Montanelli visto da molto vicino nel libro: “Un italiano contro. Il secolo lungo di Montanelli” edizioni Solferino - di Giuseppe Massari

Vent'anni fa ci lasciava Indro Montanelli, nome completo Indro Alessandro Raffaello Schizògene Montanelli, il giornalista che ha attraversato tutto il Novecento e lo ha raccontato a lungo con la sua verve, il suo piglio intelligentemente polemico e controcorrente. Un tempo non trascorso invano, se, oggi, si continua a parlare e a scrivere di lui, come indiscutibile maestro, sotto il profilo professionale, umano e caratteriale; del suo modo di fare giornalismo e di essere giornalista. L’unico titolo che volle fosse ricordato o si scrivesse alla sua morte. Dei suoi molti amici e nemici. Dei suoi eredi professionali. Molti veri, molti presunti, molti falsi, ipocriti. Per la prima volta, ne scrivono in questo libro: “Un italiano contro. Il secolo lungo di Montanelli”, edizioni Solferino, i suoi ultimi direttori, Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, i giornalisti che parteciparono con lui alla fondazione del «Giornale» e della «Voce» e coloro che lo hanno conosciuto da vicino. Il racconto inedito, pubblico e privato, di un protagonista della nostra storia. Nato a Fucecchio nel 1909, che non fu la sua vera dimora, ma dove si conservano i suoi cimeli, i suoi memorabilia: la sua prima e famosa macchina da scrivere Lettera 22, alle lettere dei lettori, cominciò la sua carriera «dentro alla cronaca » nella guerra d'Abissinia. Da allora, tutti i grandi eventi storici lo videro in prima linea: era nella Spagna della guerra civile, in Polonia quando i panzer tedeschi scatenarono il secondo conflitto mondiale, nei Paesi baltici e nella Finlandia calpestati dai carri armati sovietici. Nel 1943 venne arrestato e condannato a morte dai repubblichini. Fuggito dal carcere, riparò in Svizzera, dove subì l'ostracismo dei fuoriusciti. Finita la guerra rientrò al «Corriere della Sera», dove con i suoi reportage, le sue interviste e i suoi libri di divulgazione storica si guadagnò la fama di giornalista più amato e più contestato d'Italia. Era tra i pochi conosciuti anche oltre confine. Quando la sua carriera sembrava giunta al termine, fondò e diresse due giornali, senza mai rinunciare alla sua indipendenza e al ruolo di bastian contrario. Negli anni bui della Prima Repubblica venne preso di mira e gambizzato dalle Brigate Rosse; addirittura si racconta che il suo gambizzatore, Franco Bonisoli, volle che fosse riaperta la bara, perché voleva salutarlo per l’ultima volta e lo fece accarezzando il volto del giornalista e sul registro scrisse: “Grazie, Indro, grazie di cuore di tutto. Con affetto”. Alla fine, tornò a occupare la sua stanza al «Corriere della Sera», il giornale che aveva sempre considerato come la sua «casa». E’ stato colui che ha fatto la storia del giornalismo italiano, ma è stato, anche, colui che ha scritto diversi volumi della storia d’Italia, in collaborazione, a quattro mani con Mario cervi e Roberto Gervaso. E’ stato l’uomo della fermezza, che gli deriva dalla sua franchezza tutta toscana. Non era un credente, ma si guardava bene dal criticare la Chiesa. A tal proposito dichiarò prima di morire:”Io sono un laico, laicone, laicaccio, ma molto interessato a questa faccenda della Chiesa. Che io sento, pur restando con tutti i miei dubbi laici, come una mamma che mi allatta. Fu conservatore e mai progressista nel verbo corrente che, oggi, viene dato a questo termine. Fu un anticomunista sui generis, come anche ed altrettanto nei confronti del partito della Democrazia Cristiana, verso il quale è rimasta memorabile la sua frase, che votava o chiedeva che quel partito fosse votato a naso otturato. Fu l’uomo coraggioso a tal punto da lasciare sorpresi molti osservatori, quando, alla morte di Almirante; disse: Se ne è andato l’unico italiano a cui si poteva stringere la mano senza paura di sporcarsi”. Questo fu l’uomo, il personaggio principe del giornalismo italiano, che seppe scontrarsi anche con chi era ritenuto o si riteneva l’Uomo della Provvidenza, cioè Silvio Berlusconi.  Questo testo può essere considerato una miscellanea dei ricordi di un uomo che rifuggiva la retorica. Io non so quanto questa voglia di vita e di vivere sia stata rispettata, al di là della comprensibile nostalgia e del vissuto che c’è stato tra chi ha scritto ancora oggi di lui e chi avrebbe fatto bene a parlare con lui, perché il miglior ricordo di una persona che non c’è più non è quello di parlare di lui, ma a lui.

 

 

 

 

 

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