Vito Mauro, "La luna crollerà" (Ed. Thule)

di Dorothea Matranga

 

Il motivo del viaggio e del viaggiatore che intraprende un cammino impervio è una delle metafore più presenti nell’immaginario collettivo occidentale. In tal senso la vita, intesa come “cammino” o “pellegrinaggio”, la troviamo nel mito di Ulisse e nel simbolismo di Dante, nell’allegoria del cammino che ogni buon cristiano e l’umanità intera devono compiere moralmente. Una vera e propria introspectionem in itinere è la silloge di Vito Mauro dal titolo “La Luna crollerà” ed Thule 2012 con prefazione di Tommaso Romano con l’immagine di copertina del maestro Pippo Madè “la vecchia casa…” tecnica mista, cm 35 × 50 e foto in quarta di copertina di Vito Mauro, Pippo Madè e Tommaso Romano.

Iniziamo l’analisi sul testo di Vito Mauro con le stesse parole del poeta: -Si prova piacere per il successo di un’altra persona, solo quando si ama-spero di essere amato-parole che a nostro parere critico già contengono un bisogno d’amore, un vuoto da colmare, la necessità non certamente di un amore comune, ma un amore amorevole come lo definisce lui stesso nel porgere a chi leggerà, già a monte della lettura, la sua gratitudine, il suo affetto, il ringraziamento per quelli che stoicamente avranno la pazienza di leggere, e noi aggiungiamo di assaporare le liriche che non sono comuni liriche o banali, ma che anzitempo, in questa prima fase di sbucciatura del frutto, le definiamo originali, non acerbe, molto coinvolgenti e particolarmente invoglianti per l’intelligente lettore che si sentirà quasi attratto da esse come una calamita, nel cercare di interpretarne il senso palese ma anche il cuore della trama, il senso nascosto e intimo, per uno spogliare il nocciolo dalle parole stesse, per trarne il contenuto prima singolo, e poi unitario, pregnante di significante e significato. È proprio questo che ci proponiamo di fare in questo bel viaggio, dove non mancheranno le soste per un attento riguardo al poeta, ma anche per una chiave di lettura, che alla fine dia un quadro completo della comprensione totalitaria dell’opera. Proseguendo in tal senso, notiamo che la prima lirica non ha il titolo, ma contiene un termine che per noi non è il titolo stesso, inserito a piè di pagina, bensì una vera e propria firma “La poesia”.

Quindi la poesia si personifica, prende forma umana, diventa una antropomorfica entità, capace di presentarsi e presentare l’opera. La poesia stessa spiega che l’uomo che legge, che interpreta la poesia, esaminando il testo ed osservandolo, che pensa, riflette, scrive, è un uomo libero. Asserisce anche che la poesia vince la solitudine, perché è capace di essere la trait d’union tra ciò che si scrive e l’intimo che scaturisce dal pensiero, atto maieutico d’ambiente socratico-platonico del soggetto che pensa, trova la verità dentro sé stesso, la tira fuori, tirando esso stesso fuori dalla solitudine, quando dopo l’atto riflessivo c’è l’atto del cedersi alla comprensione degli altri. La poesia è alito divino. Così la identifica la Musa stessa della poesia Calliope, e anche il poeta Vito Mauro. La poesia percorre lo spirito della coscienza che vaga nei pensieri della mente, dice il poeta, e come un aereo approda planando sul foglio del sognatore.

Ecco quindi che il viaggio è inteso anche come cammino all’interno della singola lirica. Le liriche assumono l’aspetto di vere proprie stazioni, dove a ogni viaggio, sul treno, salgono il poeta e il lettore, che faranno una parte di cammino insieme sino alla successiva fermata, per tante soste fino al completamento del viaggio. Il poeta, Vito Mauro, nel suo excursus poetico, ricorre alla logica stoica, con i tre momenti della ricerca. Il primo momento è la ricerca della verità per mezzo della sensazione, metodo della rappresentazione della realtà.

Nel secondo momento c’è l’assenso al giudizio con cui l’intelletto ritiene veridica la rappresentazione. Infine nel terzo e ultimo momento si giunge all’evidenza per una catalettica comprensione logica intera e definitiva del pensiero. Scorrendo agevolmente con lo sguardo le liriche rimaniamo sorpresi dall’alternanza del tratto fine a quello in grassetto, a cui il poeta affida il dispiegamento dei termini nei versi. Molto evidente e abbondante è l’uso del grassetto, che talvolta delinea e definisce l’intera lirica, se pur, poi il tratto è alleggerito nel titolo.

Altre volte il poeta rimarca soltanto alcune consonanti, o piccole porzioni, esili comparse che appaiono come profonde marcature, evidenziando l’alternanza di tratti lievi e gravi. Come la musica di un pianoforte, a volte il tono è grave, altre volte più leggero e soave per rendere tragico o leggero e felice il pensiero o fonema. Come se il poeta stesso, nello scrivere le liriche, compone prima la musica e poi, diventando pianista mostra la bellezza dei versi. Compositore e pianista è il poeta Vito Mauro che ci consegna in tal modo poesie degne di chiamarsi tali. Il prestigioso prefatore Tommaso Romano, definisce la qualità dei testi di Vito Mauro come sgorgate da una fonte purissima, grazie ad una ispirazione genuina e sincera, senza veli di ipocrisia, pieni di autenticità disarmante, senza apparenti eccessi esteriori. E siamo concordi con questo pensiero, definendo l’autore un poeta schivo e pensoso, assorto, riflessivo, sobrio, essenziale, che punta al nocciolo, anche se vela e non svela subito, anche se l’apparente semplicità e connotazione del pensiero intimo, sembra evidente e subito intuito, ma il lettore accorto sa riconoscerne anche la complessità della riflessione e il contenuto segreto dei versi. Ebbene questo per noi è un aspetto che senza dubbio esiste dentro le liriche di questo autore. Il dualismo velo-svelo, chiaro-opaco, è evidente, perché c’è un sottofondo che rimane ancora inesplorato, contenuto nell’ultimo cassetto come nelle scatole cinesi, contenuta l’una dentro le altre. Notiamo che i temi sono i più svariati del sentire umano. Nulla è tralasciato dall’autore. Nessun angolo emozionale rimane inesplorato ed escluso dalle sue riflessive attenzioni poetiche. Come è nostra consuetudine, dopo avere notato la piccola frase d’esordio alla silloge “A chi rifulge in cielo, a chi si distingue sulla terra” che delinea chiaramente una dedica della silloge a chi emana una luce intensa in cielo, e a chi si distingue in terra.

Un angolo-giro che comprende tutta la dimensione umana. Colui che sulla terra ricerca la distinzione, e nel distinguersi splende di luce propria sulla terra come un sole, differenziandosi dalla fiumana dell’indistinto, e fuggendo il nichilismo di una società che tende al naufragio. Compreso nel cerchio c’è anche la complementazione di chi ha lasciato questo mondo, chi ci ha preceduto, continuando con la sua aura a rifulgere in cielo. Una visione teologica di fede intensa. Di affidamento al divino sentire non solo del poeta stesso, ma di tutta l’umanità che nutrendosi di Parusia, e di trascendentale, qui sulla Terra prepara l’aratura del campo dove dopo la semina, seguirà un buon raccolto nella dimensione ultraterrena. L’amore per il suo paese, Ciminna, dove trapelano le incomprensioni tra gli uomini, le gelosie, gli odi, i rancori, gli egoismi che emergono è palese nella lirica “al mio paese”. Il poeta vuole portare la vera cultura nel suo paesino, artisti e poesie, libri e letterati. Un amore grande per il luogo natio quello di Vito Mauro, che ha radici ancora forti nel suo cuore. Altro tema interessante che investe come un vortice molte liriche è la solitudine. Lo ritroviamo nelle liriche “cantasud 75”, “solo”,“ solitudine”, “nella mia stanza”: eppure mi sento solo/la solitudine mi opprime/sono solo/solo, piano piano mi risveglio/date una compagna a quel guardacampo di paglia/solo, qui nella mia stanza/. La speranza la ritroviamo come tema nelle liriche “speranza”, “arriverà quel dì che ti troverò”, “la vita è un’attesa”. L’illusione è contenuta nelle liriche: “Mai no”, “illusione”, /non dire mai no a chi hai fatto capire sempre di si /uccello senza ramo, non ti posso aiutare/. L’attesa è contenuta nella lirica: “attesa” /il sonno tarda a venire, i pensieri si accatastano/. La solitudine pesa come un macigno sul poeta, che soffre tale condizione umana, non perché gli manchi l’indipendenza o il vigore. Perché sente il vuoto amoroso, la mancanza di completezza, la consapevolezza di essere come l’uomo Adamo senza la sua costola, la donna, Eva, se non incontrerà l’amore vero.

Lui la cerca, anela l’incontro, il battito del cuore, la sensazione di due cuori che battono all’unisono, un solo sentire in due, parola ed eco-eco e parola, in un compenetrarsi e completarsi, complementarsi a vicenda, nel diventare un tutt’uno nell’amore. Ecco il tipo di solitudine che il poeta lamenta senza parlare, senza battere ciglio, nel suo intimo. Un grido interno che urla nel silenzio. Cerca nel buio di trovare la luce. Nella luce ricerca l’ombra, il buio dove può nascondersi il suo amore. Una ricerca infinita, instancabile, ma l’animo del poeta non si svilisce perché la speranza è più grande dell’illusione. Nel silenzio interiore il poeta parla con sé stesso, ascolta quel vuoto, lo esalta, lo ingigantisce, si sente pervadere come da una malattia, ma non può fare a meno della malattia stessa, un bisogno dello spirito di completarsi con la propria metà. Poi un giorno accade il miracolo, “il colpo di fulmine” /l’ho vista, mi ha visto/e nella lirica “se fossi” chiarisce il suo pensiero: /vorrei essere un oggetto della tua stanza /. Anche nella lirica “farfalla” il poeta si scopre e si svela: /una farfalla bellina ma non quanto lei / ecco sembra che la possa toccare/. Interloquisce con il suo amore, ancora prima di rivolgerle la parola. Lo mostra nella lirica “il fiore” /l’amore è un fiore, non sradicarlo /. Poi arriva il giorno tanto atteso, all’appuntamento il poeta giunge in ritardo nella lirica “La Martorana” dove chiede scusa alla sua donna /sarebbe ora di chiederti scusa /. Nella lirica “ti amo” il poeta riflette sul pensiero che non tutti sanno che l’amore vero esiste davvero: /non tutti lo sanno! /Riflette anche sul concetto di tempo: /Che ora è? Ancora un poco, ci potremo telefonare, ci diremo tante cose /. Ancora il concetto di tempo nella lirica “non è sempre gennaio”: /giovane non è sempre gennaio! il tempo passa anche per te/. Ancora amore nelle liriche “amore 1” “amore 2” amore 3” “desideri” dove il poeta, con brevi ma intense liriche, spiega cosa sia l’amore. Un’altra ha per titolo il numero “3” che rappresenta il triangolo della vita, nascita-crescita-morte: /dall’ultimo triangolo si nasce (grembo materno), con il dogma della trinità si cresce, nel mistero del tridente si muore (tridente come simbolo di punizione per il male commesso). C’è da mettere a fuoco, dal punto di vista critico l’amore del poeta per Montale.

Nella lirica “a Montale” l’autore si esprime così: /la tua parola così stenta e imprudente resta la sola di cui mi appago/. Ecco svelato l’arcano modo di condurre il filo poetico da parte del poeta, che si sdoppia nel dualismo ermetico-aperto, e solo in apparenza distinto, di facile interpretazione.

Nella seconda parte della silloge le liriche cambiano volto, assumono dei toni pieni di nostalgia, di rammarico, di delusione, espressi nelle liriche “essere”, “chiamami”, “messaggi”, “vorrei”, “la voce”, “delusione”, “realtà”, “perché”, “letture”. La dolorosa consapevolezza che l’amore può sbiadire, diventare tiepido, allontanarsi. Nella lirica “mendicante d’amore” il poeta si esprime così: /uno sguardo, una parola, un bacio, che ti costa? /bella voce, percepirti e comprenderti è un incanto /io che mi ritrovo in ogni pagina che leggo /non ci sono riuscito e mi arrendo /impossibile sei, inottenibile per me /. E ancora liriche dedicate ai sogni, ai propri cari, ai ricordi, ai diritti umani, alla falsità, al bene e al male. Una grande testimonianza di fede è contenuta nella poesia “ai miei” dove c’è la certezza che i propri cari, ormai passati all’altra vita si sono ricongiunti con Dio: /quando chiudo gli occhi e vedo la luce, vedo lui /. C’è in molte liriche un’eco della parola ripetuta quasi ossessivamente, quasi a volere imprimere la sensazione a sé stessi innanzitutto, e poi al lettore. Una tra queste è la poesia “rassegniamoci” dove il termine rassegniamoci, riferito all’intera umanità, echeggia a lungo trascinandosi tra i mali del mondo, dove gli uomini appaiano inevitabilmente imbrigliati nella rete del non senso e del non essere, della non vita, e dei non valori, per poi come ultima parola, finire con un termine tonante che inneggia al risveglio e allo scrollamento da questo fiume di melma, che ha pervaso il mondo, ed è crollato in testa all’umanità.

Dopo la lunga sfilza di ripetuti “rassegniamoci” il poeta grida “reagiamo”, come a voler dire svegliamoci, possiamo farcela. Nella lirica “una storia romantica” il senso del viaggio compiuto all’interno della silloge diventa completo, pieno di veridica consapevolezza, di avere nella nostra analisi critica, saputo leggere adeguatamente il pensiero e la poetica dell’autore. La poesia, quasi una prosa, traccia l’intero cammino della storia d’amore con i suoi iniziali stimoli amorosi fino alla sua quasi completa estinzione: /mi accontenterò di respirare con gli occhi /notte di rinunce /museruola d’oblio /. A prova della nostra lucida interpretazione, la silloge si chiude con “fiducia nell’attesa del giudizio” (salmo 75) dove è contenuta la speranza nel credere nel Maestro creatore: /mai aver paura / ce ne renderemo conto /. La silloge si conclude con una specie di aforisma intitolato “visione” /sotto il sagrato di pietre abbrutite ti illumini e ti riveli /. Il poeta mostra la via, svela il segreto della Rivelazione.

Ci illumina sulla luce di Dio che alla fine dei tempi, quando della chiesa rimarrà solo un mucchio di pietre abbrutite, verrà il giorno del giudizio, e apparirà in tutto il suo splendore. Forse dentro questo concetto è contenuto il messaggio della povertà della dimensione umana e terrena, della carne corruttibile, della materia soggetta inevitabilmente al degrado e alla distruzione, dell’elevazione del concetto spirituale. Lo spirito immortale che prevale sulla materialità terrena, mortale e degradabile. Una riflessione filosofica sulla ineluttabilità della fine dei tempi, e della vittoria finale di Dio creatore, nel trionfo della verità e della giustizia sul male, sulla cattiveria e falsità. Un trionfo della luce sull’ombra e buio terreno. Lo svelamento del significato interno della silloge e dell’immagine di copertina è la fine di questo bel viaggio contenuto nella lirica “La Luna crollerà” omonima al titolo della silloge: /il sublime corpo resisterà e io sarò con te /solenne risalirà, e io sarò con te /. La sublimazione del corpo è la trasfigurazione e l’ascesa dello spirito che si ricongiunge con l’Amore divino. Un messaggio escatologico già compreso in copertina, sia nel titolo della silloge che nel disegno del Maestro Pippo Madè, dove è possibile cogliere la magia eterna e infinita della luna che da sempre a tutti fa sognare. Il crollo della Luna non è altro che la fine dei tempi, quando trionferemo tutti nella Fede in Dio e nella rinascita di un mondo spirituale ed eterno.

Quindi il viaggio si conclude nella Bellezza divina, nell’estetica suprema dell’estasi raggiunta dopo una catartica pioggia che lavando il peccato toglie l’arsura con l’acqua fresca della Fonte divina. Un poeta, Vito Mauro, che oscilla secondo il nostro parere critico tra l’ermetismo e la voglia di svelamento della sua poetica. Un voler rendere nobili le liriche, più preziose a coloro che come lui stesso afferma “lo ameranno”. Quelli che avranno il desiderio di capirlo fino in fondo, di decifrare il messaggio nascosto, decriptandolo e mostrandone il codice segreto. Una qualità delle liriche che definiamo superba, per la completezza dei svariatissimi temi contenuti nella trama poetica. Un lirismo a volte sobrio, a volte complesso. Una musicalità particolare e originale nella ripetizione dei termini. Un tratto a volte forte e deciso, sicuro, a volte volutamente alleggerito e leggiadro. Le liriche sono delle vere e proprie oasi, che nell’insieme non conducono alla fine del viaggio a un deserto, bensì a una grande oasi trascendentale e divina.

Una silloge molto originale, un contenuto intenso, ricercato, per molti versi elegiaco, per altri sofferto e doloroso che poi conduce dopo un lungo cammino a un finale stupendo. Un autore che definiamo oltre che poeta sopraffino, un grande estimatore dell’animo umano, un raro cultore della vera, intima spiritualità.

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