“Mondo Omerico - Gli eroi a banchetto” di Giovanni Teresi
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- Category: Scritture
- Creato: 12 Maggio 2022
- Scritto da Redazione Culturelite
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I personaggi omerici mangiavano forte e sodo trattandosi di miliari gagliardi. Si legge al IX Libro dell’Iliade (vv. 231 – 290) come Ulisse e gli altri ambasciatori, dopo il consueto pranzo nella tenda di Agamennone, siano di nuovo pronti a fare onore al pranzo a loro imbandito da Achille. Si può pensare che essi non abbiano voluto far scortesia all’ospite potente e irascibile, che era anzi loro compito di placare e blandire in ogni modo, ma tuttavia li vediamo mangiare e brindare di gusto.
…
Del risonante mar lungo la riva
Avviârsi i legati, supplicando
Dall’imo cor l’Enosigéo Nettunno
Perchè d’Achille la grand’alma ei pieghi.
Alle tende venuti ed alle navi 235
De’ Mirmidóni, ritrovâr l’eroe
Che ricreava colla cetra il core,
Cetra arguta e gentil, che la traversa
Avea d’argento, e spoglia era del sacco
Della città d’Eezïon distrutta. 240
Su questa degli eroi le glorïose
Geste cantando raddolcía le cure:
Solo a rincontro gli sedea Patróclo
Aspettando la fin del bellicoso
Canto in silenzio riverente. Ed ecco 245
Dall’Itaco precessi all’improvviso
Avanzarsi i legati, e al suo cospetto
Rispettosi sostar. Alzasi Achille
Del vederli stupito, ed abbandona
Colla cetra lo seggio; alzasi ei pure 250
Di Menézio il buon figlio, e lor porgendo
Il Pelíde la man, Salvete, ei dice,
Voi mi giungete assai graditi: al certo
Vi trae grand’uopo: benchè irato, io v’amo
Sovra tutti gli Achei. - Così dicendo, 255
Dentro la tenda interïor li guida,
In alti scanni fa sederli sopra
Porporini tappeti, ed a Patróclo
Che accanto gli venía, Recami, disse,
O mio diletto, il mio maggior cratere, 260
E mesci del più puro, ed apparecchia
Il suo nappo a ciascun: sotto il mio tetto
Oggi entrâr generose anime care.
Disse; e Patróclo del suo dolce amico
Alla voce obbedì. Su l’ignee vampe 265
Concavo bronzo di gran seno ei pose,
E dentro vi tuffò di pecorella
E di scelta capretta i lombi opimi
Con esso il pingue saporoso tergo
Di saginato porco. Intenerite 270
Così le carni, Automedonte in alto
Le sollevava; e con forbito acciaro
Acconciamente le incidea lo stesso
Divino Achille, e le infiggea ne’ spiedi.
Destava intanto un grande foco il figlio 275
Di Menézio, e conversi in viva bragia
I crepitanti rami, e già del tutto
Queta la fiamma, delle brage ei fece
Ardente un letto, e gli schidion vi stese;
Del sacro sal gli asperse, e tolte alfine 280
Dagli alari le carni abbrustolate
Sul desco le posò; prese di pani
Un nitido canestro, e su la mensa
Distribuilli; ma le apposte dapi
Spartía lo stesso Achille, assiso in faccia 285
Ad Ulisse col tergo alla parete.
Ciò fatto, ingiunse al suo diletto amico
Le sacre offerte ai numi; e quei nel foco
Le primizie gettò. Stesero tutti
Allor le mani all’imbandito cibo.
Lo stesso Achille ha preparato il pranzo, aiutato da Patroclo e dai suoi scudieri: questo ci dice che tali mansioni non erano affatto considerate umili ed erano anzi di una certa importanza.
L’unico modo di cottura della carne era allo spiedo. Niente carne a lesso o in umido e inoltre niente minestre. Insieme con la carne si mangiava anche allora pane fatto con farina di frumento, con la quale si facevano pure gustose focacce. Nel libro XI assistiamo a uno spuntino fatto a base di focacce e di miele, e apprendiamo che gli antichi usavano mangiare cipolla per stuzzicare la sete.
(Nella tenda di Nestore vv. 828-880)
…
Tra le navi e le tende. E quelli intanto
Del buon Nelíde al padiglion venuti
Dismontaro, e l’auriga Eurimedonte 830
Sciolse dal carro le nelée puledre,
Mentr’essi al vento asciugano sul lido
Le tuniche sudate, e delle membra
Rinfrescano la vampa: indi raccolti
Dentro la tenda s’adagiâr su i seggi. 835
Apparecchiava intanto una bevanda
La ricciuta Ecaméde. Era costei
Del magnanimo Arsínoo una figliuola
Che il buon vecchio da Tenedo condotta
Avea quel dì che la distrusse Achille, 840
E a lui, perchè vincea gli altri di senno,
Fra cento eletta la donâr gli Achivi.
Trass’ella innanzi a lor prima un bel desco
Su piè sorretto d’un color che imbruna,
Sovra il desco un taglier pose di rame, 845
E fresco miel sovresso, e la cipolla
Del largo bere irritatrice, e il fiore
Di sacra polve cereal. V’aggiunse
Un bellissimo nappo, che recato
Aveasi il veglio dal paterno tetto, 850
D’aurei chiovi trapunto, a doppio fondo,
Con quattro orecchie, e intorno a ciascheduna
Due beventi colombe, auree pur esse.
Altri a stento l’avría colmo rimosso;
L’alzava il veglio agevolmente. In questo 855
La simile alle Dee presta donzella
Pramnio vino versava; indi tritando
Su le spume caprin latte rappreso,
E spargendovi sovra un leggier nembo
Di candida farina, una bevanda 860
Uscir ne fece di cotal mistura,
Che apprestata e libata, ai due guerrieri
La sete estinse e rinfrancò le forze.
Diersi, ciò fatto, a ricrear parlando
Gli affaticati spirti; e sulla soglia 865
Ecco apparir Patróclo, e soffermarsi
In sembianza di nume il giovinetto.
Nel vederlo levossi il vecchio in piedi
Dal suo lucido seggio, e l’introdusse
Presol per mano, e di seder pregollo. 870
Egli all’invito resistea, dicendo:
Di seder non m’è tempo, egregio veglio,
Nè obbedirti poss’io. Tremendo, iroso
È colui che mi manda a interrogarti
Del guerrier che ferito hai qui condotto. 875
Or io mel so per me medesmo, e in lui
Ravviso il duce Macaon. Ritorno
Dunque ad Achille relator di tutto.
Sai quanto, augusto veglio, ei sia stizzoso
E a colpar pronto l’innocente ancora.
La bevanda principale era il vino, di cui si faceva gran consumo. Tranne però che in alcune libagioni sacrificali, non era mai bevuto puro: prima del banchetto era preparato in un grosso vaso di bronzo (cratere) opportunamente mescolato con acqua. Dal cratere si attingeva poi il vino direttamente con la coppa (nappo), e spesso c’era una persona appositamente riservata a tale compito (coppiere).
Il più pregiato vino di quei tempi era il vino “pramnio”, il cui nome derivava forse da certi colli Prammi nell’isola Icara. Oltre al vino gli eroi omerici bevevano latte, e strane bevande ristoratrici fatte con vino, formaggio di latte di capra grattugiato e farina. (Libro XI).
Quanto al modo di stare a tavola, è certo che gli antichi uomini non avevano le posate. Sull’esistenza di vasellame vario di bronzo o di altro materiale ci danno invece ampia e preziosa testimonianza gli scavi. Un particolare curioso è che le tavole, o deschi, erano molto piccole: ogni commensale ne aveva una sua propria che veniva rimossa dopo la mensa.