George Orwell e il fascino discreto della (piccola) borghesia

di Luca Fumagalli

 

Lo squattrinato poeta Gordon Comstock sta sfogliando alcuni manuali di ginecologia nella sala lettura di una libreria. La sua fidanzata, la buona e dolce Rosemary, gli ha appena annunciato di essere incinta. Sperando di trovare in quei polverosi volumi la risposta a ogni dubbio, incerto se tenere o meno il bambino, Gordon si imbatte nel disegno di un feto. L’immagine è disgustosa. Ma proprio in quel momento, contro ogni calcolo, fa la sua scelta. Per un istante sveste i panni dell’egoista e capisce che quello che ha davanti a sé, più che un odioso imprevisto, può tramutarsi in una straordinaria opportunità di redenzione personale.

George Orwell – nom de plume di Eric Arthur Blair – noto in Italia per capolavori narrativi di contestazione politica come La fattoria degli animali (1945) e l’insuperato 1984 (1949), fu in vita uno strano ircocervo di socialista conservatore, quasi una creatura mitologica che vagava senza pace facendo la spola tra le sponde del progressismo e del tradizionale buon senso britannico. Trotzkista, volontario nelle file repubblicane durante la Guerra di Spagna, al contempo seppe cogliere, forse meglio e prima di chiunque altro, i gravi limiti del totalitarismo stalinista e la minaccia che avrebbe potuto costituire per l’Europa tutta. La falsificazione, la perdita della memoria storica indotta dai mezzi d’informazione, la corruzione del linguaggio e l’annullamento dell’identità individuale furono le bestie nere che tentò di contrastare in ogni modo, sia con la penna che con l’azione.

Così come il suo Gordon Comstock, protagonista di Fiorirà l’aspidistra (1936), anche Orwell era alla disperata ricerca di un’umanità autentica, di uno scacco esistenziale che potesse rompere l’ingranaggio di una vita che per lui era ribellione senza possibilità di successo. I personaggi dei suoi romanzi – anche e soprattutto dei “minori” – sono uomini che tentano in ogni modo di smarcarsi dalle logiche perverse del capitalismo e del dio denaro. Comstock, per esempio, rinuncia a tutto ciò che abbia anche solo il vago odore di rispettabilità, come il buon posto di lavoro, lo stipendio garantito e la famigliola felice, lo stesso odore che emana l’aspidistra, la pianta più diffusa in Inghilterra. La rivolta, però, ha un prezzo carissimo, ed è presto ridotto ad arrangiarsi alla meglio, trascinando la sua squallida esistenza in un abisso senza fine.

La notizia di un figlio in arrivo è un terremoto che spazza via in un sol colpo, con la forza del dolce pensiero della paternità, ogni convinzione pregressa. Gordon riscopre il gusto della diversità proprio nel momento in cui si rende conto che il suo destino è segnato, che diventerà come tutti gli altri, ma che, nel medesimo tempo, solo come marito e come padre potrà davvero fare la differenza,potrà tentare con fatica, giorno dopo giorno, di dare un senso a una realtà apparentemente gretta e meschina: «i piccolo-borghesi avevano le loro norme, i loro inviolabili punti d’onore. Si “mantenevano rispettabili” e poi erano vivi. Erano avvolti nell’involto della vita. Generavano figli, cosa che i santi e i salvatori di anime non hanno mai avuto il modo di fare».

Dopo essersi sposato e aver trovato un nuovo lavoro, mentre si gode la prima tazza di caffè in compagnia della moglie, nella loro nuova casa, Gordon desidera improvvisamente che sul tavolo compaia un’aspidistra, un ritorno a quella decency che è l’unico e vero rassicurante patrimonio di dignità che rimane all’uomo.

 

da: www.radiospada.org

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