“Nell’ora dell’aurora” – di Guglielmo Peralta

       Questa nuova silloge poetica di Daìta Martinez, come del resto le precedenti raccolte, obbedisce alla ‘regola’ di un linguaggio che non si concede facilmente al lettore, alla comprensione  sottraendosi, per larga parte, all’interpretazione. Esso si pone al di là del linguaggio ‘ordinario’-  fondato su regole cui obbedisce la comunità dei parlanti - ma anche, per molti aspetti, distante dal dire poetico “tradizionale” che pure sorpassa l’immediata comprensione senza tuttavia sospendere il pensiero logico, lasciando filtrare la luce razionale attraverso sempre nuove letture, grazie alle quali il senso si fa riproducibile e più trasparente. Colpisce, in tutta la scrittura della Martinez, questa ‘ineffabilità’ del linguaggio che “ruba” il posto alla realtà assoluta, all’‘oltre’ invisibile, facendosi esso stesso ‘trascendente’: cifra e stile inconfondibile della poetessa, nonché evento caratterizzante la scrittura, la quale può considerarsi esperienza di pensiero innovativo che va al di là delle regole logico-convenzionali per approdare a una forma prevalente sul contenuto e sul senso, il quale permane nell’ombra sollecitando un lavoro di riorganizzazione dei pensieri in frasi logiche. Questo linguaggio ininterrotto, che scorrendo come un flusso di coscienza unifica i frammenti dell’esperienza vissuta, è il luogo che consente alla poetessa di abitare, di tornare a frequentare’ il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza, l’età dell’oro, dell’Aurora (aurum+ora) della quale rivive, sostandovi timidamente col pensiero, l’ora della dipartita del padre, al quale è dedicata la silloge, “l’istante” del dolore e della gioia: la grazia “pienavuotapiena”, resa da “un soffio”, da “una carezza idealmente girata e rigirata sulla soglia del pensiero”, che rivela l’amata presenza del genitore e attenua il vuoto della perdita. Il cuore della poetessa si riempie dell’“odore” della casa, delle percezioni sensoriali, degli affetti familiari. È in quell’ora, in quell’istante desiderato che le parole si chiamano, si accordano l’una con l’altra, superano l’imperfezione e facendosi “essenziali e perfette” restituiscono “quel tutto bianco che è l’inizio dell’aurora”, l’incipit del canto, che riempie di voci il silenzio; che ruba l’oro al tempo lasciandolo rifiorire, ricominciare come una fiaba, perché culli il sonno della “bimba”: “la figlia narrata nello stupore del discorso mai detto” e ritrovata, mai dimenticata, sempre viva e presente nel cuore di Daìta, insieme con quel “soffio / la carezza” del padre, “introvabile amato” nella comunicazione, ma che di lei sa tutto il dolore, generato dal pudore, dall’innocenza, dall’amore taciuto, dalla promessa e dall’attesa della carezza, del “sorriso sfuggito”, che ora ella indossa in virtù del linguaggio. Perché esso è la casa che custodisce i ricordi familiari, ed è la possibilità di stabilire il ‘contatto’ col padre, di ‘confessare’ il non detto, “la timida parola”, di scambiarsi tutto l’affetto profuso nel silenzio, di ‘accogliere’ “l’intero bacio” atteso, per cui “torna l’incompiuta doloros’ora”: quella della morte alla quale lei, la figlia poetessa, non ha voluto credere e che, “per miraggio divino”, è sempre differita nel ricordo e nella figura ‘viva’, “(…)tutto volto” del genitore. È la poesia che ‘scava’ i silenzi, anima la casa, le cose; le risveglia, sollevandole dal peso dell’assenza, strappando col suo ‘tocco’ magico il velo “lieve dell’innocenza” mostrando, dichiarando, dedicando tutto l’amore, ora che il padre è “benedetto dall’aurora”, dal nuovo mattino, che solo il sentimento, la grazia, la devozione della figlia hanno il ‘potere’ di inaugurare insieme con la purezza, col candore del canto.
       Rilevante è in questa silloge il modo in cui la nostra poetessa comunica emozioni profonde con delicatezza e nitore d’animo, con grande sensibilità e passionalità. Si presume, pertanto, che la scrittura produca in lei un effetto catartico; che sia in grado di curare “la ferita vita”, di mitigare il dolore, il disagio, la mancata espansività nel manifestare, a suo tempo, i sentimenti nei confronti del padre. Ciò si evince, soprattutto, dal tono confidenziale, colloquiale, che la scrittura assume in molti luoghi della raccolta. Tutta la scrittura della Martinez è una corrispondenza delle parole che si richi-amano vicendevolmente. A partire dal titolo, qui, ‘accade’ l’evento del linguaggio, che rappresenta l’aspetto più caratterizzante del processo creativo, del quale è parte inscindibile la natura, i cui elementi s’intrecciano con i ricordi, i sentimenti, le percezioni sensoriali e con le cose amate, trasfigurate e personificate, a costituire un’armonia, un ‘gioco’ d’insieme, in cui prevalgono la rima interna, l’anafora, l’allitterazione, l’iterazione, la metafora, la sinestesia. L’esito è un effetto musicale, una sorta di rondò, in cui le figure di suono non restano ‘isolate’, ma si legano anaforicamente, in modo ciclico, rispondendo alla ‘legge’ di quella che qui possiamo definire ‘logica formale’. Una novità rappresentano le ‘percezioni metamorfiche’ - o ‘transfert percettivo’ - da me individuate e così definite. La loro caratteristica è l’attribuzione e il trasferimento di una determinata ‘sensazione’ a un organo diverso da quello corrispondente; anche, di una ‘percezione’, di una qualità tipica di una cosa ad altra cosa. Di quest’ultime e dell’uso ciclico delle parole do qui un ‘campionario’ lasciando al lettore il piacere della ricerca:
 
Percezioni metamorfiche
il nudo odore sulla / bocca; l’odore negli occhi; ha odore di pane il vento.
 
Il rondò
Vuoto tenuto dopotutto vuoto e sotto il / vuoto; cade e / di nuovo cade (…) infiora e s’infiora lui la infiora / mani  dalle mani dentro il petto; piccola casa prima tra le dita piccola casa (…) senza tempo indefinito / tempo (…) giornata nata (…) d’erba fine la finissima finestra; d’ogni era e s’era amore; rinuncia dal peccato / ha il peccato (…) una corsa riscossa la sua minuta orsa; che non sa osare / e tuttavia osa; nascosto dietro e indietro; infiora la tenera ora; a fronte di fronte / il nudo di una tavola nuda (…) dell’ora / rossa penetrata rossa; il pudore dell’amore prima del dirsi amore un / valzer di odorosa rosa (…) un battito dopo il battito (…) l’ombra in ombra; e sola  a una mano sola (…) petali dentro petali (…) che piove mentre / la ferita piove e la leggerezza / di un bacio piove sospeso ché / inatteso sulla guancia il bacio
                                                                                                                                             
Per concludere, se da un lato la scrittura della Martinez è uno degli scogli più ardui per chi si accinge alla lettura, dall’altro lato, l’oscurità del senso, sempre da ricercare, (e qui, tuttavia, meno latitante rispetto alle precedenti raccolte) è compensata dalla luminosità del dettato poetico-narrativo, dal linguaggio fluente, variopinto, immaginoso, che in sinergia con la cadenza ritmico-sonora costituisce un ‘corpo musico’ che si origina da sé, dalle parole ‘innamorate’ che si cercano, si scelgono e si legano a comporre una scrittura che possiamo definire unica nel panorama della poesia contemporanea.
 
 
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