza croci che sfilavano ammassati all’interno di camion militari, che resteranno indelebilmente impressi come militi ignoti e incolpevoli di una guerra non dichiarata.

A quel picco di dolore, accompagnati da umana abnegazione unita a smarrimento, si va manifestando, ora, con il notevole calo attuale di morti e di casi infetti, accompagnati tuttavia da dubbi, interrogativi e speranze, che riguardano il futuro prossimo della pandemia.

Non entro nella diagnostica medico-scientifica, nella dinamica dei contagi non è sicuramente il mio campo, esprimo però riprovazione rispetto alla iniziale sottovalutazione del fenomeno ed egualmente delle ormai chiare responsabilità della Cina e la sua ipotetica egemonia che a qualcuno appare come be­nefica sirena. Ma anche, osservo, il troppo empirico tranciare sentenze di medici, “esperti” e tuttologi, in sovraesposizione immotivata da una corretta e necessaria informazione, giudizi e sentenze, dettate, a volte, da non conoscenza e talaltra da incoscienza, sul come affrontare e curare il virus e dal come rendersi ben conto di ciò che si andava facendo e non facendo, a cominciare dalle autopsie negate per decreto, dal sommare i morti irrazionalmente, infettati sì ma già malati di patologie pregresse gravissime, con un contorno, a volte francamente inquietante, di insipienza istituzionale e di confusione decisionale circa le opzioni migliori e le relative responsabilità. Tuttavia, alcune considerazioni ulteriori vanno fatte, oltre le tragedie, i drammi e le dolorose cronache.

Gli stati di emergenza, sono certamente plausibili nello svolgersi della vita associata delle nazioni, senza però che possano venir meno - anche in momenti estremi - le ragioni prime della libertà, i diritti inaliena­bili, il rispetto umano, oltre che costituzionale, per ogni individuo. Oltre alle conseguenti considerazioni che riguardano i fattori economici e produttivi, che poi convergono necessariamente, con il primario bisogno della dignitosa sopravvivenza per tutti.

Il miraggio avanzato, a mio avviso, della decrescita felice, rende in realtà i popoli e i singoli infelici. Non tanto e non soltanto per smodato consumismo, quanto per l'articolarsi della domanda e dell’offerta, che in nome di un dirigismo statalista, rischiano ora l’approdo all’asfissia, al collasso e, sempre più spesso, al suicidio per indigenza.

Una visione politica anche emergenziale, non dovrebbe quindi mai smarrire, la reale consistenza della arti- colazione e interdipendenza del corpo sociale, a cominciare dai suoi bisogni primari, materiali e spirituali. Altra discutibile pretesa, a mio sommesso avviso, è stata quella di voler determinare i recinti negli affetti, a cominciare dalla daltonica disputa sui congiunti, per la quale un convivente o un “affetto” stabile, si sono quasi considerati “immuni” da contagi, rispetto ad altri rapporti, innegabili, intessuti come affetti e fisici rapporti sessuali, oltre la “moralina”, come la chiamava Nietzsche. Non è, infatti un contratto matri­moniale o una certificata (sic) convivenza, né tampoco un rapporto da misurarsi in quantità che danno, infatti, la patente di immunità!

Questo stato generale di crisi e smarrimento è stato alimentato da un clima mediatico indotto, che ha provocato apprensioni, dipendenza e terrore, anche negli accenti estremi proposti a raffica, quasi come un destino, declinando ossessivamente lo stare a casa, il distanziamento sociale (in realtà il distanziamento in­terpersonale!), il contagio dietro l’angolo, la denuncia degli untori sui tetti, progettando la delazione come soluzione da grande fratello sovietico-nazista. Che profeta fu Orwell quando scrisse del “Ministero della Ve­rità” e che profeta è Bill Gates...! che cinque anni fa aveva descritto lo scenario odierno. Chi ha sostenuto, fin dagli inizi, la dura necessità - con tutti i rischi e i limiti, pur attenendosi con le adeguate contromisure giuste e prudenti da seguire, anche se non ossessivamente - della “convivenza” con il virus, ha avuto buon gioco con i profeti più o meno interessati di sventure. Chiudere tutto può essere una soluzione ma i focolai, le zone, le regioni vanno isolate non certo l’intero sistema paese, l’intera nazione a rischio di morte civile. Altro elemento umano che, almeno da fine aprile, è stato poco o male valutato — anche dai “soloni” esper­ti - riguarda i bambini, la necessità della loro socialità per l’equilibrata crescita psico-fisica ma anche, in parallelo, la demonizzazione e ghettizzazione, il confinamento infinito dell’anziano, creduto e rappresen­tato da media ed “esperti”, come potenziale untore o come facile bersaglio, e quindi da evitare. Anche i fenomeni connessi alla fragilità psicologica causati dalla paura, instabilità emotiva, irrazionalità dei com­portamenti, disturbi della personalità e della salute mentale sfociati in depressione, insonnia, complessi da recinto invalicabile, sono stati minimizzati come inevitabili fattori ed anzi, amplificando fenomeni quasi folkloristici e/o demenziali e magnificando, fino al parossismo, la didattica a distanza, esaltata come panacea positiva e quasi come modello educativo e culturale.

Non sapremo forse mai se tutto quanto successo è stata ferita permanente o transitoria. Restano però le cicatrici profonde, non solo sull’economia, che risentiremo forti, comunque e negli effetti e nelle tensioni sociali, nel tempo. Come se non bastasse, è cresciuto l’esibizionismo dei feticci, neonarcisistico, ad esem­pio di mascherine esibite come una sorta di trofei. Dalla tragedia al delirio farsesco!

Concludendo queste note “scorrette” occorre, secondo chi scrive, riferirsi anzitutto alla persona, al singo­lo, alla sua responsabilità, per evitare le false solidarietà, la deriva totalitaria e dirigista, il bavaglio al dissen­so, sulla vita privata di ognuno e sulle libertà politiche ed economiche come autentica fonte di intrapresa. Crediamo, infine, che non si possa pensare ad una utopistica svolta migliorativa per la società a seguito della pandemia né assegnare alla politica, all'economia e alla sanità ruoli impropri, egemonici e/o pervasi­vi. Ha giustamente scritto Domenico Fisichella che resta in questo contesto, “un primato regolativo della politica, che però non può assumere un tratto così interventivo dell’esperienza individuale e collettiva fino ad assorbirla ed esaurirla nella politicità. Dunque, non tutto è politica, la politica non è tutto”. Chi ha orecchie per intendere intenda (Lc.8,4-15).

Semmai bisognerebbe ripartire da uno, ripensare ai disequilibri, a cominciare da se stessi, praticare lo stupore e il corretto e non strumentale e demagogico rapporto con la natura che, al contrario (vedasi a proposito la diffusione delle polveri sottili), porta al disastro, che non è solo ambientale.

Il ripensamento etico e antropologico, il primato da rivendicare e affermare della creatività e dell’arte, per tutti e per ognuno, come una necessità interrogante, possono essere validi antidoti, anticorpi di reazione, al pensiero unico, oltre la distruttività dello stesso COVID 19 in grado di coniugare rispetto, libertà, coraggio, capacità critica e responsabilità, annullando ogni artificioso distanziamento, ogni insignificanza dell’esistenza, che merita di essere vissuta fino in fondo.

 

da: AA.VV., "The black days", a cura di Francesco M. Scorsone, Ed. Studio 71, Palermo, 2020

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