“IL MESTIERE DELLE ARMI IN ITALIA” di Maria Santa Distefano

 

 
 
La scienza militare che in Italia ha avuto importanti esponenti, soprattutto nel periodo rinascimentale, i non pochi condottieri nazionali e le numerose realtà militari – le Fanterie Sannitiche di Carlo V di Spagna, i Balestrieri Genovesi, le Fanterie Comunali, i marinai delle Repubbliche Marinare, la Cavalleria Napoletana, i Reggimenti Italiani nelle Armate Napoleoniche - non sono stati tali da consentire il consolidarsi di uno spirito guerriero diffuso.
Le cause sono numerose ma ha inciso principalmente la carenza di una “nobiltà di spada”, soprattutto nelle regioni del centro-sud, e la mancanza di uno stato unitario, di un capo, di un potere in cui il popolo potesse riconoscersi, visto il frammentarsi per secoli del nostro territorio nazionale sotto vari dominatori e regni.
E’ come se fosse mancato il sentire comune, l’identificazione condivisa con un territorio e una storia. In realtà, le glorie del Risorgimento hanno coinvolto solo una frazione della popolazione e la lotta al brigantaggio, spesso vera e propria guerriglia, come anche la leva forzata non hanno contribuito a far amare il servizio nella “Armata”.
Per creare un vero sentire nazionale si è dovuto attendere la Prima Guerra Mondiale, c’è voluto Caporetto, il Piave e Vittorio Veneto. Per la prima volta, gli Italiani si sono realmente battuti tutti insieme e hanno vinto; difatti, poche famiglie sono state esenti dai lutti o non hanno visto un loro congiunto in divisa nel fronte italiano, dal 1915 al 1918.
Subito dopo, il Fascismo ha sfruttato lo slancio della prima vera vittoria italiana nell’impresa colonialista, riguadagnando il tempo perso e consolidando l’orgoglio nazionale, ma poiché la guerra moderna richiedeva mezzi d’avanguardia e capi preparati e non avendo a sufficienza né gli uni né gli altri, la devastante sconfitta ne ha determinato il declassamento nella storia militare della nostra nazione.
In seguito, il dopoguerra è stato caratterizzato da sentimenti molto controversi e dalla presenza di diverse forze politiche che, di fatto, non si riconoscevano nel concetto di Patria, intrisi di ideologie, contrastando talvolta tutto ciò che poteva consolidare il sentimento nazionale e l’amore, prime fra tutte per le Forze Armate.
Tuttavia, il mondo militare ha continuato a operare in silenzio, con dedizione e sacrificio, e quando è stato chiamato nel corso di questi ultimi decenni all’azione, in Italia e all’estero, ha compiuto il proprio dovere svolgendo le missioni assegnate, con dedizione totale verso la nazione, travagliata da terrorismo, criminalità organizzate e disordini sociali.
La società ha sempre apprezzato l’educazione militare, vista come un esempio da seguire, definita ferrea per le caratteristiche di intransigenza, coerenza, moralità e le persone formate secondo le sue regole, o che a esse si sono dovute uniformare anche solo per un breve periodo.
La Corte Costituzionale, nell’esprimersi sulla “condizione militare”, ha ribadito la peculiarità della situazione propria del cittadino-militare, inserito nelle Forze Armate rispetto a quella degli altri cittadini. Ciò, in quanto la posizione del cittadino militare si caratterizza tra l’altro per la stretta sottoposizione di questo al rapporto gerarchico ed alla disciplina militare: elementi posti a fondamento del funzionamento delle Forze Armate. Rapporti gerarchici e disciplinari che si concretizzano in precisi limiti rispetto ai diritti fondamentali del cittadino quali, ad esempio, di sciopero, d’espressione, d’associazione, venendo sottoposti ad una legislazione speciale – il codice penale militare- e ad uno specifico regolamento di disciplina.
Ne conseguono l’atipicità nel reclutamento degli allievi in quanto è normalizzato, ossia  costante nei flussi di immissione con precisi criteri:  una continua efficienza fisica, la cui perdita determina la scissione del rapporto d’impiego in quanto inidonei al servizio militare; una formazione ed addestramento mirati e continui; una costante verifica dei risultati conseguiti e del comportamento del militare durante il servizio, che si concretizza nella redazione della documentazione caratteristica; un impiego peculiare e spesso a rischio sin dalla fase addestrativa, che comporta anche una mobilità nell’iter di carriera senza paragoni nel pubblico impiego.
In merito, si precisa che il movimento del militare da una sede all’altra rientra nella categoria dell’ordine militare e non richiede pertanto alcuna motivazione, in quanto l’interesse pubblico specifico del rispetto per la disciplina e il servizio prevalgono in modo immediato su qualsiasi altra esigenza o motivazione.
La peculiare posizione del militare, esistente rispetto alla genericità del pubblico impiego, si evince dal fatto che la mancata esecuzione da parte di un militare di un movimento, da una sede all’altra, assume rilevanza sotto il profilo penale militare, in quanto rientrante nella violazione dell’obbligo di immediata esecuzione dell’ordine.
Per il ruolo svolto dal personale militare l’aspetto formativo e addestrativo assume grande importanza, sviluppando le capacità che consentono l’acquisizione di tutte quelle abilità richieste per la funzione professionale specifica. La caserma, il luogo dove la recluta entra ufficialmente per il periodo di formazione, è anch’essa una scuola, con lo scopo di istruire ed educare il personale, secondo normative, regolamenti, piani di studio ed addestramento fisico; una preparazione che richiede agli istruttori una valida scienza militare o pedagogia militare, in ordine ai requisiti degli insegnanti stessi, agli obiettivi, alle materie didattiche e ai metodi d’insegnamento da utilizzare. Nelle scuole militari si presta molta attenzione anche alla formazione del carattere dell’allievo, intesa come identità, stile, modello, forma di sé, autocontrollo ed equilibrato rispetto ai propri impulsi e al proprio ruolo da assolvere.
Gli istituti di educazione militare mirano a preparare ciascun individuo per le migliori finalità sociali, nazionali e internazionali, sviluppando e perfezionando in ogni recluta  oltre alla capacità didattica anche quella particolare abilità denominata “capacità tattica”, quale attitudine e abitudine ad agire in combattimento o nel campo d’azione nel modo più efficace; valutando, con rapidità e giustezza, i vari fattori del problema tattico, risolvendo con calma e fermezza, mettendo in campo le capacità di volontà, spirito d’iniziativa, senso di responsabilità, operando con vigore e fede,  adoperando i mezzi di cui dispone secondo i dettami della tecnica e come meglio consigliano le circostanze del momento.
L’educazione e lo sviluppo di questa capacità tattica assumono aspetti diversi, a seconda che venga impartito l’insegnamento a soldati semplici o ai quadri, in quanto per questi ultimi, destinati ad essere, oltre che comandanti, a loro volta anche insegnanti in azione e in grado di compiere scelte e impartire ordini, verificando il corretto svolgimento dell’incarico assegnato a ciascun militare.
 E’ altamente significativo che il militare di ogni grado, facente parte delle Forze Armate, con il giuramento alla bandiera italiana s’impegna solennemente ad operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle FF.AA. con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina ed onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali ed intellettuali affrontando anche il rischio del sacrificio della propria vita.
Rimane imprescindibile l’orgoglio per la funzione svolta e per i valori militari, che rimangono il vero motivo di affezione istituzionale per chi ha fatto la scelta della carriera militare, rimanendone legato anche dopo il congedo nello stile di vita, nell’etica e nel pensiero.
Nelle nostre forze armate una riforma epocale  avviene con l’ approvazione della Legge 14 novembre 2000, n.331 che istituisce il servizio militare professionale, volta alla profonda trasformazione del ruolo militare, risultata indispensabile anche per la presenza e l’influenza del ruolo dell’Italia nell’ambito dei contesti dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica; si dovrà attendere fino al 1 gennaio 2005 un nuovo modello di esercito, composto esclusivamente da professionisti, dove non è più prevista la leva obbligatoria.
Oggi l’Italia insieme agli altri paesi del mondo è chiamata a partecipare ad interventi di “peacekeeping”, cioè operazioni, in coordinamento con eserciti di altre nazioni, per ristabilire la pace e l’equilibrio sociale e politico in aree geografiche del mondo, dove sono presenti dei conflitti o per portare aiuto a popolazioni colpite da catastrofi naturali.
Attualmente, tali compiti sono la conseguenza di una nuova funzione assegnata alle nostre Forze Armate, svolta ottimamente nel mondo contemporaneo, apprezzata e messa in risalto in campo internazionale, operando per la difesa della Patria e l’assolvimento del proprio dovere non solo nei territori italiani, ma anche in missioni all’estero per la tutela di altre popolazioni.
 
 
 
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