A proposito della morte dell’arte. Guadagnuolo presenta la sua “Nascita di Venere” - di Lodovico Gierut

Perché l’artista Francesco Guadagnuolo si è imbattuto proprio nella celeberrima “Nascita di Venere “ del Botticelli?

Lo abbiamo chiesto direttamente all’autore: «Era da tempo che pensavo di impiegare un’opera che riassumesse tutte le caratteristiche dell’arte e potesse combattere il sistema industrializzato del fare arte. Credo che l’arte negli ultimi vent’anni abbia perso proprio la bussola del navigare artistico, a parte un certo tecnicismo già da tempo perduto, tanto che Giulio Carlo Argan negli anni ’70 aveva già parlato di morte dell’arte. Quello che invece manca oggi sono i contenuti, il pensiero, sembra che l’arte viaggi andando incontro al nulla. Per questo motivo ho preso una delle opere universalmente grandiose che è “La nascita di Venere” non solo per l’opera eccezionale, ma perché raffigura una bellissima donna idealizzata al massimo. Io l’ho ritratta con l’effige di un volto scheletrico, con il corpo all’interno di un sarcofago, simboleggiante la morte, come morte dell’arte sia come bellezza sia come tecnicismo, sia come simbolismo e a chi ne ha più ne metta. Nessuno dice che bisogna ritornare al passato, ma si sa che l’arte si evolve, ma si evolve sempre all’interno della statura dell’artista, questo oggi sembra che non ha più importanza, e non si vede per il futuro un cambiamento di rotta».

Nel “Sistema tecnico delle arti” Argan aveva scritto: «Allorché penso l’arte come componente di una civiltà che si è chiusa, mi riferisco al sistema tecnico delle arti in relazione con gli altri sistemi tecnici di produzione. La questione a cui una parte di noi storici dell’arte oggi lavora è quella di sapere se e in quale misura i sistemi tecnologici moderni, che sono i sistemi dell’informazione e della comunicazione, dato che siamo passati dalla tecnologia degli oggetti a quella dei Circuiti, avranno, o no, una componente estetica. Questo è quanto si cerca non solo di accertare, ma anche di fare in modo che avvenga, perché gente che sia stata privata degli impulsi creativi e la cui immaginazione sia immobile è gente alienata. Credo che sarai d’accordo, oggi è difficile pensare che un pittore con tavolozza e pennelli possa creare capolavori paragonabili a quelli di Tiziano o Cézanne. Come sistema di tecniche legate al lento e personale rapporto del lavoro artigianale, l’arte ha certamente finito di esistere».

Nel 1980 Giulio Carlo Argan venne intervistato da Tommaso Trini con una conversazione stampata nei “Saggi tascabili Laterza”. «Il sistema tradizionale era un modello basato sulla produzione artigianale con una massima qualità e una minima quantità: poteva essere raffigurato da una piramide con alla base gli oggetti comuni ed al vertice le eccelse forme di espressione artistica, oggi questo modello non è più adeguato. In una società caratterizzata dalla produzione industriale si deve assumere un modello raffigurabile come una spirale di variazioni infinite di prodotti di massa. Il nuovo modello è quindi caratterizzato dal progetto; e se questo è risultato valido per il design, lo si è messo in pratica anche per il prodotto artistico».

Anche se oggi questo neanche sembra più esserci, e guadandoci attorno quello che ci viene mostrato è come se fossimo circondati dal nulla. Lo sforzo che fanno certi critici dell’arte e storici nell’approssimare saggi e testi, si capisce leggendoli, è come se facessero acrobazie letterarie per parlare di cose che, a quanto pare, privi di senso e contenuti artistici, o invece se hanno coraggio cercano di comunicare polemiche. Il critico francese Jean Clair afferma: «Questi ultimi vent’anni hanno visto la moltiplicazione dei musei e degli scritti d’arte moderna. Ma giammai si è dipinto così poco, giammai si è dipinto così male. Pullulano nelle gallerie oggetti eterogenei che di artistico non hanno che i luoghi che li espongono, e forse le parole di chi li commenta. La teoria dell’avanguardia ha trasferito nel campo dell’arte i propositi millenaristici delle Rivoluzioni. La corsa all’innovazione, il perpetuo superamento, sono stati falsamente identificati con la modernità, quando non sono che la caricatura della modernità. Il primato dell’arte astratta imposto dopo il 1945 nei paesi occidentali non è che l’equivalente dell’arte di Stato, che il realismo socialista ha imposto ai paesi sovietici. Essa ha anche comportato la perdita del mestiere dell’artista; il non importa che, il quasi niente, l’informe e il mostruoso, che ci propongono molti artisti, ridanno attualità alla vecchia querelle: che cosa è bello? Nel XX secolo ci sono stati due tipi di modernità: il tipo acclamato da tutte le avanguardie, che, prendendo a modello il messianismo politico (sia del comunismo sia del fascismo), ha preteso di dare l’annunciazione di un qualche Paradiso, proponendo come modello estetico la perpetua rottura della forma e della tradizione» (Jean Clair, Critica della modernità, Allemandi, Torino 1984).

«Dunque è necessario ridare ordine a questo continuo flusso artistico, spesso privo di logica d’arte, interessato solo a un mercato lucroso. Prendere coscienza che l’arte, al di fuori di ogni interesse o partito preso, debba stare vicino alle popolazioni e alla vita stessa, partecipando ai cambiamenti, all’evoluzione, all’educazione, e alla creazione del nostro patrimonio culturale. L’arte, quando si distacca dalla realtà, dalla popolazione e dalle tematiche dell’esistenza, diventa priva di contenuto e quindi non più idonea a comunicare. Mancando di quella forza che da sempre l’ha contraddistinta, essa non può più arrivare alle coscienze degli uomini». (Sante Montanaro, Metamorfosi dell’Iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo, Roma 2011).

Allora ritornando all’opera del Guadagnuolo con la sua “Nascita di Venere” ci vuole portare a riflettere sulla definizione di arte, difficile da definire, forse l’ha trovata Van Gogh che aveva scritto in una delle lettere al fratello Theo, 1879: «A tutt'oggi, non ho trovato miglior definizione dell'arte di questa, L'arte è l'uomo aggiunto alla natura – natura, realtà, verità. Ma col significato, il concetto, il carattere che l'artista sa trarne, che libera e interpreta». Dopo questa frase non ci sembra aggiungere altro.


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La Morte dell'Arte. Considerazioni.

In questi giorni guardavo con interesse la “splendida e terribile” scultura titolata “La Morte dell'Arte” (uso la M e la A al maiuscolo per sottolineare il dovuto rispetto per tali parole) del versatile artista e uomo di cultura Francesco Guadagnuolo, pensando al significativo, diretto e crudo messaggio che essa contiene.

Guadagnuolo, ben conosciuto e apprezzato internazionalmente, anche in questa occasione è andato al dunque in modo chiaro, senza orpelli o tentennamenti, gettando nelle acque di un ipotetico stagno, sempre più superficiale, amato e frequentato da certi asettici ambienti che si autodefiniscono “culturalmente impegnati e preparati”, un “sasso”, consistente in un'opera quanto mai interessante che fa riferimento ad uno dei capolavori dell'Arte, cioè la “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli attualmente conservata nella Galleria degli Uffizi, a Firenze.

Provocazione?

Certamente, ma la ceramica di Guadagnuolo con la sua potente simbologia, non si allinea a quelle sempre più deficitarie “provocazioni” ormai tanto di moda che, grazie ad abili movimenti di mercato, a critici e storici dell'arte e ad altri spesso profumatamente pagati, portano alle più grandi altezze anche comunicative sculture, dipinti e installazioni connesse ad un’illusoria provocazione che personalmente definisco “polvere di niente”.

Come critico d'arte e giornalista – anche se mi sento sempre più “diverso”, ma non sono l'unico – accetto la provocazione allorché fa pensare “con equilibrio” quando è intelligente e non volgare e non casuale.

Chi mi legge, non conoscendomi, a questo punto potrebbe dire che sono troppo severo, ma ribadisco ciò in cui credo e cioè che tutti, indistintamente, devono avere la possibilità di esprimersi e, nel caso della cosiddetta “creatività”, pure di esporre i propri lavori.

Per me è un obbligo morale guardare e ad analizzare con sempre maggiore attenzione la scultura di Guadagnuolo perché noto che, con il passare degli anni, tanta gente ha sempre meno tempo di leggere per i motivi più vari e vedo pure un certo allineamento didattico verso il basso e un’odierna confusione nell'universo dell'arte,

“La Morte dell'Arte” è un'opera che può diventare non tanto un simbolo contro l'ignoranza generalizzata nell'ambito artistico, bensì una vera e propria “luce-messaggio” direzionata verso una collettività imbrigliata dalla “non arte”.

Vorrei esser più esplicito facendo nomi e cognomi di artisti, meglio definirli “pseudo-artisti” in quanto, se li si nomina, usufruirebbero del clamore e della notorietà che cercano a tutti i costi e con ogni mezzo, tant'è che, avvalendosi di un certo potere comunicativo, sono riusciti a fare una sorta di lavaggio del cervello a chi pensa all'erronea dicitura per cui il termine “famoso” va sempre abbinato al “bello”.

Poiché ho visitato mostre personali e di gruppo, guardato sculture d'arredo urbano, frequentato da decenni fonderie d'arte e spazi per la lavorazione del marmo, studi privati, musei e altro ancora, non riesco e non voglio starmene in silenzio, dato che la morte dell'Arte si avvicina sempre più ed è incombente.

Non 'sparo' a vanvera, dico soltanto che oltre a me ci sono altre persone stanche di essere “prese per il culo”. La frase non è volgare bensì pertinente; basta sfogliare un qualsiasi vocabolario di lingua italiana ed alla parola “culo” leggeremo: “Prendere, pigliare per il c., (fig) (…) imbrogliare”.

A quella che chiamo “bellezza/contenuto” – questione non legata alla figurazione o all'astrattismo e argomento troppo vasto per essere trattato in queste mie semplici considerazioni – si va contrapponendo la valanga della malafede e della casualità che, andando a braccetto, stanno recando un diretto danno a chi crede ancora che l'Arte autentica sia un mezzo di crescita intellettuale.

Francesco Guadagnuolo ha simbolicamente deposto nella bara la botticelliana “Nascita di Venere” per dirci dell'estremo saluto che, 'grazie' all'invadente inquinamento artistico, la nostra società sempre più ricca di conquiste, va subendo senza che ci sia un'opposizione.

E allora qualcuno potrà dirmi: “Che ci vuoi fare Lodovico... questa è la vita..., l'arte va avanti e si diversifica! Ci sono i concetti e le idee spesso contano ben più di quel “mestiere d'artista” che c'era una volta e in cui tu, già anziano critico d'arte, credi ancora. Dopotutto a che serve saper disegnare e conoscere, magari, la storia dell'arte e l'anatomia, preparare la base per una tela o per una carta su cui lavorare ad olio o a tempera o ad acrilico, plasmare la creta e saper patinare, scegliere una materia o l'altra...? Ora c'è la virtualità!”.

Senza entrare in merito a classifiche e alla sostanza di qualsivoglia lavoro fatto con onestà intellettuale e passione, è davvero malinconico dover giornalmente assistere sul palcoscenico di quella che dovrebbe essere l'Arte, alla tragedia di una vera e propria decapitazione – o meglio – capitolazione di ciò in cui da sempre si crede.

Dato che vivo in una zona particolarmente attiva nella tematica artistica, anche se ce ne sono altre, per me è inquietante notare opere di alto livello accostate in modo definitivo o provvisorio, a vere e proprie “catastrofi estetiche”, che deturpano spazi esterni o interni, opere compiute da nullità (magari le hanno solo pensate e firmate, facendole fare ad altri), che vengono paragonate, proprio per il plauso di addetti ai lavori in malafede (singoli o collettivi), a certi Maestri, famosi e non, del passato e dell'oggi.

Un'ultima considerazione: oggi è di moda l'apparenza e l'apparire, l'abito firmato – magari bruttissimo ma conosciuto – come pure le altisonanti oratorie di prostituti mentali che non di rado speculano su chi ama sperticatamente la lode.

In più ci sono artisti che dopo aver dato molto all'arte, diventano quasi delle carte riciclate senza più nerbo, copisti di se stessi, elargendo, per la fama acquisita, opere svuotate di contenuto.

In troppi, anche nell'odierno collezionismo, comprano la firma e non l'arte.

E' poi particolarmente “di moda”, considerata la non conoscenza della storia dell'arte, il “copia-copia” particolarmente nella scultura: la presa in prestito di gessi di bellissime sculture greche o romane o michelangiolesche e farle rielaborare al computer, dandole nelle mani di tecnici, ovvero di abili artigiani (ma il grande artigianato è sempre più in crisi, scarseggia la manodopera giovane, il ricambio), copiarle mutandone la materia, magari aggiungervi segni e segnali.

Lo sprovveduto, e ce ne sono, sarà sicuramente attratto dall'insieme... e comprerà.

Un'altra 'moda' è quella di andare in una discarica di marmo e caricare un camion di scarti della lavorazione, aggiungervi gessi e forme rotte, non più utilizzabili, buttate via da una fonderia ed ecco la nascita di un'opera d'arte, poi collocata in una sede di prestigio.

Se la sede è conosciuta, un museo o una chiesa dismessa, una galleria nota internazionalmente, allora in tanti casi la mostra è considerata “bella, esaustiva, interessante”, e la qualità va a farsi friggere.

Cosa posso dire di più?

Capirà, la gente, il messaggio di Francesco Guadagnuolo?

Lo spero. Io sono con lui e se saremo in tanti a pensarla in modo simile, “la morte dell'arte” potrà attendere e forse scomparire.

 

 

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