Guglielmo Peralta, "Sul far della poesia" (Ed. Spazio Cultura) - di Sandra Vita Guddo

Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita”.

Così scriveva William Shakespeare nel IV atto del dramma “La Tempesta” per descrivere quello stato di sospensione in cui si trova a vivere l’uomo tra sogno e realtà che Guglielmo Peralta, con un neologismo quanto mai efficace, definisce soaltà.

Il nostro Autore con questa silloge poetica “Sul far della poesia” conduce una delicata analisi su domande esistenziali fino alle estreme conseguenze consegnando al lettore una poetica colta e raffinata che sembrerebbe rivolta esclusivamente ad un pubblico selezionato e invece, a ben guardare, riesce a parlare al cuore di tutti!

Ciò in quanto tutti, più o meno consapevolmente, si pongono domande di tipo esistenziale che ruotano attorno al concetto di Essenza o, per usare la terminologia heideggeriana, dell’Essere ontologicamente fondante, e dell’Esserci” hic et nunc” simpaticamente gettati in questo mondo senza neanche averlo chiesto. Ed è in tale breve percorso tra inizio e fine che si svolge la nostra esistenza: tra vita e morte, tra Bellezza e Rovina.

Un’intelaiatura filosofica sorregge tutta la poetica di Guglielmo Peralta che a questo punto della sua analisi pone la questione di che senso abbia poetare oggi, in un mondo votato alla violenza e alla crudeltà e se ci sia ancora spazio e tempo per far poesia, per non lasciarsi corrompere e trascinare dalla Rovina ma restare a contemplare la Bellezza, a raccontarla, a descriverla attraverso lo s-guardo de “l’occhio nel cui magico cerchio si apre lo spettacolo”.

La narrazione poetica, resa fluida ed illuminante, grazie ad uno stile originale che non si preoccupa di ricercare rime, di rispettare la metrica tradizionale, di ricorrere ad artifizi letterari, scorre limpida e riesce a far breccia nel lettore che insieme al poeta cerca risposta alla domanda fondante tutta la silloge. E, con sollievo, la trova tra i versi che si snodano in un percorso vitale e rigenerante.

Una complessa architettura in cui la parola diviene il formidabile strumento per costruire la casa dell’Uomo-Poeta. E non è forse la parola la casa dell’uomo, come affermò Jacques Lacan?

E quando la parola diventa poesis “quando il cuore è il bosco delle fate e il mondo una magica dimora” (pag.29), allora all’improvviso “si moltiplica l’incanto in mezzo a tanta verzura/ e mi ritrovo con te a passeggiare sul sentiero/ dei biancospini. E all’improvviso si aprono / tra Combray e Tansonville/ i viali dorati nella mia stanza”. (pag.31). Nella dimensione onirica la memoria acquista una valenza speciale che ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio mentre la logica, intesa come pura ratio, lascia il posto all’intuizione che diventa l’auriga di questo mondo sospeso tra Bellezza e Rovina e i treni di Proust diventano “miei puntuali e lenti dentro cui scorre “il tempo perduto” ( pag.33) ma poi recuperato dentro il sogno sul far della poesia.

In tal modo, il titolo si presta ad un’interpretazione ambigua: “Sul” è inteso come introduzione all’argomento “far della poesia” oppure va inteso con valore temporale, nel senso se questo è ancora il tempo per far poesia? È possibile, in ogni caso, che le due interpretazioni siano ugualmente valide come le due facce della stessa medaglia?

Nella visione di Peralta, la Bellezza nello scontro titanico contro la Rovina esce vittoriosa allorché le parole diventano versi che danzano “sulle rime baciatee nella dimora del suono”, che l’Autore riesce a rendere più gradevole grazie alla presenza di assonanze e allitterazioni, ricercate senza ossessione. E attraverso la con-templazione della realtà che è al contempo conoscenza e com-penetrazione, nello spazio e nel tempo limitato in cui ci è permesso di esistere; il poeta, come sapiente nocchiero, non arretra ma resiste e resta “sedotto” da tutti gli elementi che costituiscono la Natura nella sua totalità riconducibile ai suoi elementi costitutivi: acqua, aria, fuoco e terra che Egli accoglie con s-guardo incantato, in un abbraccio panico e travolgente.

Ciò perché la Natura, pur con le sue Rovine, resta “il migliore dei mondi possibili …dove tutti siamo creature” (pag.45) che fanno parte dello stesso poema. Guglielmo Peralta, consapevole che l’esserci si muove tra opposti, accoglie la condizione umana così com’è concentrandosi sul far della poesia. In fondo è nell’ombra che “la luce ha esilio e asilo. Ed è il massimo splendore”. E non potrebbe essere altrimenti perché” d’ombra e di luce / vive l’anima mia/ d’egual splendore/ Fare poesia / produce la bellezza/ Bene del mondo” (pag.125). La Poesia diviene nella visione dell’autore non soltanto resilienza alla rovina e generatrice di bellezza ma anche della salvezza stessa dell’uni-umanità, del singolo individuo e di tutti gli uomini: sul far della poesia!

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