Tommaso Romano, "In Natura Symbolum et Rosa" (Ed. Thule)

di Giovanni Teresi
 
 
La bellezza in quanto proporzione, armonia, unità nella molteplicità, è il messaggio che il Prof. Tommaso Romano dà nella sua opera letteraria “In Natura Simbolum et Rosa”, bellezza che è connessa anche al problema della teodicea come in Agostino e in Leibniz. C’è una affinità filosofica di T. Romano con quanto asseriscono alcuni grandi saggi.  
Infatti, il valore estetico o poetico del bello diventa dominante nelle meditazioni settecentesche e diventa tema centrale della Critica del Giudizio di Kant, ove la bellezza della natura, fuori dall’ambito dell’arte, diventa un concetto indipendente, che si realizza negli elementi della realtà che possono essere cose, piante, fiori, animali, paesaggi, ma anche persone, atti mentali o morali di esse.
In Kant il sentimento del bello è legato al sentimento del sublime, strumento di percezione della perfezione e del senso del mondo, di cose belle o brutte, quindi chiave di accesso alla perfezione misteriosa del cosmo e di Dio.
In questo senso, la bellezza, in quanto armonia e proporzione cosmica, diventa una delle chiavi di interpretazione comuni alla filosofia e alla scienza, entrambe tese verso la ricerca della semplicità di un principio, l’una attraverso il linguaggio metafisico della trascendenza, l’altra attraverso il linguaggio della matematica e l’interpretazione delle leggi naturali in termini di ordine, coerenza ed unificazione.
«la natura ama la semplicità… ama l’unità… nulla vi è in essa di ozioso o di superfluo… la natura sceglie sempre, per le sue operazioni, la via più facile.…» (cfr. Opera Omnia, vol. I, pp. 112ss) Keplero.
Nel saggio ”In Natura Symbolum et Rosa”, si dispiega la chiave interpretativa dell’autore per capire l’essenza della vita e del cosmo.
T. Romano ci fa comprendere come non solo i simboli spesso ci accompagnino nel cammino della vita, ma ci evidenzia il fatto che il mito attualizza l’eterno e ci aiuta, socraticamente, a scoprire la verità che è in noi. Razionalità e intelligibilità della natura sono i cardini della semplicità a cui Aristotele si collega.
In una pagina della Metafisica, Aristotele risponderà ad alcuni filosofi i quali negavano che la matematica potesse parlare del bene e del bello. Egli replica che, se in apparenza la matematica non parla del bello, in realtà essa considera proprio quelle che sono le supreme condizioni e le forme del bello: «Le matematiche parlano del bene e del bello e li fanno conoscere in sommo grado: infatti, se è vero che non li nominano esplicitamente, ne fanno tuttavia conoscere gli effetti e le ragioni […]. Le supreme forme di bello sono l’ordine, la simmetria e il definito, e le matematiche le fanno conoscere più di tutte le altre scienze» (XIII, 3, 1078a 32-39).
La riflessione sulla bellezza è carica di una dimensione fortemente personalistica.
Già con Pitagora o con Platone si dovrebbe dire che l’attrazione estetica ha rappresentato una delle principali radici di ogni attività speculativa e che una parte considerevole di ogni impresa intellettuale è dominata da una “passione estetica” piuttosto che da un freddo e distaccato interesse di tipo razionalista.
Secondo una certa corrente psicologica, tutta la ricerca di bellezza nelle arti creative e nello studio della natura sarebbe in fondo governata dalle medesime leggi mentali. In un simile approccio di tipo idealista, la bellezza, l’esistenza di simmetrie, di leggi e di relazioni sarebbe solo il risultato della nostra “macchina cerebrale”. 
Leggendo “In Natura Simbolum et Rosa” si nota il  lavoro certosino sulla visione cosmopolita del mondo e dell’universalismo filosofico che T. Romano ha svolto dopo anni di fatiche e di ricerche, perché questa opera pone una grande domanda dell’uomo sul suo destino e l’auspicio che l’umanità, in questi tempi di crisi, possa rigenerarsi integrandosi davvero con la natura.
Sorprende l’enorme quantità di processi naturali che sono descrivibili in termini di “frequenza”, cioè come fenomeni che ammettono un’analisi in cicli. Attraverso il ritmo la natura è capace di produrre il nuovo da ciò che sembrerebbe sempre uguale ed il complesso da ciò che è più semplice. In una simile concezione, alla quale certamente plauderebbero Pitagora, Grossatesta e Keplero, l’universo intero può essere in fondo visto come una composizione musicale cosmica, che la scienza deve decomporre per comprendere e spiegare, e poi ricomporre al momento di operarne le sue applicazioni.
Dimensione estetica e dimensione religioso-esistenziale della natura sono fra loro legate anche in una pregnante considerazione di Henri Poincaré: «Lo scienziato non studia la natura perché sia utile farlo. La studia perché trova piacere nel farlo; e vi trova piacere perché la natura è bella. Se la natura non fosse bella, non sarebbe meritevole di essere conosciuta, e neanche la vita sarebbe meritevole di essere vissuta...» (cit. in S. Chandrasekhar, 1979, p. 25).
 Le capacità della ragione, il fascino e la gioia intellettuale, ed il desiderio di adorare, hanno costituito, per alcuni scienziati, passi successivi di un’identica linea ascendente.
 L’esperienza di un uomo di ricerca di fronte alle meraviglie della natura non è inferiore a quella provata di fronte alla bellezza di una teoria o di un esperimento, particolarmente riuscito, da lui ideato: fra queste due esperienze di bellezza è impossibile operare una precisa separazione.
 Per Van den Beukel, «la scienza, l’arte e la religione, si occupano tutte del mistero dell’esistenza umana, di quanto lo circonda e delle loro reciproche relazioni» (De Dingen hebben hun geheim, Baarn 1990, p. 131).
In Natura Simbolum et Rosa l’autore lancia un messaggio non solo a noi ma all’umanità intera e mentre l’uomo di oggi si affanna a distruggere ciò che la natura ci ha donato, Romano ci fa comprendere la relazione tra uomo Dio e cosmo, trovando l’armonia ed il punto di convergenza sia nell’afflato della natura che nella rosa quale simbolo cosmico esemplare.
 La scienza è parte della cultura, tanto quanto lo sono l’arte e la religione. Esse non vanno considerate estranee o nemiche , ma devono piuttosto sostenersi e stimolarsi l’un l’altra.
Che ciò sia possibile, lo mostra proprio la storia della scienza e la portata che in essa hanno avuto i criteri di bellezza, semplicità ed eleganza. Non sorprende pertanto che questi tre diversi ambiti, supposti erroneamente separati, possano intrecciarsi anche nei loro “giochi linguistici”:
«La cultura reclama delle opere di una grande bellezza... la poesia che non contiene alcuna parola superflua… le equazioni di Maxwell, eloquenti gioielli di bellezza matematica… la semplicità, riscattata dai fenomeni caotici, nella quale Newton riconosceva la semplicità del Creatore. Meraviglie che fanno meravigliare l’uomo» (Baarn ibidem, p. 174).
Il libro In Natura Simbolum et Rosa, rosa simbolo di delicata bellezza, è scritto con stile semplice  e diretto, mostra al lettore quell’equilibrio interiore non comune con cui Tommaso Romano, da vero maestro di vita, offre un itinerario educativo per una vera simbiosi fra l’uomo e l’ambiente.
“è proprio perché siamo gettati nella storia che dobbiamo coltivare il nostro giardino.” (Robert Harris nel suo libro “ Giardini. Riflessioni sulla condizione umana ”)
 Infatti piantare, coltivare è un segno di vitalità che vuole inverarsi in un fiore in un frutto in una pianta, coltivare la terra è una forma di cooperazione con la natura.
“La natura non fa nulla invano, e da dove deriva tutto l’ordine e la bellezza che vediamo nel mondo?”(Opticks, 17304Query 28, tr. it. Torino 1978, p. 576).
Un esempio contemporaneo di come la domanda sulla bellezza sia sopravvissuta fino ai nostri giorni ci è offerto dal fisico Henri Margenau, che sottolinea la problematicità di poterla sbrigativamente risolvere in termini di casualità o di lotta per la sopravvivenza, i due paradigmi più spesso utilizzati per dare ragione delle forme e delle varietà osservate in natura: «Perché c’è tanta bellezza nella natura? Noi non crediamo che la bellezza stia solo nell’occhio dello spettatore. Alla base delle esperienze di bellezza, o almeno di alcune, ci sono dei caratteri oggettivi, come i rapporti fra le frequenze delle note di un accordo maggiore, la simmetria fra le forme geometriche, il fascino estetico della giustapposizione di colori complementari. Nessuno di questi ha un valore di sopravvivenza, ma tutti sono frequenti in natura, in una misura pressoché incompatibile col caso. […] Noi ammiriamo l’incomparabile bellezza di una foglia d’acero in autunno, col suo rosso intenso, le nervature azzurre e i bordi dorati. Si tratta per caso di qualità utili alla sopravvivenza quando la foglia è in disfacimento?» (Il miracolo dell’esistenza, Roma 1987, p. 44).
In Natura Simbolum et Rosa è un testo per riscoprire l'armonia riconciliante di ogni essere al Creato, con ogni specie vivente, con le cose apparentemente inanimate con un respiro cosmico di autentica unità spirituale; un testo ove i miti, la storia, la filosofia, l'arte, attraverso un viaggio simbolico fra alberi, fiori, giardini, orti botanici, piante, specie officinali e succulente, fiori confluiscono con la bellezza assoluta della rosa.
Nella teologia contemporanea è in corso da vari anni un processo di rivalutazione del trascendentale del pulchrum, come carattere proprio della rivelazione divina e via di accesso a Dio, specie, in ambito cattolico, con H.U. von Balthasar (cfr. Gloria. Un’estetica teologica, 1961-1965).
La bellezza viene messa soprattutto in rapporto con la Gloria (eb. kabod Jahvè), di cui il creato è manifestazione; Gloria che costituisce anche l’appello primario alla conoscenza che l’uomo può avere di Dio, perché epifania della sua intima natura ed estasi che lo rapisce invitandolo a partecipare della vita divina.
Nell’opera di T. Romano si apprezzano un ricco florilegio di decine di citazioni di autori sul rapporto uomo, arte, natura, paesaggio,  che sicuramente non solo ci invitano ad una riflessione sull’ambiente ma ci stimolano ad un rapporto nuovo con l’ecologia che possiamo definire, con un concetto moderno la casa dell’uomo sulla terra.
 
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