Leone Zingales, "Case, rifugi e luoghi della memoria. Sulle tracce di poeti, scrittori e letterati" (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

 
di Giovanni Teresi
 
Ogni casa possiede un potenziale narrativo. Ogni stanza racconta la vita e i segreti di chi l’ha abitata. Ogni luogo evoca i sentimenti di chi l’ha vissuto o di chi l’ha cantato. E le case degli scrittori parlano. Di loro e delle storie realmente accadute e, più di altre, coinvolgono la fantasia di chi le visita perché  inseguendo l’ombra degli scrittori, incontriamo la nostra.
Ed è un viaggio sentimentale  quello raccontato dal giornalista Leone Zingales in “Case, rifugi e luoghi della memoria”, un percorso effettuato tra ville e palazzi, umili abitazioni contadine e dignitosi appartamenti cittadini. Tutti  luoghi abitati in un passato più o meno remoto, un itinerario ideale  in rappresentanza della cultura siciliana e nazionale. Da Giovanni Meli a Capuana, da Martoglio a Verga, da Luigi Pirandello a Sciascia, fino a Luigi Natoli, a Giuseppe Pitrè, Natalia Ginzburg e a molti altri.
Un mosaico di luoghi, che Zingales ricostruisce, dove sono nati i romanzi, le poesie e le parole che, tutte insieme, hanno formato la nostra identità siciliana.
Il Nostro, attraverso le foto e l’essenziale commento, restituisce all’immaginario collettivo le case e i luoghi onirici dei loro illustri ospiti. Sono una ventina le case di letterati, sparse per la Sicilia, che Zingales segnala come cadute in un “sonno profondo”.
 Ma, dietro quelle finestre, su quei tavoli sono stati scritti tanti capolavori. L’autore ha cercato di creare una connessione fra ciò che gli autori hanno immaginato, o ciò che è capitato nei loro ambienti privati,  e ciò che si vede visitandoli oggi. É un’esperienza affascinante riconoscere i nostri autori preferiti, anche solo tramite un oggetto, un angolo, uno scorcio; cose e luoghi che possono dare l’emozione del contatto col genio creatore, accendere la scintilla di un ricordo personale o anche solo darci l’illusione di capire che cosa significava vivere in un altro tempo, in un’altra società.
I muri sono stati “muti testimoni” di vite frenetiche, drammi, patemi d’animo ma anche di momenti gioiosi e di indimenticabili successi. “Ogni dimora è un candelabro dove ardono in apposita fiamma le vite” (Borges). Leone Zingales, con la sua opera, stimola l’interesse dei lettori ad approfondire sulle vicende umane e letterarie di scrittori e poeti che i siciliani ed il Paese intero amano spingendoli a programmare un viaggio letterario nei luoghi della memoria.
Che cosa cerchiamo visitando le case degli scrittori?
Cerchiamo noi stessi, in fondo. Se ne abbiamo letto le opere non compiamo tanto una visita quanto una specie di ritorno, anche se non abbiamo mai messo piede nelle loro stanze. Crediamo di inseguire l’ombra degli scrittori, ma poi troviamo la nostra, perché ogni sguardo, ogni oggetto che incontriamo ci riporta al tempo trascorso insieme, a ciò che sappiamo della loro vita, alle storie incantevoli con cui hanno consolato la nostra solitudine. E ciò accade, ad esempio, avendo letto  Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi e visitando il palazzo del Principe di Lampedusa e la tomba di famiglia, a Palermo, tra i viali del cimitero dei Cappuccini.
La scelta di muoversi in luoghi ora umilissimi, ora sfarzosi rispecchia la ricchezza e insieme la complessità della nostra cultura. Attraverso le foto in bianco e nero o a colori, il Nostro ha descritto un itinerario culturale di vite di autori famosi o poco conosciuti inseguendo anche la suggestione di qualche lapide. Quella che ricorda il soggiorno di Johann Wolfgang von Goethe, ad esempio, ove il proprietario dell’albergo di via Butera, Francesco Benso, nella primavera del 1787, ha accolto l’illustre ospite; come la targa marmorea sulla facciata del palazzo di famiglia che ricorda il luogo natio di Luigi Capuana e la via dedicata a Pietro Fudduni che si inerpica tra vicoli e cortili che circondano il vicino Palazzo di giustizia e non lontana dalla Cattedrale. Così si apprende che in questa porzione di Palermo si è mossa la vena poetica di Fudduni del quale parla anche Giuseppe Pitrè in uno dei suoi saggi dedicati alla poetica della tradizione dialettale siciliana.

Il tempo scorre, c’è poco da fare. Abbatte il pino di Pirandello al Caos, la quercia di Torquato Tasso a Roma, o addirittura la casa stessa dei nonni di Camilleri, come è capitato a Porto Empedocle. Il difficile è capire di volta in volta come fare i conti con esso, scegliendo per esempio di piantare una cedrina o un pino nel giardino, perché spanda nell’aria quell’aroma che allo scrittore o al poeta ha ispirato familiari e luoghi natii. Giuseppe Schiera (Palermo 1898 – 1943), poeta, praticava l’arte dell’improvvisazione in aree prossime ai mercati storici di Palermo: a pochi passi dal Teatro Biondo oppure, come ci ricorda Zingales, in piazza Sett’Angeli o a Ballarò, o sul marciapiede a ridosso del teatro Finocchiaro in via Roma, infine, tra via Volturno e Porta Carini all’ingresso del mercato del Capo. Anche quando i bombardamenti degli anglo-americani si erano fatti incessanti, Schiera continuava a declamare i suoi versi agli angoli delle strade. Della sua vasta produzione di versi è rimasta poca traccia. Leone Zingales, sulle tracce di poeti, scrittori e letterati, è riuscito ad indicare un itinerario letterario e di indelebili ricordi perché fra noi e gli scrittori c’è sempre la mano invisibile di qualcuno che ne ha interpretato la memoria.
 
 
 
 
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