“La Soaltà: una singolare rivoluzione interiore” di Marcello Scurria

       Per la seconda volta torno a parlare della Soaltà di Guglielmo Peralta e della rivista omonima, non più edita, anche se mi è difficile pensare a una continuazione pur non avendo esaurito le mie personali questioni e argomentazioni da elaborare senza soluzione di continuità. Perché scrivere la monografia soale significa avere originato uno spazio tempo auto-contenuto, una specie di brana (Cfr. Lisa Randall, Passaggi Curvi I Misteri delle Dimensioni Nascoste dell’Universo ed. Il Saggiatore febbraio 2008) che da sola circoscrive la dimensione nella quale vive un cronotopo unico che è anche un paesaggio soale non ripetibile. Ad esigere la singolarità dell’esperienza, è il rispetto che merita l’esperienza soale, per mia convinzione completa, cioè, a tutto tondo immersa nel pensiero, nell’emozione e nella realtà che la riassume. L’anima e la cosa, come il sogno e la realtà, si fanno soali e la singolarità dell’evento che ne deriva è uno spazio-tempo personale, assolutamente indisponibile e irreversibile: un universo, in cui la realtà esistente è trasformata in una realtà dai nuovi significati, che, mutatis mutandis, è una forma pregna di nuove dimensioni, di nuove motivazioni, di nuove potenzialità.
       Il 21-01-2009 il poeta Guglielmo Peralta ha parlato al microfono dell’AndroMandro e, forse senza sapere niente di brane, ha spiegato come dalla scomposizione e ricomposizione di una parola, si possano creare nuovi significati, scaturiti da una parola di uso e senso comune. L’esempio si riferisce alla parola Estetica. Tralasciando l’etimologia che ci complicherebbe inutilmente la vita dando spunto a polemiche inconcludenti, la questione è stata affrontata in questi termini: Est-Etica, sono due concetti distinti, che uniti formano il termine “estetica”. La sillabazione, però, ne condivide tre e sfruttando il meccanismo della scomposizione in fattori, “estetica” può addirittura introiettare il verbo essere. Quindi, la parola finale sarà composta da tre parole: (è)-est-etica. Questa, soalmente parlando, afferma che l’Essere è un mondo etico. Non posso fare altro che lasciarvi pensare alle regole e alle ripercussioni di questo metagioco. Ciononostante, se sarete attratti dalle potenzialità, allora c’è di che divertirsi e avrete di che divertirvi. Mentre si guarda, l’osservazione può essere un atto disinteressato che si dipana in modo ininfluente. Basta pensare a quanto ci accade d’intorno mentre – tanto per dire - passeggiamo per strada, per renderci conto di cosa non vediamo. Si tratta di migliaia di potenziali informazioni che sfuggono, dalle macchine che transitano alle voci dei passanti, dal verde pubblico (troppo poco, troppo piccolo, troppo sporco, troppo deludente) alla gente che lavora senza che noi siamo minimamente coinvolti. Altre volte l’osservazione è certamente un’azione originale, una singolarità, che potrebbe esaurirsi e concludersi nell’atto di guardare. Ma se lo pensiamo sottomesso ad un approccio soale simile alla disamina della parola “(è)-est-etica” allora l’atto soale si degnerà di una weltanschauung propriocettiva, avrà la sua epistemologia, e l’attante si autodisciplinerà nelle relazioni coi terzi, autovincolandosi alla semantica più congeniale e più emancipata della dimensione soale entrata a far parte del discorrere quotidiano e delle relazioni coi terzi. In tal senso, le monografie e i paesaggi pubblicati sulla rivista “della Soaltà” non sono un manuale della soaltà, né costituiscono - dal punto di vista della pubblicazione - un’opera unica, bensì ciascuna monografia compone l’epitome inerente ai diversi paesaggi soali (autografi) riferiti all’assunto monotematico. Temi come Il Poeta, La realtà Virtuale, I Miti, L’Assurdo, possono essere letti come sguardi autonomi dalle conclusioni iperboree, fuori dal coro. Anche da questo punto di vista neoclassico, la Soaltà non si ripete, e possiamo pensarla una riflessione implicante una rivoluzione interiore, non solo significante, ma costantemente in itinere, cioè uno ‘s-guardo’ ovviamente intelligibile e tuttavia in costante trasformazione.
       Insomma, la Soaltà è affine alla verità che levita più distante dal materialismo e più vicina alle emozioni. Soale è un ricordo enfatico, bello, forse perfetto, mai uguale, estetico alla stregua di un mnemonico mito. Come dice Peralta, tra il sogno e la realtà, c’è il regno della Soaltà. Ma attenzione, ci intendiamo sui valori ottimistici, sui valori positivistici percorsi ed elaborati – per chi c’è riuscito – fino alla realizzazione; creiamo morfologie affini alla trasmutazione interiore; soale è epifanico ed anche rivoluzionario; soale è un cammino in fieri da percorrere nella leggerezza dell’essere, a braccio del pensiero, nella consapevolezza che i sogni più belli e più desiderati non sono illusioni, ma si trasformano in cose. Letteralmente, l’epitome è il prodotto finito che raccoglie le produzioni di più autori che argomentano lo stesso tema, o la raccolta di più opere diverse, affatto similari, riconducibili allo stesso nome e cognome. A pensarci bene, la Soaltà è ambedue le cose, perché unisce il sogno con la realtà di tutte le opere. Che sono intelligibili, anche molto intelligenti, affatto squilibrate. Ciononostante, i paradigmi della Soaltà sono esplicativi di tesi risultate molto discusse perché intrudono come un ladro ai ripensamenti sui luoghi comuni, ma anche difesi e convincenti fino all’encomio e alla lungimiranza affermata. Quindi, la diatriba intrapresa ha scavato la linea di confine fra la coerenza e la discordanza dai criteri; ma tuttavia è al di sopra di ogni ragionevole dubbio che “I paesaggi della Soaltà”, cioè le monografie, sono pubblicazioni meritevoli, colme di rispetto letterario, firmate da autori che senza avventurismo si confrontano e si comparano e si sfidano sistematicamente sulla possibile e più autentica e moderna interpretazione soale della letteratura e della realtà. Le affinità, posso affermare, sono “enti” idealizzati, ma intelligibili e austeri come si richiede alla sperimentazione sulla significazione che alligna la dimensione dell’anima, alla quale si rivolge per concludere un processo di agnizione. Del resto, questo è lo scopo, questo chiedono inconsciamente e vogliono le cose dell’uomo: che il suo Essere non sia schiavo di nessuna regola, nel senso che nulla è sacro a chi pensa; che l’errore – come dice Piero Scanziani – è sempre riparabile; che l’atto stesso del pensare è arte amena e venusta, libera e indagatrice fino ai nuclei della verità da divulgare ogni volta come un primato proposto alla verifica di ogni genio che voglia provare ad essere libero.
 
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