Tommaso Romano, “Alchimia della polvere – Aforisminattuali con Autoritratto feroce” (Ed. All’insegna dell’Ippogrifo) – di Isabella Michela Affinito

Se il motivo non è da attribuirsi alla delineata elegante immagine maschile, in prima di copertina, dal tipico abbigliamento dell’Ottocento Romantico alla Franz Liszt ungherese, alla lord George Brummell dell’Inghilterra piuttosto che ad Alessandro Manzoni dell’Italia non ancora unita o alla Marcel Proust della Francia o ancora alla Johann Wolfgang Goethe della Germania, allora può essere stato proprio l’altisonante nome dello scrittore irlandese, Oscar Wilde, anch’egli contemporaneo dei sunnominati, scovato tra le pagine dell’Autoritratto feroce (pag.82) del presente volumetto – perlopiù di aforismi del professore anche universitario e d’Accademia di Belle Arti, direttore dell’edizioni Thule e fondatore della Thule Cultura di Palermo, Tommaso Romano –  a mettere in luce quantomeno un’arteria di collegamento col Ritratto di Dorian Gray, titolo della celebre romanzo di Oscar Wilde pubblicato nel 1890.
«[…] Quel ritratto sarebbe stato per lui il più magico degli specchi. Come gli aveva rivelato il suo corpo, gli avrebbe rivelato la sua anima. E quando per il ritratto fosse arrivato l’inverno, lui sarebbe stato ancora dove la primavera trema prima dell’estate. Quando il sangue fosse sparito da quel volto, lasciandosi dietro una pallida maschera di gesso con gli occhi pesanti come il piombo, lui avrebbe conservato ancora lo splendore dell’adolescenza. » (Dal volume 24 monografico Oscar Wilde Opere Collana I Meridiani Collezione, supplemento abbinato a un periodico dell’Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. di Milano, Anno 2005, pag.119).
Pertanto, dopo l’assortito suo repertorio aforistico il professore Tommaso Romano ha tolto il velo a sé stesso, entrando nel vivo della descrizione del suo essere stato dapprima creatura prodigio – a sedici anni fondatore della casa editrice Thule – in seguito uomo filosofo, letterato, amante dell’arte, della privacy, della lingua italiana non inquinata dagli anglicismi, del credo cristiano, della cortesia d’una volta, della solitudine, idealmente apolide, delle ore di sonno ridotte all’essenziale, della cultura sapienziale d’Oriente e d’Occidente, classica, ermetica e alchemica e quella detta impropriamente pagana, per sembrare, a torto, dinanzi agli occhi dei più anche demodé. E, forse, è proprio quel sottile senso d’estraniamento verso il tempo attuale pregnante la corteccia della personalità anarca dell’autore Romano ad avvicinarlo al fascinoso estetismo wildeiano della fine del secolo Ottocento, annunciatore della corrente del Decadentismo.
Nel Ritratto di Dorian Gray il colpo inferto col pugnale dallo stesso Dorian al quadro che lo ritraeva, dalla perfetta fisionomia d’uomo sempre giovane e bellissimo, gli procurò per riflesso la morte istantanea trasfigurandolo totalmente nelle sembianze; all'inverso, nell’Autoritratto feroce di Romano i ‘colpi’ ripetuti da lui sferzati nello scolpire scrupolosamente la sua immagine dinanzi allo sguardo di noi lettori non hanno svolto azione demolitrice, anzi la stessa forza di michelangiolesca derivazione profusa nella parola hanno consolidato l’uomo (dal forte timbro mercuriale) letterato qual è, l’inseguitore della scia luminosa del sapere universale travalicante lo spazio, il tempo e le mode.
«[…] Ciò che è natura e naturale, mi intriga, mi coinvolge, mi stupisce ancora, a volte, e lascia tracce permanenti nella memoria. Non ho preferenze esclusive per mare, boschi, montagne, pianure, colline: ciò che è variegato mi interessa e mi appassiona, tenendo conto che i paesaggi antropici li ha ideati e costruiti l’uomo e sono parte della civiltà, ora in pericolo. È meglio se goduti in scelta compagnia o in non sempre cercata solitudine. Tuttavia, meglio soli, come dice il proverbio, che male accompagnati!
Amo la mia e l’altrui riservatezza, non voglio raccontare al primo incontrato i fatti miei e non voglio stare a sentire i suoi. Non gli interessano probabilmente i miei e non mi interessano certamente i suoi, anche per economia di tempo. Mi piace ricordarmi un aforisma di Karl Kraus: “Io evito di impicciarmi dei miei fatti privati”. » (Pagg.84-85).
In pochissimi, credo, sarebbero stati capaci di descriversi coi propri pregi e difetti come ha fatto il professore Tommaso Romano, non badando ai giudizi degli altri quale probabile contraltare all’esamina di sé stesso.
Dicevamo che la sua è una personalità dal forte timbro mercuriale in riferimento, soprattutto, all’elemento Aria del piede alato del dio Ermes-Mercurio, inteso nella libertà di non dover o voler assumere per forza una ‘forma’ prestabilita dalle norme sociali e, quindi, il comportarsi secondo i modi di fare della massa a cominciare dai diffusissimi contatti via social, di cui l’autore ne fa uso altamente moderato.
Inoltre, l’atletico dio Mercurio fungeva da trait d’union tra cielo e terra nel trasmettere i messaggi degli dei ai mortali, e questo era un porre in relazione due realtà differenti, due dimensioni separate tra loro, per cui ci voleva l’abilità divina di Mercurio per correlarle e i neologismi creati dal professore Romano, quali Cosmovisione, Mosaicosmo, mitoteoretica, etc., costituiscono dei veri e propri fili conduttori tra questo mondo e quello da lui agognato/immaginato.
«[…] Nella mia insaziabile voglia di cultura trovano posto ed interesse critico, spiritualismo e materialismo, idealismo e romanticismo, idea di progresso e necessità di regresso, utopia e realismo, rivoluzione, reazione e controrivoluzione: la polifonia della sintesi la faccio io.» (Pag.90-91).
Nell’apprezzare l’ampia sezione aforistica del professore Tommaso Romano, poi, si percepisce la grandezza sua di vedute in tutte le direzioni; il suo sterminato panorama interiore l’ha riversato in più o meno brevi locuzioni che non vogliono in assoluto determinare qualcosa, ma spandere lo spirito personale dell’uomo fuori del tempo per rimanere in ogni tempo di ieri, di oggi e di domani.
«I gusti di massa sono ingombranti insulti al solenne gusto individuale, il solo che può sperimentare uno stile autentico che, infatti, ci costerà caro.» (Pag.43).
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