“Il paese di cuccagna” e le sregolatezze della Storia - di Carmelo Fucarino

Nell’edizione dell’Universale scientifica Boringhieri 1980, nella sua presentazione di Il paese della cuccagna di Giuseppe Cocchiara Leonardo Sciascia ha scritto (pp. X-XI): «ho letto i suoi libri con appassionata incompetenza e l’ho frequentato, negli ultimi anni della sua vita, come uno dei pochi con cui si potesse, a  Palermo, intrattenere un rapporto che fosse di solidarietà, di consiglio, di arricchimento. Nonostante lo scarto di anni, si era stabilita tra noi un’amicizia per cui l’andare a Palermo, da Caltanissetta dove stavo, era per me l’incontrare Cocchiara, il conversare con lui di libri e quadri (aveva, per la pittura avvertitissimo senso: e di pittori poi affermatisi aveva capito il talento al cominciare)» (novembre 1979). Riguardo al testo di miti etnografici, spiegava che il paese di Cuccagna con le sue favole non era la Sicilia, perché il siciliano Cocchiara sentì «la necessità e l’ansietà di rompere con l’oggetto Sicilia», pur essendo custode dei reperti della cultura siciliana racchiusa in quel rustico edificio museale fondato nel 1909 da Pitrè nel Collegio dell’Assunta e trasferito nel 1935 in una delle dipendenze accanto alla Palazzina cinese o Real Casina Cinese, uno spicchio di Oriente nel maestoso Parco della Favorita, costruita nel 1799 da Giuseppe Venanzio Marvuglia, allora Casina dei Lombardo, su richiesta del principe di Aci Giuseppe Riggio, tra sala da ballo e sala delle udienze, alloggi della regina con il gabinetto delle pietre dure e al terzo piano la Stanza dei venti.

Ma torniamo al comunista Sciascia. Nel 1977 si era dimesso dal PCI, per contrarietà al compromesso storico intrapreso da Berlinguer e dal DC Moro (con conseguente suo assassinio?), e per una imprecisata avversione a supposte forme di estremismo, ritengo io inconciliabile con lo stroncato compromesso democristiano. Era stato eletto al Comune di Palermo con due grandi comunisti, Occhetto e Guttuso e ne aveva goduto le fortune. Dopo la pubblicazione di L’affaire Moro, uno dei suoi speculativi pamphlet in seno all’indagine della Commissione Moro, uno dei tanti come quasi tutta la sua produzione, basta scorrere i titoli e i pretesti, oso dire a cominciare dal Giorno della civetta del 1961 che con il film di Damiani nel 1968 gli diede fama di antimafioso. Eppure accusò con la celebre lettera del 10 gennaio 1987 sul “Corriere della Sera”, intitolato I professionisti dell’antimafia”, il giudice Borsellino di mestierante dell’antimafia, assieme ad un innominato sindaco che per la sua lotta alla mafia, avvisato nel 1987 da Scalfaro che volevano ucciderlo si esilia a Tblisi in Georgia e nel luglio 1992 fu in fuga nella caserma di massima sicurezza a Casal Lumbroso, la moglie costretta a nascondersi in giro per l’Italia, ancora nel 2000 le minacce e fughe in Messico e Colombia, la sua ‘folle corsa’ come la chiama, in cui convolse moglie e tutta la famiglia (Leoluca Orlando-Costanze Reuscher, Enigma Palermo, Rizzoli, 2023, pp. 144-151).

Cocchiara è colui che fra gli studiosi siciliani aveva sottoscritto assieme ai “più di trecento altre personalità che si affiancarono ai dieci firmatari del Manifesto della razza, rappresentative di ogni campo e attività: docenti universitari, magistrati, medici, economisti, capitani d’industria, alti ufficiali dell’esercito, scrittori, artisti, giornalisti, esponenti del regime e anche del clero. L’elenco dei loro nomi rappresenta il primo formale «censimento» dei razzisti italiani” il celeberrimo Il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, stilato dai dieci luminari universitari italiani, pubblicato su “Il Giornale d'Italia” del 14 luglio 1938, poche settimane alla promulgazione della legislazione razziale fascista (Decreto-Legge - 17 novembre 1938 - XVII, n.172 promulgato da Vittorio Emanuele III), base ideologica e pseudo-scientifica della politica razzista dell'Italia fascista, adottata e messa in atto da Hitler. Inoltre collaborò con diversi interventi, alcuni di carattere antisemita, al quindicinale La difesa della razza, pubblicato dal 5 agosto 1938 fino al 1943, per promuovere le leggi razziali fasciste.

Gli Americani lo compensarono concedendogli la cattedra che era stata creata e onorata da Giuseppe Pitrè, e pure la direzione del suo museo etnologico, secondo Gentile fine della cultura ‘siciliana nell’oggetto’, morti il fondatore Pitrè, Salamone Marino e Di Marzo. Un suo assistente nella cattedra è stato Antonino Buttitta comunista, del quale ho seguito un corso e mi sono addottrinato con il saggio Il buon selvaggio e i Primitivi del maestro (1948), lui figlio di quel poeta appassionatamente comunista che visitava spesso la piazza Rossa e dilettava i Russi con le letture a Mosca delle sue poesie in dialetto siciliano, quel poeta che tante volte ho ascoltato con la sua originale birritta con l’accento siculo caratteristico di Bagheria, premio Viareggio e laurea honoris causa e che mi dedicò così la sua raccolta Io faccio il poeta, Milano, Feltrinelli, 1972: «a Fucarino ca taliu, non parra ed havi u cori chino (pieno)., 17.5.72». Un altro suo assistente aveva nipotini neri, figli di un fratello che ben conobbe e sposò l’Etiopia di Mussolini.

Io lo ebbi Preside della Facoltà di lettere, nulla sapendo della sua firma pesante in onore del regime, ma così gravida di orrori: Hitler avrebbe adottato e realizzato quel Manifesto italiano con le sue camere a gas e il tentato genocidio, olocausto che oggi viene esecrato solo come ebraico, che pur si sono definiti razza e ‘popolo eletto’ da Javè, ma che riguardò rom, neri europei, disabili, omosessuali, slavi e dissidenti in nome di quella pulizia etnica, che fu anche persecuzione, sfruttamento e lavoro coatto che provocarono la morte di milioni di individui.

Pure firmò Cocchiara da cui Sciascia affermava di ricevere solidarietà, consiglio, arricchimento. Sarei curioso di leggere la sua corrispondenza con Pavese dalla fine della guerra alla morte. Eppure ancora oggi qualcuno vuol considerare Sciascia, discepolo di Cocchiara, il più grande scrittore del dopoguerra. Consiglio di leggere con intelligenza e senza preconcetti  i suoi esili pamphlet dedicati a casi ignoti e di poco conto. Degno seguace il compianto Camilleri e le sue indagini seriali alla Montalbano e non solo. Pensavo a Verga, a Capuana, a Pirandello, ma anche, perché no, a Elio Vittorini e Quasimodo. Ed anche a Giovanni Gentile, ideologo del fascismo, con il suo "Il tramonto della cultura siciliana" del 1919.

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.