“Ponti di rive opposte” di José Russotti – Recensione di Giovanni Teresi

Nella silloge “Ponti di rive opposte” del poeta José Russotti s’avverte il suo pensiero sul significato e il mistero del mondo che si fa costante, un’idea quotidiana che si traduce in un incessante dialogo; ciò  perché, come diceva Heidegger, non smettiamo mai di parlare, di colloquiare con il mondo e con noi stessi:

«L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo [...]. In un modo o nell’altro parliamo ininterrottamente» (M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, p. 27.). 

Il richiudersi in sé stessi significa in buona misura tentare di scoprire il legame tra il proprio mondo intimo e l’avventura collettiva dell’umanità. Noi siamo fatti di voci, nostre e di altri, che si inseguono, si cercano, si domandano e si rispondono. Questo concetto è fondamentale per comprendere la poesia. A tal proposito scrive il Nostro in “Pieghe All’Ombra della Sera”:

Il prisma emozionale della poesia racchiude il legame/ figlio/uomo e madre/natura in un amplesso umile/ e sincero, denso di ricordi e memorie che si fondono/ in istantanee diacroniche, perdute in dimensioni atemporali./…/ un silenzio/ disadorno, un disagio che vuole condividere un pianto/

amaro nel ricordo degli animi sensibili, vocate a giudizio/ come Parche fatali, con brandelli di parole, strappate/ dal cuore degli altri.

Così, il tempo dell’interiorità, quello non cronologico, diventa uno spazio su cui la riflessione e gli affetti del poeta hanno libera espressione e parlano un linguaggio tutto loro: “Smarrito nelle pieghe della vita,/ vivo la duplice angoscia/ sui ponti di rive opposte./”…aggrappato alla vita,/ compresi il senso delle fiabe narrate:/ meteore impazzite/ nel firmamento infinito/ della mia fanciullesca curiosità/”

A volte manca però l’enfasi retorica in quanto tutto è giocato sul rapporto tra parola -immagine-intimità come in “Una sera d’inverno a Malvagna”: “Nessun richiamo/copre le tegole marcite sui tetti delle case/in solitario abbandono./Con gli occhi alla nuca/e l’ascia sul ceppo,/nello specchio incrinato dei ricordi/non trovo tracce delle mie sembianze./”

Nel rapporto con la sua terra, José Russotti  dona la sua selvaggia armonia con i suoi versi:

Nei passi stentati del fare, grovigli di cori affranti,/quando narrano di sé e di passati splendori,/

di covoni di grano che riempivano la pianura,/di pescheti fioriti e vecchie storie da riscoprire,/

fieri si espandono nel loro dire.../…/ E in questi selciati di lava e memorie,/ un senso estremo di malvagnitudine/ m’invade/”

Non all’obbedienza della natura, ma all’attesa di una notizia che rimane la sola ragione è la poesia del Nostro che tende all’identità, collabora alla creazione di una realtà, che è il contrario della realtà comune, all’incarnazione di un simbolo, all’esistenza sconfinata nel tempo;  una coscienza interpretata quotidianamente nel giuoco delle aspirazioni, dei sentimenti, e delle sensazioni. L’identità che José proclama è il bisogno di un’integrità dell’uomo, che va difesa senza riguardi, senza nessuna concessione.

“Non sia d’inganno o di vergogna/ la nostra cute lattescente,/ se negli occhi c’è solo/ un cesto di vanagloria/ per gente sorda all’avvenire./…/ quando si aprono brani dolorosi/ incoronati di spine mai esibite al sole,/ aggrappati a norme vigenti/ di tutela comune, proviamo/ a sedurre i fianchi dell’alba/ rubando abbracci e spazi di memoria./”

Centrale è anche il tema della morte che dà mistero a metà tra l’umano e il divino: “La morte è solo/ un gelido varco interiore,/ tra la nostra vanità dissoluta/ e l’inconsapevolezza del transito finale”. …”Si chiusero per sempre i suoi occhi/ nella tenue trasparenza del mattino”; (Nel Lavacro) “E nella fluida sospensione del tempo/ come un baldo alfiere riparto/ per nuove galassie inesplorate/ annegandomi, da ora alla fine,/ nell’insenatura del tuo/ florido petto.”; (Naufragio) e (Per Amalia) “ vorrei che il mio sorriso e le mie mani/ inondino di stupore il tuo sguardo velato/

sulla linea estesa del difficile approdo./

Alcuni versi comunicano un’idea di pace dello spirito, una visione mistica della morte come passaggio verso la piena luce dell’universo. La vicenda di un uomo diventa la vicenda di tutti gli uomini che, con la loro limitatezza, come costellazioni, lentamente si inabissano nell’alba.

Fermo sulla soglia mi guardasti, ti guardai.../ poi, svanisti dietro l’esile velo./ Nel cuore di piovra straziato dai silenzi,/ lasciasti soltanto stille di rose appassite./…/ dall’attimo in cui te ne andasti,

frugai nel cielo (che non fu mai lo stesso)/ lasciandomi cadere lentamente/ ai servili richiami interiori./” (Il Lavacro) Così: “Ramingo e solitario nell’anima,/ orfano di padre e di madre assente,/ stretto nell’angolo buio, spegnevo le mie paure/ cantando tristi canzoni d’amore./”

“Sono/ figlio della Poesia e mi nutro di parole,/ vivo nella lusinga dei miei errori/ e solo nei versi la mia morte desiste dal morire.”  (Pieghe All’Ombra della Sera)

Il verso della poesia di José Russotti esprime il senso dell’intimità, dell’io con pennellate di tristezza ed approda al vero unico segno di verità: la vita terrena in cui, per diverso grado, tutti cadiamo  con le debolezze, le colpe, i peccati e soprattutto con la nostra spaventosa disponibilità alle omissioni. “Mi invadono ansia e paura/ nel moto dell’onda/ che s’agita e sommerge./…/

La carrozza è ferma al bivio della sera:/ nel fulgore delle stelle, fremono i miei pensieri./”

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