“Francesca Guajana: una poesia come domanda per non chiudere gli occhi” di Giuseppe La Russa

A cosa stiamo andando incontro? Dov’è il valore della vita? Quale amore vive questa società malata?
Si apre con una nota dell’autrice, una fitta serie di domande rivolte direttamente al lettore, la raccolta poetica di Francesca Guajana, dall’emblematico titolo Non chiudere gli occhi: «Francesca Guajana conosce il dolore, pratica la denuncia come necessità esistenziale», scrive Tommaso Romano nella prefazione.
Ci troviamo, infatti, di fronte a una poesia tesa certamente verso il lato emozionale dell’uomo, che percorre i più intimi strati del cuore, in grado di scavare nell’humus più profondo del sentimento; ma quella dell’autrice è, al contempo, una poesia sociale, civile, sempre che i due aspetti possano scindersi o separarsi.
A proposito è interessante l’operazione che Francesca Guajana porta sulla pagina, la portata certamente filosofica che riveste il suo versificare, per cui vale la pena porre lo sguardo sul primo testo della silloge, Il mio paese: Ogni paese/ha la sua casa/la sua donna/il suo bambino/Ogni bambino/ ha il suo cane/i suoi quaderni […] Io sono il Paese/la casa/la donna/il bambino/il cane/i quaderni.
Innanzitutto è fondamentale guardare la disposizione dei versi, spesso composti da un’unica parola, se si esclude il determinante: questo aspetto è certamente da ricondurre al titolo dell’intera raccolta che vuole ri-portare lo sguardo dell’uomo su ogni singolo referente. Quel termine così isolato e così denso di significato si carica di forti significati: innanzitutto è il lettore a dover associare la propria esperienza a quel significante, e così la poesia riesce certamente a dilatarsi all’infinito. Ma è interessante come a parlare, qui, non sia una mera logica razionale, ma quella che lo psicanalista Ignacio Matte Blanco chiama logica simmetrica. La logica razionale segue i classici principi aristotelici di identità, non contraddizione e terzo escluso, mentre il principio di simmetria in un dato insieme può provocare alterazioni della struttura logica abituale. Si tratta, come è chiaro, del linguaggio dell’inconscio, ma qui asserire che A non solo assomiglia a B, ma è B, («Io sono il Paese, la casa, la donna» si legge nel testo) significa dare piena dimensione universale alla propria esperienza e, al contempo, sciogliere il canto del mondo in un unico cuore, quella dell’autrice stessa. Sembra evidente la lezione ungarettiana che a questo procedimento fece mirabilmente ricorso: qui l’essenza del Mondo e quello dell’autrice si compenetrano a vicenda, dialogano. Così Francesca Guajana riesce a dar spazio al suo dolore, che è dolore universale, riesce ad essere Anna, Claudia, Melania, Francesca, Antonietta sciogliendo il proprio pensiero in una domanda posta alla Madre Sicilia, a Santa Rosalia patrona di Palermo nell’attesa o certezza che ogni albero apra le proprie braccia.
Una poesia fitta di domande, di perché, di apparenti mancate risposte: ma è nella coscienza e conoscenza dei propri limiti, delle proprie capacità, del proprio passato che può aprirsi lo spiraglio decisivo verso il domani, che può generarsi ancora l’amore, forse sopito; è nella domanda stessa, nel chiedersi ogni giorno che l’uomo può partorire sempre vita nuova: cosa mi rimanda/la storia//Cosa mi rimanda/questo vivere d’oggi/se non la stessa domanda.
 
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