“L’Italia faro mondiale” - Carmelo Fucarino

«A chi sa di dover morire, gli ultimi cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel momento nulla è più penoso del pensiero incessante: "se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei nessuno!".». (L'idiota, Garzanti, Milano 1998, p. 25). Così scriveva Fëdor Michajlovič Dostoevskij nel terribile romanzo L’idiota, per esperienza personale fattagli provare dallo zar Nicola I. Questo scriveva a Firenze ove lo terminò nel 1869, cominciato a Ginevra nel settembre 1867. E ancora: «Pensate: c'è la tortura, per esempio; sono sofferenze e piaghe, è un tormento fisico, e perciò tutte cose che distraggono l'animo dalle sofferenze morali, sicché non sono altro che le ferite che tormentano, fino al momento stesso che si muore. Ma forse il dolore principale, il più forte, non è quello delle ferite; è invece di sapere con certezza che, ecco, tra un'ora, poi tra dieci minuti, poi tra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima volerà via dal corpo, e non sarai più un uomo, e questo ormai è certo. Chi ha detto che la natura umana è in grado di sopportare questo senza impazzire? (...) Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dagli assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. (...) Forse esiste un uomo al quale hanno letto la sentenza, hanno lasciato il tempo di torturarsi, e poi hanno detto: “Va', sei graziato". Ecco, un uomo simile forse potrebbe raccontarlo. Di questo strazio e di questo orrore ha parlato anche Cristo… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve esser lecito applicarla all'uomo.». (L'idiota, Einaudi, Torino 1984, p. 23).

E pure in Delitto e castigo sulla pena di morte: «Dove mai ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi – avendo intorno a sé dei precipizi, l'oceano, la tenebra eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d'anni, l'eternità, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!... Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l'uomo!... Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco.».

Questo per ricordare l’uomo della rivoluzione che, graziato proprio quando i fucili erano puntati, rimarrà traumatizzato e torturato dall’epilessia. A scanso di equivoci per i pazzi accademici dell’Italietta nordista che ad imitazione degli altri statunitensi praticano la cancel culture, potendo loro fare a meno di Omero e Platone e nutrendosi di fakes da digitale e fb.

D’altronde lo scrittore ne ha tanti nemici, celebre la stroncatura di Vladimir Nabokov, quella della lolita: «uno scrittore piuttosto mediocre, con lampi di humor eccellente ma, ahimè, inframezzato da desolate distese di banalità letterarie». Peggiore la correzione: è molto «più artistico di ogni genere di ciarpame tipo (…) i romanzi storici americani». Ma anche altri dotti italiani non gli concedono neppure le doti e la genialità letteraria, lui, “l’artista del caos” che ancora nell’Idiot fa dire al principe Myškin, “È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo? State a sentire, signori,” gridò ad alta voce, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo! E io sostengo che questi giocondi pensieri gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato (…) Ma quale bellezza salverà il mondo?». E ancora: «È difficile valutare la bellezza, e io non ci sono preparato. La bellezza è un enigma.» ed ancora in I fratelli Karamazov (1878.80): «La bellezza: che tremenda e orribile cosa! (…) Là gli opposti si toccano, là vivono insieme tutte le contraddizioni!». E ancora in I demoni (1871): «L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! … La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.».

E perciò considerava la contemplazione della Madonna di Raffaello una terapia. Perciò il suo amore per l’Italia che appare strabiliante già in una lettera da San Pietroburgo al padre che gli chiedeva del tempo: «Meraviglioso, italiano».

E venne da grande in Italia, nella Firenze allora capitale d’Italia e a Napoli. In Il diario di uno scrittore che iniziò a pubblicare dal 1873 nella rivista che dirigeva Il cittadino (Graždamin) annotava: «Prendete, per esempio, il conte di Cavour – non è un’intelligenza, ma non è un diplomatico? Io prendo lui come esempio perché ne è già riconosciuta la genialità e inoltre perché è già morto. Ma che cosa non ha fatto, guardate un po’; oh sì, ha raggiunto quel che voleva, ha riunito l’Italia e che ne è risultato: per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo; l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano di essere i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e le presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto? […] È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale […] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta)» (trad. di Ettore Lo Gatto, Sansoni, Firenze, 1981, pp. 925-926).

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