Pubblichiamo l'intervento di Giuseppe Bagnasco in occasione della presentazione della silloge di Anita Vitrano "Inseguendo pensieri in voluttà" (Ed. Thule)

   Paul Valery, scrittore e poeta francese, già nel XIX secolo affermava che l’amore consiste nell’essere cretini in due. Una affermazione, certo ad effetto. Ovviamente se Anita Vitrano avesse fatto suo questo aforisma, mai avrebbe potuto scrivere ciò che contiene questa raccolta dal titolo “Inseguendo pensieri in voluttà” edita dalla prestigiosa Editrice Thule. Per comprendere quale messaggio (ogni scrittore quando scrive lancia un messaggio) o meglio quale ricerca la poetessa abbia “inseguito” giusto per parafrasarne il titolo, basta dare uno sguardo alla frase che anticipa l’ossatura delle liriche e che si pone come una dedica :”A colui che plasma la materia grezza in sogni”. Si tratta sicuramente di una ricerca: Chi può trasformare la materia (il corpus) in sogno (spirito) traducendo questa sintesi in un tutt’uno?. Una entità quindi dove il connubio corpo e spirito indossano lo stesso abito. Dalla lettura delle liriche salta agli occhi già la prima considerazione che emerge dalla Vitrano: l’amore. L’amore vero è un eterno ricominciare. Un aforisma dal contenuto certamente di pensiero e quindi filosofico nella sua introspezione. Ma questo ricominciare non ha mai una fine? Per la poetessa, no. Essa afferma che la vita è come un foglio scritto dove alla fine oltre il punto inizia l’eterno. Ma con  un codicillo esclusivo perché la vita scritta nel foglio deve essere vissuta con amore. Questo perché quando l’amore è vero, è indefinibile e pertanto infinito assumendo quindi la connotazione dell’eternità. Ecco perché due innamorati uniti da un amore vero, senza stralci di convenienza o di opportunità, definiscono il loro amore eterno, cioè nel senso che non finisce con la morte ma continua nei loro spiriti. Una spiritualità quindi che si manifesta solo in questa circostanza e che continua (afferma “la Perla dell’Eleuterio”) oltre il disegno terreno dove lo spirito, in quanto tale, tende ad avvicinarsi a Dio. E qui, sulla aurea della sacralità dell’amore, è d’uopo (come scrivevano i burocrati d’un tempo) fare una piccola digressione. La Nostra è una fervente credente che ha sempre cantato le lodi al Signore sia nel coro della Matrice di Misilmeri dove ha vissuto che nel coro della Cattedrale di Palermo città ove è nata e ora vive. Ma per tornare alla singolare dedica “ A colui che plasma la materia grezza dei sogni”, la Vitrano mettendo in paradigma vita uguale materia e amore uguale spirito conclude con l’equazione non c’è vita senza amore come non c’è amore senza vita dove la proposizione principale è la vita e la subordinata l’amore. E d’altronde nella sua etimologia la parola amore, se ben si analizza con minuzia certosina, si potrebbe scomporre con una “a” come un’alfa privativa e con “more” derivata dal latino  mors-mortis, cioè senza morte e quindi amore eterno. Pertanto possiamo affermare (oltre ogni ragionevole dubbio) come questo lavoro speculativo possa intendersi come un viaggio, un inseguimento (per rifarci ancora al titolo) alla scoperta non di un tempo perduto di proustiana memoria, ma alla scoperta della verità. E in fondo l’asse che fa girare questa ruota è la vita stessa, una vita da vivere avente come unico scopo non la salvezza dell’anima, come era intesa nel medioevo, ma da vivere “hic et nunc”, immantinente come un sogno, un lungo sogno d’amore. Un sogno che nel composto del volume si perpetua anche in prosa nella “Lettera d’amore - Come i gabbiani”.  E qui c’è una particolarità che non sfuggirebbe ad un attento osservatore e che risulta emblematico: dopo la dedica, la prima poesia è seguita da una prosa, come dire che in appena tre pagine sono compresi la poesia-spirito e la prosa-corpo e dove nei due titoli c’è in comune la parola amore. E anche qui, in questa lettera si affaccia ancora quel dualismo dove lettera d’amore viene intesa come corpo e il gabbiano come volo-spirito. La metafora è chiara: il gabbiano, cioè la vita,  si libra in volo quasi a significare che col volo, liberandosi dalla terra e dalle angosce del quotidiano, si libra in alto come spirito. Quindi in sintesi ci troviamo di fronte ad una materia grezza (il gabbiano) che si libra nel volo plasmandosi in sogno. E’ questa la conclusione a cui perviene Anita Vitrano. Il corpo e lo spirito plasmati dall’amore e dove questo si pone come un mezzo, un trait-d’union, unico in grado di provvedervi. E questo mezzo che cos’è se non la ricerca di una vita in cui corpo e anima formano un tutt’uno? Certo un dualismo, ma che diventa un tutt’uno come questo volume dove, come prima accennato, coesistono la prosa (corpo) e la poesia (spirito). E’ questo il messaggio che, a parer nostro, si coglie e che ci trasmette con la duttilità  del verso, “La Perla dell’Eleuterio”.

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