Anita Vitrano, "Inseguendo Pensieri in voluttà" (Ed. Thule) - di Margherita Schimmenti

Ho conosciuto la poetessa Anita Vitrano qualche anno fa in occasione della presentazione di un romanzo, nel corso della quale lei accompagnava, con la lettura di alcune sue intense poesie d'amore, l'analisi di quel libro che aveva al centro questo stesso tema. Era la prima volta che ascoltavo i suoi testi e rimasi affascinata da uno in particolare per alcune espressioni che mi folgorarono, incontrando la mia sensibilità: “scialle di pelle d'uomo coprì le nudità di quest'anima” Ho ritrovato e riletto questi versi nella silloge “Inseguendo pensieri in voluttà” e ho scoperto il titolo del testo che è“Macero d'anima”.

Mi sono accostata dunque alla lettura di questa prima raccolta consapevole di trovarmi di fronte non ad un'esordiente, ma ad un'artista che scrive da molti anni, che ha dunque alle spalle una lunga esperienza di composizione, che si è fortificata, stratificata, ampliata, misurandosi nel tempo con molti temi, provandosi nell'uso di due codici linguistici, dato che la poetessa scrive anche in lingua siciliana. Se di un pittore esperto si può dire che potrebbe dipingere ad occhi chiusi, della nostra poetessa, si può dire e constatare, perché lei stessa l'ha mostrato più volte, che riesce a creare poesia su ogni aspetto del reale, dando espressione artistica alla sua emozione. In Te salutat  fa riferimento alla sua capacità poetica dicendo che si è riaperta la “bottega della creatività”.

Entro nel merito della raccolta, soffermandomi sulla forma e su alcune  caratteristiche preponderanti: è una poesia costruita con versi liberi, che non utilizza le strofe ma un periodare ampio che spesso costruisce un unico periodo senza interruzioni o conosce la pausa di una sola virgola, e che, nei testi più lunghi, accosta frasi in sé concluse che presentano però al loro interno una sintassi ricercata. La mancanza delle pause di punteggiatura è funzionale a indicare il flusso dei pensieri che non si arresta al controllo della logica, ma che sono, prima della chiusa della poesia, ancora allo stato di intuizioni. Il linguaggio utilizza un lessico prezioso, anzi come dice la poetessa in A te “un lessico non pensato, ripulito dalle scorie dell'usato”, che pur richiamando la tradizione colta, assimilata dalla frequentazione dei classici, ha connotazioni di stile personale. La poetessa utilizza sapientemente gli strumenti retorici della poesia: costruisce e accosta immagini metaforiche, similitudini, ossimori che creano dentro il testo catene simboliche che sanno tuttavia offrire al lettore la chiave interpretativa sia perché il centro tematico della poesia è il sentimento più importante e riconoscibile per l'uomo, cioè l'amore, sia perchè utilizza lo strumento della chiusura oracolare, della sentenza gnomica che, consegnando un messaggio, una verità al lettore, incanala verso la comprensione.

L'attacco del discorso poetico avviene rivolgendosi a un “tu”, che più spesso è l'amato o l'Amore stesso, cioè la sua personificazione o un ipotetico lettore col quale confidarsi, ma che, il più delle volte, è il proprio io interiore con il quale tira le somme della propria esperienza d'amore e di vita, anche poetica.

Andiamo all'interpretazione del contenuto, che si realizza attraverso la forma, ma che, volatilizzate le parole del poeta, ci rimane dentro come una traccia, segno della personalità che abbiamo incontrato nella lettura e con cui ci siamo confrontati. Perché il lettore, quando legge un testo, attraverso lo stimolo dell'autore, risponde al suo sé dicendo: anche per me è così, mi succede questo oppure no?

Cosa mi rimane dentro dei testi poetici di Anita Vitrano che ho letto? Cosa ne penso dopo averli esperiti e letti attentamente?

Penso che quella di Anita Vitrano sia una poesia filosofica perché è una ricerca di senso compiuta con gli strumenti della parola e dell'intuizione poetica. Che ciò sia possibile attraverso la poesia non è novità se si pensi ad Heidegger che considerava il linguaggio “la casa dell'Essere” e che vedeva nella poesia la forma d'arte capace di esprimere, più di ogni altra, intuizioni metafisiche, disvelate dal lavorìo che il poeta impone alla lingua. La ricerca filosofica della Nostra scava nella dimensione più importante dell'esistenza dell'individuo, vale a dire nell'esperienza dell'amore. La poetessa, nel primo testo inserito nella raccolta Lettera d'amore - Come i gabbiani dice cheAmore mio” sono due parole che nascono dal nostro respiro, sono un'invocazione primigenia che proviene dalla nostra origine divina, dal fatto siamo figli di un amore divino e dunque capaci di amore. Ma, subito, la componente mistica lascia il posto a quella umana, terrena, perché l'autrice si concentra sulla forma di amore che connota il nostro essere umano e nel descriverla si chiede se in questa esperienza, che è totalizzante (sia quando produce la felicità di unire due anime perché “amore è il ricongiungimento, tramite i sensi, alla nostra dimensione più vera” sia quando produce la lacerazione del dolore provocato dal distacco) se questo sia il senso del nostro esistere. Qual è il senso dell'umano errare? Amo ma non mi pento. Ma io amo: la vita ha forse un altro senso? Amare è lottare per amore, vivere per valorosamente morire (in Impetuoso). Amare è un'esperienza che ci espone al rischio di sbagliare e di perdere ciò a cui teniamo, ma vale la pena amare, lottare per questo. Se hai amato e poi perduto l'amore, comprendi che in quella esperienza si racchiude il senso del nostro vagare. “Prosieguo il sentiero della vita col riso amaro di chi conosce il vero” (in Acquerelli). Il titolo della silloge “Inseguendo pensieri in voluttà” sembra suggerirci che la poetessa abbia voluto, tracciando poeticamente una fenomenologia e psicologia dell'amore, inseguire pensieri, rintracciare un logos, una ragione, tracciare un senso, anzi il senso vero dell'umano esistere a partire dalla condizione amorosa. E che sia convinta che sia questa la via da seguire ce lo conferma nel ribaltare il famoso “Cogito ergo sum” di Cartesio, che fonda la certezza di esistere, in “Cogito ergo amo”, titolo del testo poetico posto a chiusura della raccolta, che vuol dire che solo l'amore ci dà la certezza, nel pensare all'amato, di percepire il pensiero di sè e la propria esistenza. L'amore è la genesi del tutto: ricordiamo che nell'universo mitologico greco nasce prima degli dei, è causa sui, è una forza primigenia, una “energheia” che permette agli elementi primordiali di congiungersi. Dunque l'amore è sempre prima di noi. Quando due anime si incontrano, rinascono a nuova vita, mentre quando si lasciano, la perdita produce lacerazione, lascia una traccia indelebile, con la coscienza della propria solitudine.  Il dolore dell'amore perduto è fisico: La bocca fossilizzata dai tuoi calchi, la pelle levigata dalle tue mani (Genesi). In “Torna” il ricordo dell'amato si mostra nel suo duplice volto di acqua che ridà vita e pianto che è lamento degli occhi scolpito nel cuore. Il silenzio di lui è afa, “l'afa del tuo silenzio” mancanza di acqua e di vita, meglio la morte che questo tormento definito come “un verme che mi logora”. L'afa è metafora della sete d'amore, dell'assenza che si fa desiderio (in Afa d'estate). In Impavidità è molto più forte che in altri testi la dimensione fenomenologicosensoriale e fisica legata all'amore: sentire il sospiro dell'amante, ricevere i suoi baci, sentirsi obliare dalla sua voce, avvertire le sue mani che saggiano la reazione dei sensi. Qui il messaggio è chiaro: avere l'impavidità, il coraggio di farsi coinvolgere dalle manifestazioni dell'amore, scegliere di farsi assorbire da esso invece che rinunciarvi e, che questo sia un messaggio al femminile, risulta chiaro dall'utilizzo di quel verbo finale che vuol dire “farsi assorbire” ma anche “ingravidare”.

La chiusura gnomica di questo testo è infatti imperativa: meglio pagare un prezzo alla natura, che astenersi dal piacere.

Si tratta dunque di una poesia con una decisa connotazione femminile che rivendica la liceità del piacere, che stordisce, assuefà all'alchimia che è scatenata dall'amore e al quale risulta difficile sottrarsi. La poetessa, al tempo stesso, celebra la dimensione nobile della donna, che non è nata per strisciare, essere sottomessa, ma per elevarsi e anelare al sublime, in quanto lei è “anello di congiunzione tra l'umano e il divino, arco ascensionale tra carne e anima “(in Tratteggi).

L'amore però non è scontato (in Illusione) è collegato al mistero del nostro destino, avvertito nella nostra vita come un futuro insondabile, e a volte è un'illusione, un inganno, che per un attimo ci dà l'ebbrezza di poter naufragare, di perdersi nel mare dell'amore. Ma morire non sarà inutile se il vero amore avrà attraversato la nostra vita, non vi saranno rimpianti se accanto a noi ci sarà l'ultimo sorriso del nostro amore. (Nuvole barocche)

L'amore è gioia unicellulare: in Volgendo lo sguardo a ponente, guardando al nostro tramonto, dovremo sfidare la voce del silenzio e  trarre la forza di ergerci o soccombere per sempre, perchè l'ellisse si sarà ricompattata. Insomma, che l'amore dia senso al Tutto si comprende dal fatto che intorno ad esso si decide dell'individuo, della qualità della sua vita e anche di quella della morte, perchè amando, ciò che abbiamo scritto nel foglio della vita, avrà avuto un significato.

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