Da che mondo è mondo! Le favole degli animali parlanti - Carmelo Fucarino

Gustave Dore - The frogs asking for a king illustration from Fables by Jean de La Fontaine (1621-95) - (MeisterDrucke-67730)
 
 
«Le rane, afflitte per la loro mancanza di un capo, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di dare loro un re. Egli, riconosciuta la loro bontà, gettò un legno nello stagno. E le rane per prima sbigottite per la paura, si diedero alle profondità dello stagno, ma dopo, poiché il legno restava immobile, riemergendo, giunsero a tal punto di disprezzo che vi si sedettero montandovi sopra. Sdegnandosi di avere immeritatamente un tale re, vennero per la seconda volta da Zeus e lo pregarono di cambiare loro questo capo, perché primo era troppo pigro. E Zeus arrabbiatosi verso di loro, mandò loro un’idra dalla quale erano afferrate e mangiate.
La favola dimostra che è meglio avere capi pigri e non malvagi, che turbolenti e malefici.» (Caroli Halmil, Fabulae aesopicae collestae, Lipsiae in aedibus Teubneri, 1889, 76b).
 
«Quelle, deposto ogni timore, nuotano a gara, e superba turba sale petulante sul legno. Dopo averlo insozzato con ogni contumelia, inviarono un altro a chiedere un re a Giove, perché quello che era stato dato era inutile. Allora Giove mandò loro un serpente che con i suoi denti aguzzi cominciò ad afferrarle singolarmente. Invano incapaci di sfuggire alla strage, la paura preclude loro la voce. Dunque, di nascosto, danno mandato a Mercurio di pregare Giove di soccorrere le afflitte. Ora il dio dice contro: “Poiché non avete voluto sopportare il vostro bene, accollateci il male. Ciò sostenete anche perché non venga una male maggiore”.» (Fedro, Fabulae, I, 2).
 
«Il re degli Dèi per tôrsi il fastidio,
– Prendete, – risponde, e manda la Gru,
che becca, che stuzzica, che infilza, che storpia:
resistere i sudditi non possono più.
Ma Giove, gridando, pon fine agli strepiti:
– Ognuno il governo che merita avrà.
Un re non voleste leale e pacifico
tenete la bestia che addosso vi sta-».
(Jean de La Fontaine, Les fables, III, 4, trad. Emilio De Marchi).
 
 
«Al Re Travicello
Piovuto ai ranocchi,
Mi levo il cappello
E piego i ginocchi;
Lo predico anch’io
Cascato da Dio:
Oh comodo, oh bello
Un Re Travicello!

Calò nel suo regno
Con molto fracasso;
Le teste di legno
Fan sempre del chiasso:
Ma subito tacque,
E al sommo dell’acque
Rimase un corbello
Il Re Travicello.
………….
Volete il serpente
Che il sonno vi scuota?
Dormite contente
Costì nella mota,
O bestie impotenti:
Per chi non ha denti,
È fatto a pennello
Un Re Travicello!

Un popolo pieno
Di tante fortune,
Può farne di meno
Del senso comune.
Che popolo ammodo,
Che Principe sodo,
Che santo modello
Un Re Travicello!»
(Giuseppe Giusti, Versi editi ed inediti, Le Monnier, 1852).
Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.